Omicidio Mollicone: Per la superperizia «Il delitto avvenne nella caserma dei Carabinieri»
- gennaio 21, 2022
- in malapolizia
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In corte d’Assise a Cassino parla l’anatomopatologa Cristina Cattaneo: «Serena morta per asfissia, ha ferite da colluttazione e la porta lesionata è compatibile con l’urto del suo cranio» La studentessa 18enne scomparve da Arce, in provincia di Frosinone, il primo giugno 2001 e venne trovata senza vita due giorni dopo in un boschetto ad Anitrella. Dopo anni di depistaggi, oggi imputati a processo Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, oltre al figlio Marco e alla moglie e ad altri militari ritenuti complici
Serena Mollicone scomparve da Arce, in provincia di Frosinone, il primo giugno 2001 e venne trovata senza vita due giorni dopo in un boschetto ad Anitrella, una frazione del vicino Monte San Giovanni Campano, con le mani e i piedi legati e la testa stretta in un sacchetto di plastica. Due anni dopo, accusato di omicidio e occultamento di cadavere, venne arrestato Carmine Belli, poi assolto, un’altra vittima di quella che sarebbe stata una lunga catena di depistaggi.
Le indagini ripresero quindi vigore nel 2008 quando, prima di essere interrogato di nuovo dai magistrati, il brigadiere Santino Tuzi si tolse la vita, secondo gli inquirenti perché terrorizzato dal dover parlare e confermare quanto aveva riferito su quel che era realmente accaduto nella stazione dell’Arma di Arce sette anni prima. Alla luce dei nuovi accertamenti compiuti dai carabinieri di Frosinone, dai loro colleghi del Ris e dai consulenti medico-legali, la pm Maria Beatrice Siravo si è convinta che la diciottenne il giorno della sua scomparsa si fosse recata presso la caserma dei Carabinieri, che avesse avuto una discussione con Marco Mottola, il figlio dell’allora comandante della locale stazione dell’Arma, e che lì, in un alloggio in disuso di cui avevano disponibilità i Mottola, la giovane fosse stata aggredita.
Ogg davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Cassino, è iniziata la lunga testimonianze dell’antropologa forense Cristina Cattaneo, docente di medicina legale all’Università degli Studi di Milano, dove dirige il Labanof, il laboratorio di antropologia e odontologia forense, e che è considerata una vera e propria autorità a livello internazionale.
C’è stata una colluttazione, ha sbattuto la testa contro una superficie piana, ma la morte potrebbe essere avvenuta per soffocamento. In altre parole, Serena Mollicone forse era ancora viva quando le è stato stretto un sacchetto di plastica in testa, che poi è stato ritrovato insieme al cadavere nei boschi di Arce.
Questi i risultati della superperizia eseguita dal medico legale Cristina Cattaneo dell’Università di Milano: “Che il trauma cranico abbia provocato uno stordimento e poi la morte sia sopraggiunta per asfissia è un’ipotesi molto probabile ma non abbiamo gli elementi per dirlo con certezza. La morte per asfissia meccanica è una diagnosi che si fa per esclusione, è una causa di morte che lascia pochissimi segni“.
Dall’esame esterno sul cadavere della 18enne trovata morta il 3 giugno 2001 e riesumato nel 2016 si ricava ad esempio la conferma che la lesione all’altezza della tempia sinistra ma anche le finora mai analizzate ferite alle mani e alle gambe, dovute probabilmente a una colluttazione, le sono state inferte quando era ancora in vita. Lo studio dei danni all’encefalo rivelano che il trauma cranico non è stato mortale e che il decesso, anche in base alle lesioni cardiache, è intervenuta per asfissia meccanica esterna, ossia indotta. Probabilmente il nastro isolante usato per imbavagliarla quando era ancora viva, ma non si esclude che la testa le sia stata coperta con un asciugamano o una mano fino al decesso. Le fratture al cranio certificano l’urto con una superficie piana e ampia, mentre il rigor mortis è compatibile con l’orario in cui Serena fu vista entrare, tra le 11 e le 11.40 dell’1 giugno, nella caserma di Arce dove sarebbe stata aggredita, secondo il pm Beatrice Siravo, dal maresciallo Franco Mottola, da suo figlio Marco e dalla moglie Anna Maria, accusati di omicidio volontario in concorso con l’altro carabiniere, Vincenzo Quatrale. Privo di coscienza il suo corpo sarebbe stato portato in un bosco vicino, dove venne ritrovato con mani e piedi legati e la testa sigillata in una busta di plastica.
Tutto questo per introdurre la prova madre, la porta degli alloggi della caserma del comandante contro cui sarebbe stata sbattuta la testa della ragazza. Su questa porta, che un altro carabiniere, Francesco Suprano, avrebbe accettato di spostare nel proprio bagno per nasconderla, c’è una frattura compatibile con il calco del cranio di Serena e in particolare il punto di impatto combacia con il suo arco zigomale sinistro. Compatibilità che non emerge invece con i pugni di Franco e Marco Mottola, che secondo la loro difesa sarebbero la vera causa di quella rottura. L’urto viene simulato al computer tenendo conto di massa e velocità dell’impatto, caratteristica dei materiali, dinamica dell’impatto. In aula vengono anche mostrati i calchi in 3D del cranio e della porta lesionata evidenziando che «combaciano in maniera ottimale». La conclusione è che la risposta alla domanda del pm nel suo quesito sulla possibilità che la testa abbia sbattuto su quella porta è «assolutamente sì». Quanto all’obiezione della difesa sul fatto che il punto di impatto sia troppo in alto rispetto alla statura di Serena, la consulenza la esclude implicitamente perché soggetta a troppe variabili (se fosse in punta di piedi, se avesse scarpe alte etc…).
L’udienza convocata per oggi serve ai pm per ricostruire l’omicidio. Per questo sono stati chiamati a deporre sia Cristina Cattaneo che l’ingegnere Remo Sala, ricercatore del dipartimento di Meccanica del Policlinico di Milano. Nelle successive udienze saranno chiamati a testimoniare, probabilmente, l’ex comandante del Ris di Parma, il generale Luciano Garofano e la criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone.