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Omicidio Sandri: Storia di un depistaggio

A un anno dalla morte parla Maurizio Martucci, autore del libro «11 Novembre 2007»

Non conosceva Gabriele Sandri. Né è interno alle dinamiche del tifo organizzato. Eppure Maurizio Martucci, trentacinquenne studioso delle scienze e tecnologie della comunicazione presso La Sapienza di Roma, ha scritto un libro (edito da Sovera Editore) su quell’ «11 novembre 2007». Data che dà il titolo al suo lavoro. «Questa giornata è una delle più buie e tristi del nostro paese» afferma l’autore che nella sua opera, una vera e propria controinchiesta, ricostruisce perfettamente quelle 24 ore. Che hanno portato, esattamente un anno fa, nell’autogrill di Badia al Pino (Arezzo) all’omicidio di «Gabbo», tifoso ventiseienne in viaggio con gli amici per una trasferta della sua Lazio, per mano di Luigi Spaccarotella, agente della polizia stradale.

Partiamo dai fatti che hanno portato alla morte di Sandri.
E’ stata una dinamica aberrante. Pensare che un tutore dell’ordine possa far fuoco contro un’auto in movimento con braccia parallele all’asfalto e uccidere un cittadino della repubblica italiana è una cosa pazzesca. E sui fatti non ci sono dubbi.
Eppure la difesa parla di un proiettile deviato da una rete metallica.
Il proiettile, in base alla perizia tecnica, non ha tracce in tal senso. Ha battuto sul vetro dell’auto, sulla collanina di Gabriele, sul suo corpo e poi nuovamente, uscendo, sulla collanina. Mentre la rete metallica risulta solo compatibile col proiettile, in pratica non significa niente. Poi ci sono quattro testimoni che dichiarano di aver visto l’agente mentre sparava ad altezza d’uomo. Una follia.
E’ giusto che l’imputato, accusato di omicidio volontario, non sia stato sospeso dal servizio?
Sono sbigottito per questa decisione. Com’è possibile che un agente di pubblica sicurezza a distanza di un anno dal fatto non abbia avuto neanche un provvedimento disciplinare interno? C’è tanta amarezza. In Italia per far emergere una verità ci vuole un grande sforzo comunicativo. Sul caso Sandri non è ancora stata fatta giustizia.
Nel suo libro parla di depistaggio mediatico dell’episodio. Che intende dire?
Il fatto accade alle 9,18. Dopo un’ora era già chiara la dinamica. Ma alle 11,30 esce il primo lancio di un’agenzia che diffonde una notizia falsa: la morte di un ultrà a seguito di scontri tra opposte fazioni. Un secondo lancio, due ore dopo, parla invece di uno sparo di un agente a seguito di fronteggiamenti tra un gruppo e la polizia. Si nasconde in tutti i modi la verità. I media per 24 ore spostano il tema del dibattito: nei programmi televisivi e radiofonici discutono di stereotipi, della violenza degli ultrà. Che nel caso Sandri non c’entra niente. Neanche una parola sul colpo sparato ad altezza d’uomo dal poliziotto. Alle 18, quando l’intero paese è in subbuglio con vari problemi d’ordine pubblico e stadi in rivolta, il questore di Arezzo in una conferenza stampa ammette due colpi sparati in aria da Spaccarotella. Non esprimendo, però, legami diretti con la morte di Gabriele. Non è stato nemmeno permesso ai giornalisti di fare domande.
Il giorno dopo, a freddo, i media hanno «confessato» l’accaduto?
Macché, l’omicidio Sandri cade nel dimenticatoio. E’ una notizia scomoda e da occultare. Prima i media hanno depistato, poi fatto calare il silenzio. Domani (oggi, ndr) sarà però difficile tacere. Sono molte le iniziative in ricordo di Sandri.
Tante infatti sono le persone che si stanno mobilitando per non far cadere nel dimenticatoio la vicenda.
Tifosi, amici, familiari, associazioni di volontariato stanno lavorando per far emergere la verità. Dal basso, dalla cittadinanza civile, è nata una reazione. Sul web sono nati tanti siti ad hoc che coinvolgono migliaia di persone. Tutti in attesa della giustizia che verrà, spero, dalle aule dei tribunali.
Il tam-tam su internet e tra i tifosi c’è stato anche per organizzare, sempre l’11 novembre dello scorso anno, l’assalto al Coni e a una caserma.
E’ stata un’azione violenta che in Italia non si era mai registrata prima: l’assalto alle caserme non veniva fatto nemmeno ai tempi del terrorismo. Però bisogna analizzare due fattori. Per quale motivo, visto che a Roma stava serpeggiando da diverse ore una sorta di rabbia spontanea tra le fasce giovanili, si è atteso fino all’ultimo per la sospensione del posticipo serale Roma-Cagliari? Seconda osservazione: una volta che si stavano prefigurando i primi concentramenti vicino allo stadio Olimpico, per quale motivo non c’era una presenza cospicua delle forze dell’ordine? La zona era in mano a chi si è lasciato andare ad atti di violenza.
Quindi che vuol dire? Che è stata orchestrata una trappola agli ultrà violenti?L’interpretazione dei fatti non è il mio mestiere e la lascio a qualcun altro. Ribadisco solo che lo stadio stranamente non era presidiato. Lo denunciano gli stessi corpi della polizia municipale. Ciò deve far riflettere.