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Ong e migranti, il governo prepara la nuova stretta repressiva

Leggi propaganda per tagliare servizi e diritti e alimentare xenofobia. Se proviamo ad elencare il numero di decreti legge e provvedimenti legislativi in genere su questo argomento emerge con chiarezza la totale incapacità di intervenire in maniera seria e giusta su un argomento così complesso

Il governo si prepara a varare l’ennesimo giro di vite contro ong e migranti. Lo strumento scelto per ostacolare l’attività delle navi che soccorrono i barconi nel Mediterraneo questa volta è il nuovo decreto flussi al cui interno sono previste misure per velocizzare, in vista dell’apertura dei centri din Albania, le identificazioni dei richiedenti asilo. Ma anche maggiori controlli per evitare che finti datori di lavoro organizzino truffe dietro la promessa di assumere lavoratori stranieri.

Dato praticamente per fatto, il provvedimento doveva essere licenziato dal consiglio dei ministri di ieri ma alla fine è stato deciso di far slittare tutto a mercoledì prossimo quando l’esecutivo tornerà a riunirsi. Una scelta che per le opposizioni sarebbe frutto di una scontro tra i vari ministri. Ipotesi smentita però dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano: «Non c’è nessun contrasto tra le forze politiche», ha spiegato. «C’è la necessità di un approfondimento su alcuni aspetti che richiedono la collaborazione e il coordinamento fra più strutture». Un’esigenza che riguarda in particolare la necessità di consentire l’ingresso di un numero maggiore di badanti e quei lavoratori stranieri a cui scade il contratto di lavoro.

MA APPROFONDIMENTI sarebbero in corso anche per la parte che riguarda le navi delle ong e i migranti. La bozza di decreto circolata ieri prevede infatti che le attività di ricerca e soccorso da parte delle navi non creino situazioni di pericolo non più «a bordo», come previsto fino a oggi dal decreto Cutro, bensì, in maniera più generica, «per l’incolumità dei migranti». Definizione estremamente vaga che lascia spazio a più di una interpretazione. Passano inoltre da 60 a 10 i giorni durate i quali è possibile fare opposizione al fermo della nave.

UN CAPITOLO a parte riguarda infine gli aerei delle ong che pattugliano le acque per intercettare le imbarcazioni in difficoltà. Le nuove norme prevedono l’obbligo per i piloti di avvisare «immediatamente e con priorità» gli enti competenti per l’area attenendosi alle loro indicazioni. Multa fino a 10 mila euro e fermo dell’aereo di 20 giorni per chi viola le disposizioni. Sottolineatura a dir poco strana, visto che comunicare con i centri di coordinamento dei soccorsi dei paesi costieri è una pratica svolta regolarmente dalle ong. Il provvedimento non scende nei dettagli ma una delle ipotesi è che si punti a limitare le operazioni di soccorso alle sole guardie costiere degli Stati mettendo fuori gioco le navi umanitarie. Ipotesi che sarebbe comunque in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni internazionali.

C’È POI una serie di misure per velocizzare l’identificazione dei migranti in modo da snellire le procedure accelerate di frontiera facilitando allo steso tempo anche il trasferimento nei centri in Albania e l’eventuale rimpatrio. La bozza introduce l’obbligo per il richiedente asilo di cooperare con le autorità italiane per l’accertamento della sua identità «e di esibire o produrre gli elementi in possesso anche se detenuti sui dispositivi elettronici mobili, relativi all’età, all’identità, alla cittadinanza, nonché al paese o ai paesi in cui ha soggiornato in precedenza». Se il migrante non coopera, «il questore può richiedere all’autorità giudiziaria l’autorizzazione all’accesso ai dispositivi elettronici mobili». Su questo punto i tecnici del ministero della Giustizia avrebbero sollevato la necessità di tutelare la riservatezza del richiedente asilo. Con una modifica a un precedente decreto del 2008, le procedure per l’identificazione potranno avvenire non più solo «durante la sua permanenza in Italia» bensì «durante la procedura di esame della domanda di protezione» che quindi può avvenire anche in Albania.

PER QUANTO RIGUARDA invece più specificatamente l’ingresso di lavoratori stranieri, il provvedimento prevede quote di ingresso sulla base dei fabbisogni di manodopera, cosa che prevederà più click day nel corso dell’anno per tipologie di settori. Per evitare il ripetersi di irregolarità come avvenuto in passato, sono previsti più controlli nelle aziende che impiegano lavoratori stranieri e la segnalazione degli imprenditori che non formalizzano i contratti di lavoro.

Ma negli uffici tecnici si sta lavorando anche su altri due punti che riguardano badanti e lavoratori stranieri con contratto scaduto. Per quanto riguarda le prime, nei giorni scorsi le associazioni di categoria avevano segnalato al governo la necessità di tener conto delle necessità delle famiglie. Per questo si starebbe pensando a una «corsia dedicata» in modo da andare oltre le quote previste per consentire l’ingresso di un numero maggiore di colf e badanti. C’è, infine, il problema segnalato dalla ministra del Lavoro marina Calderone e che riguarda tutti quei lavoratori stranieri giunti alla fine del contratto di lavoro. Per evitare che precipitino nella clandestinità, come avviene oggi, si sta pensando a una sorta di permesso temporaneo che dia loro il tempo di cercare un nuovo impiego.

L’ossessione bulimica dei decreti punitivi

Il governo Meloni ha una palese ossessione per l’immigrazione. Certamente legata all’efficacia, sul piano del consenso, della campagna permanente d’odio contro le persone di origine straniera e le associazioni che si battono per i diritti umani.

Ma da questo ennesimo intervento legislativo emerge, come già dai precedenti, una quota importante di pressapochismo e confusione. Nessun governo mai, in Italia e forse in nessun altro Paese, ha legiferato così tanto e in maniera così cialtrona su un unico argomento.

In un decreto legge che dovrebbe implementare regole relative all’ingresso per lavoro, sono riusciti, secondo le bozze circolate e che non sono state approvate, a introdurre modifiche sull’applicazione della procedura accelerata alle frontiere, sulla disciplina riguardante le Ong che operano in mare ricerca e salvataggio e, addirittura, per aeromobili e droni che monitorano il mediterraneo per dare l’allarme in caso di rischio di naufragi.

Se proviamo ad elencare il numero di decreti legge e provvedimenti legislativi in genere su questo argomento, sapendo di sbagliare per difetto, emerge con chiarezza la totale incapacità di intervenire in maniera seria e giusta su un argomento così complesso.

A inizio 2023 il decreto per ostacolare le operazioni Sar delle Ong. Dopo poche settimane il decreto 20/2023, dopo la strage di Cutro, che punta a ridurre il diritto d’asilo, implementando la procedura accelerata e cercando di cancellare la protezione speciale, destrutturando il sistema di accoglienza e impedendo la conversione in lavoro della protezione speciale, cure mediche e calamità. A seguire l’aumento della lista dei Paesi sicuri, per i quali si può applicare la procedura di frontiera con garanzie molto minori e maggiore discrezionalità.

Subito dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, nonostante i numeri degli arrivi siano più bassi di quelli tra il 2015 e il 2017. A settembre, nel cosiddetto decreto sud viene aumentato il periodo di trattenimento nei Cpr e le strutture d’accoglienza straordinarie come quelle di trattenimento vengono assegnate al ministero della difesa, diventando così aree di pertinenza della difesa nazionale. Ancora a settembre 2023 viene introdotta la garanzia finanziaria per evitare il trattenimento per i richiedenti sottoposti a procedura di frontiera. Subito dopo il decreto che, tra le altre cose, abbassa a 16 anni l’età per accogliere i minori soli nei centri per adulti, insieme ad un abbassamento generale delle garanzie per i minori.

Contemporaneamente viene siglato un altro accordo con il governo tunisino, proprio mentre in quel Paese si scatena la caccia allo straniero e vengono cancellate gran parte delle garanzie democratiche introdotte dalla giovane costituzione.  Per arrivare all’accordo con l’Albania che segna una accelerazione senza precedenti nelle politiche di esternalizzazione delle frontiere, cancellando decenni di civiltà giuridica e di cultura dei diritti umani.

In questo 2024 tanti altri interventi, tutti con l’obiettivo di aggirare le convenzioni internazionali e le direttive europee, che i tribunali italiani, sempre oggetto di attacchi da parte del governo, sono obbligati ad applicare, cancellando alcune delle norme illegittime approvate dalla maggioranza. Quasi tutti i provvedimenti adottati producono maggiori difficoltà per la gestione ordinaria dell’accoglienza e introducono maggiori ostacoli per gli ingressi, rappresentando un regalo a trafficanti e criminalità.

Anche quest’ultimo intervento se dovesse essere approvato come da bozze, ed è difficile purtroppo sperare in rilevanti novità, introduce piccole modifiche di scarso impatto sulla questione principale per la quale è stato scritto, l’ingresso per lavoro, lasciando inalterata una procedura impraticabile di incontro tra domanda e offerta di lavoro a livello planetario. Si continuerà a fingere che le aziende e le famiglie, quelle 10mila nuove istanze di cui si parla per persone disabili, siano disponibili ad assumere lavoratori e lavoratrici che non conoscono e che sono dall’altra parte del mondo. Nonostante sindacati, aziende, associazioni abbiano più volte espresso la necessità, per il mondo del lavoro, di introdurre procedure trasparenti e praticabili, il governo si ostina a legiferare solo per fini elettorali e di consenso, non certamente nell’interesse del Paese.

Per Meloni, Salvini e compagnia questi interventi sono parte di quello che possiamo chiamare il loro business dell’immigrazione. Meriterebbe una attenzione diversa da parte delle opposizioni e delle forze democratiche, non solo in Italia.

Il «caos normativo» per tagliare i diritti e i servizi

Da quando si è insediato, alla fine del 2022, il governo Meloni ha prodotto sei modifiche delle norme sull’immigrazione, inserite ogni volta in decreti diversi, per tagliare poco alla volta i servizi e ridurre i diritti dei migranti. Lo sostiene uno studio della ong Action Aid e Openpolis, che denuncia come l’«l’iperproduzione normativa» ha prodotto caos amministrativo, bandi per l’accoglienza deserti e il raddoppio degli affidamenti diretti poco trasparenti alle imprese che gestiscono i Centri di accoglienza straordinaria (Cas). Secondo il rapporto, il governo farebbe anche molte resistenze a fornire i dati, «nonostante il diritto ad accedervi sia stato ribadito nelle aule di tribunale».

Per «comprendere il nuovo approccio all’accoglienza», le due organizzazioni hanno analizzato le cifre fornite dal ministero dell?interno e la banca dati dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), dov e si trovano 3.195 bandi per la gestione dei centri.

In sintesi, il rapporto dice che gli affidamenti diretti sono passati dal 35% del 2020 al 66% del 2023, per contratti da 83,1 milioni di euro nei soli primi 8 mesi del 2023. Nel 2020 si fermavano a 16,3. Nei primi mesi del 2023 ci sono stati 50 bandi per centri destinati ai minori stranieri non accompagnati, nonostante non ci sia stata nessuna emergenza sbarchi. Per usare un metro di paragone, nel 2020 ce n’erano stati solo tre. Secondo le ong, «i decreti del governo Meloni in materia di immigrazione e lo stato d’emergenza hanno trasformato in legge le consuetudini illegittime che ledono i diritti delle persone e dei minori, facendo di prassi eccezionali nuove norme».

Un’altra modifica riguarda chi chiede asilo: se non c’è posto nei centri, si aprono «strutture temporanee» in cui non è previsto nessuna competenza dei gestori e di cui non si conosce nulla. Su 1.500 posti attivati in questo modo in tutta Italia, nella banca dati dell’Anac risulta un solo bando. «Sono centri collocati sempre più ai margini, non solo delle città e dei luoghi abitati, ma anche del diritto» dice Chiara Marchetti dell’associazione Ciac di Parma, dove ci sono due strutture del genere, a Martorano e a Cornocchio. In questi centri finiscono famiglie, persone vulnerabili e minori non accompagnati, spesso costretti a convivere in promiscuità con adulti. Se anche il ricorso a queste strutture non è sufficiente, si possono raddoppiare i posti nei Cas già attivi.

Secondo il dossier, la prassi di portare i minori nei centri per adulti «facilita il compito degli uffici territoriali del governo, ma certo non è nel supremo interesse del fanciullo». Inoltre, «agevolare la concentrazione di persone in centri sempre più affollati aiuta le prefetture a trovare posti, ma derogare ai parametri di capienza può mettere concretamente a rischio qualsiasi tutela igienico-sanitaria e di sicurezza di chi vi è accolto».

Viene portato a esempio un atto della prefettura di Verbano Cusio Ossola che riporta una perizia tecnica per l’aumento a 100 posti di un centro nato per la metà degli ospiti. L’atto è stato emanato a maggio del 2023, ma il decreto che consente l’operazione è dell’ottobre successivo. «Prevedendo questa possibilità per legge, viene meno la possibilità di opporsi a quella che non sarà più considerata come un’eccezione alla regola», dice Fabrizio Coresi di ActionAid.

Nei primi 8 mesi del 2023 sono stati ripetuti 35 bandi che erano andati deserti, più di tutto il 2020. Due terzi di questi sono stati concessi con un’assegnazione diretta, per ché alla gara non si è presentato nessuno. Infine, è sempre più penalizzata l’accoglienza diffusa: l’importo messo a bando per i centri piccoli nel 2022 è sceso dal 52% del 2020 al 32%, mentre è salito dal 15% al 23% quello per le grandi strutture. Oltre la metà dei bandi anche in questo caso sono andati deserti.

 

articoli di Marina Della Croce, Filippo Miraglia e Angelo Mastrandrea pubblicati su il manifesto

 

 

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