Istituzioni della giustizia. Ovunque. Legalità e onestà sono state e ancora sono le parole d’ordine di molte forze politiche negli ultimi decenni. Insieme hanno contribuito a costruire un senso comune, diciamo così giustizialista, o meglio forcaiolo, secondo cui deve marcire in galera chiunque sia sospettato di violare qualche legge, magari a fin di bene, per esempio quando la legge violata viene ritenuta ingiusta.
di Valeria Calzolaio
La giustizia penale è selettiva per definizione (dipende dal tipo di azioni e comportamenti definiti reati e dal percorso istituzionale attraverso cui solo alcuni dei relativi colpevoli vengono condannati e detenuti), eppure viene invocata come la soluzione di tutti i problemi, oltre a concretizzarsi praticamente come classista e razzista. La “deriva punitivista” risulta abbastanza recente e non solo italiana.
Sicurezza sociale, sicurezza privata
Nel primo dopoguerra della ricostruzione, per sicurezza si intendeva soprattutto la “sicurezza sociale”, ossia la titolarità e l’effettivo godimento di garanzie rispetto alla salute, all’istruzione, alla vecchiaia, al lavoro e alla casa, assicurate in via di principio (generale e pubblico) attraverso l’erogazione di risorse e servizi verso tutti, pagate da tutti con le tasse e le imposte. Nel successivo lungo perdurante periodo della crisi economico e finanziaria vi è stato un progressivo slittamento di attenzione dai “criminali” alle loro “vittime”, la sicurezza come diritto individuale e privato, contro le nuove ansie e incertezze del precario atomizzato vivere urbano. Ecco i progetti di urban safety nel Regno Unito, in Francia, negli Stati Uniti, in Italia e in tutta l’Unione, differenti fra loro ma accomunati dalla paura della criminalità metropolitana e dall’idea pervasiva di una sicurezza privata come fine (non mezzo) di vita umana associata, un tessuto di atomi da ripulire sterilizzare sorvegliare, mettendo in ombra la questione del legame sociale fra diversi, in parte tali anche per tante diffuse ingiustizie e crescenti diseguaglianze (compresi molti poveri e immigrati).
Quale giustizia
L’illustre giurista, filosofa e sociologa Tamar Pitch (Siena, 1947) da quasi un cinquantennio si occupa di criminalità nelle università di tutto il mondo, con occhio sempre attento ai diritti fondamentali e alle discriminanti di genere. Riassume e aggiorna qui (con ricche citazioni, note e spunti bliliografici) i “malintesi” attorno ai termini legalità e giustizia, per cui ci si divide solo fra colpevoli e vittime (da cui il titolo). Probabilmente la definizione di legalità (almeno da Hobbes in poi) è chiara e assodata ma oggi rischia di essere fuorviata da due fenomeni: la feticizzazione dei suoi aspetti penali da una parte, l’iperproduzione di regole diverse dalle norme generali e astratte, invece amministrative, quantitative e tecniche, dall’altra, con la conseguenza che ciascuno e ciascuna siamo percepiti come individui assoluti e isolati.
Anche la giustizia non dovrebbe divenire sinonimo di giustizia solo penale concependo la pena come retribuzione (“hai fatto del male, devi essere punito”). Altre forme di giustizia vengono prodotte e praticate da tanti e tante che, incuranti della repressione, si prodigano per salvare i migranti in mare e sui nostri confini, si oppongono a opere che distruggono l’ambiente, manifestano per la sicurezza del lavoro.
Il malinteso della vittima. Una lettura femminista della cultura punitiva
Tamar Pitch
Istituzioni, Edizioni GruppoAbele Torino
2022
Pag. 111 euro 14