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Operatori sanitari palestinesi torturati nelle carceri israeliane

“Gli abusi del governo israeliano nei confronti del personale sanitario palestinese sono continuati nell’ombra e devono cessare immediatamente”, denuncia Human Rights Watch

di Human Rights Watch da Valigia Blu

Secondo Human Rights Watch le autorità israeliane hanno trattenuto arbitrariamente gli operatori sanitari palestinesi impegnati a Gaza dall’inizio delle ostilità nell’ottobre 2023 e li hanno deportati in strutture di detenzione in Israele. Lì, secondo le testimonianze raccolte, hanno subito torture e maltrattamenti. La detenzione degli operatori sanitari nel contesto dei ripetuti attacchi dell’esercito israeliano agli ospedali di Gaza ha contribuito al degrado catastrofico del sistema sanitario del territorio assediato.

I medici, gli infermieri e i paramedici che sono stati rilasciati hanno descritto a Human Rights Watch i maltrattamenti subiti durante la detenzione israeliana, tra cui umiliazioni, percosse, posizioni di stress forzato, uso prolungato di manette e bende per gli occhi, negazione dell’assistenza medica. Hanno anche segnalato le pessime condizione di prigionia della popolazione carceraria, che subisce torture, tra cui stupri e abusi sessuali da parte delle forze israeliane, e il mancato accesso alle cure mediche.

“Gli abusi del governo israeliano nei confronti del personale sanitario palestinese sono continuati nell’ombra e devono cessare immediatamente”, ha dichiarato Balkees Jarrah, direttrice ad interim per il Medio Oriente di Human Rights Watch. “La tortura e gli altri maltrattamenti subiti da medici, infermieri e paramedici devono essere indagati a fondo e puniti in modo appropriato, anche dalla Corte Penale Internazionale (CPI)”.

Da marzo a giugno 2024, Human Rights Watch ha intervistato otto operatori sanitari palestinesi che l’esercito israeliano ha prelevato da Gaza novembre e dicembre 2023. Gli intervistati sono poi stati detenuti senza accuse per un periodo compreso tra sette giorni e cinque mesi. Sei di loro sono stati trattenuti sul posto di lavoro a seguito dell’assedio israeliano agli ospedali o durante le evacuazioni ospedaliere che, come riferito, erano state coordinate con l’esercito israeliano. Nessuno degli intervistati ha dichiarato di essere stato informato del motivo della propria detenzione o di essere stato accusato di un reato. Human Rights Watch ha parlato anche con sette persone che hanno assistito alla cattura di operatori sanitari da parte di soldati israeliani mentre svolgevano le loro mansioni.

Human Rights Watch ha inviato una lettera all’esercito israeliano e ai servizi carcerari israeliani con i riscontri preliminari il 13 agosto, ma non ha ricevuto risposta.

Tutte le persone intervistate hanno fornito versioni simili sui maltrattamenti subiti durante la detenzione israeliana. Dopo essere stati a Gaza, sono stati deportati in centri di detenzione in Israele, tra cui la base militare di Sde Teiman nel deserto del Negev e la prigione di Ashkelon, oppure trasferiti con la forza nella base militare di Anatot, vicino a Gerusalemme Est, e nel carcere di Ofer, nella Cisgiordania occupata. Tutti hanno raccontato di essere stati spogliati, picchiati, bendati e ammanettati per molte settimane e di essere stati costretti a confessare di essere membri del movimento di Hamas dietro minacce di detenzione prolungata, stupro e uccisione dei familiari rimasti a Gaza.

Un chirurgo “indossava camicia e scarpe da ginnastica” quando le forze israeliane lo hanno arrestato durante l’assedio dell’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahia, Gaza, lo scorso dicembre. “Eravamo in 50 a lavorare nell’ospedale, tra noi c’erano infermieri e medici”, ha raccontato. “Il soldato che ha parlato con noi ha ordinato agli uomini e ai ragazzi di età superiore ai 15 anni di evacuare l’ospedale. Quando ci hanno portato fuori dall’ospedale, ci hanno detto di spogliarci e di rimanere in mutande”.

Un paramedico ha raccontato a HRW la propria detenzione nella base di Sde Teiman, dove è stato sospeso a una catena attaccata alle manette e sottoposto a elettroshock. Si è inoltre visto negare le cure mediche per le costole rotte a causa delle percosse e prima degli interrogatori gli è stato somministrato quello che ritiene essere un probabile farmaco psicoattivo. “È stato umiliante, non riuscivo a crederci. Stavo aiutando le persone come paramedico, non mi sarei mai aspettato un trattamento del genere”.

Gli operatori sanitari hanno raccontato di essere stati puniti durante la detenzione per essersi mossi o aver parlato, anche con punizioni collettive laddove altri detenuti osavano parlare. “A volte, se uno parlava, i soldati punivano l’intera prigione, collettivamente”, ha detto uno di loro.

Secondo il ministero della Sanità di Gaza, le forze israeliane hanno arrestato almeno 310 operatori sanitari palestinesi dal 7 ottobre. Healthcare Workers Watch-Palestine, un’organizzazione non governativa, ha documentato 259 casi di detenzione di operatori sanitari, raccogliendo 31 testimonianze che descrivono torture e altri abusi da parte delle autorità israeliane, tra cui posizioni di stress, privazione di cibo e acqua, minacce di violenza sessuale e altri trattamenti degradanti. Healthcare Workers Watch-Palestine ha aiutato Human Rights Watch a intervistare gli operatori sanitari rilasciati.

La prolungata detenzione arbitraria e i maltrattamenti degli operatori sanitari hanno aggravato la crisi umanitaria a Gaza, secondo Human Rights Watch. Da ottobre, più di 92 mila persone a Gaza sono state ferite, gli ospedali funzionali hanno meno di 1500 letti di degenza e le autorità israeliane hanno permesso solo al 35% delle circa 14 mila persone che hanno richiesto l’evacuazione medica di lasciare Gaza, secondo quanto riferito il 5 agosto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

I racconti degli operatori sanitari sono coerenti con i resoconti indipendenti, tra cui quelli dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA), dei media israeliani e dei gruppi per la difesa dei diritti, che documentano decine di testimonianze di detenuti che hanno raccontato di detenzioni in isolamento, pestaggi, violenze sessuali, confessioni forzate, folgorazioni e altre torture e abusi nei confronti dei palestinesi detenuti in Israele.

Come raccontato dal quotidiano israeliano Haaretz, il 3 giugno l’esercito israeliano ha condotto indagini penali sulla morte di 48 palestinesi nelle strutture di detenzione israeliane dal 7 ottobre. Tra questi, il dottor Adnan al-Bursh, chirurgo e primario di ortopedia all’ospedale al-Shifa, e il dottor Eyad al-Rantisi, direttore di un reparto femminile all’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia.

L’articolo 3 della quarta Convenzioni di Ginevra del 1949, applicabile alle ostilità tra Israele e i gruppi armati palestinesi, stabilisce che “le persone che non prendono parte attiva alle ostilità […] devono essere trattate umanamente in ogni circostanza”. Sono vietati in ogni momento “trattamenti crudeli e torture” e “oltraggi alla dignità personale, in particolare trattamenti umilianti e degradanti”. I feriti e i malati devono inoltre essere curati.

L’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra, applicabile ai territori occupati, proibisce i trasferimenti forzati individuali all’interno del territorio occupato e le deportazioni di civili dal territorio occupato al territorio della potenza occupante, indipendentemente dal motivo. Le gravi violazioni dell’articolo 3 e dell’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra commesse con intento delittuoso costituiscono crimini di guerra.

Human Rights Watch ha riscontrato che le autorità israeliane per decenni non sono riuscite a fornire una credibile risposta alle torture e agli abusi contro i detenuti palestinesi. Secondo le statistiche ufficiali israeliane, tra il 2019 e il 2022, sono state aperte 1830 denunce di abusi contro gli ufficiali dei servizi carcerari israeliani, nessuna delle quali ha portato a una condanna penale. Le autorità israeliane non hanno permesso alle agenzie umanitarie indipendenti di accedere ai detenuti palestinesi dall’inizio delle ostilità.

I governi dovrebbero sostenere gli sforzi della giustizia internazionale per affrontare gli abusi israeliani contro i detenuti palestinesi e chiedere conto ai responsabili. Gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania e altri paesi dovrebbero fare pressione su Israele affinché ponga fine alle sue pratiche di detenzione abusiva, che costituiscono un aspetto dell’oppressione sistematica alla base dei crimini contro l’umanità delle autorità israeliane di apartheid e persecuzione contro i palestinesi.

La Corte penale internazionale sta esaminando le richieste di mandato di arresto contro alti funzionari israeliani per gravi crimini internazionali e dovrebbe garantire che le sue indagini affrontino gli abusi contro i detenuti palestinesi. Gli alleati di Israele dovrebbero fare pressione sul governo affinché permetta urgentemente un monitoraggio indipendente delle strutture di detenzione.

“La tortura degli operatori sanitari palestinesi è una finestra sulla questione molto più ampia del trattamento dei detenuti da parte del governo israeliano in generale”, ha dichiarato Jarrah. “I governi dovrebbero chiedere pubblicamente alle autorità israeliane di rilasciare gli operatori sanitari detenuti illegalmente e di porre fine ai crudeli maltrattamenti e alle condizioni da incubo di tutti i palestinesi detenuti”.

Umiliazioni, maltrattamenti e torture

Tutti gli operatori sanitari intervistati hanno parlato di umiliazioni, maltrattamenti e torture, tra cui denudamenti e percosse, posizioni di stress dolorose e prolungate, ammanettamenti quasi costanti e bendatura agli occhi. Alcuni hanno detto di essere stati minacciati di violenza sessuale e con cani da combattimento.

Abusi durante la deportazione e la detenzione

Tutti gli otto uomini raccontano di essere stati costretti a spogliarsi pubblicamente subito dopo essere stati presi in custodia. Durante la detenzione, in vari momenti sono rimasti inginocchiati per lunghi periodi ed esposti al freddo. Fotografie e video che i soldati israeliani hanno condiviso online – e verificate da Reuters – mostrano i detenuti palestinesi senza vestiti o in biancheria intima. La pubblicazione di tali immagini online è un oltraggio alla dignità personale; le immagini sessualizzate così diffuse sono una forma di violenza sessuale e costituiscono crimini di guerra.

“Siamo stati costretti a spogliarci per strada e a rimanere in boxer, uno per uno”, ha raccontato Osama Tashtash, 28 anni, medico dell’ospedale indonesiano di Beit Lahia, arrestato all’inizio di dicembre nella sua casa vicina. “Per un’ora e mezza siamo rimasti in ginocchio”. Durante quel periodo, lui e altri detenuti sono stati esposti ai pericoli delle operazioni militari israeliane nella zona. Ha detto che le schegge sono cadute su di loro mentre i soldati israeliani lanciavano granate contro le case vicine e le incendiavano.

Il dottor Khalid Hamoudeh, 34 anni, è stato arrestato la mattina del 12 dicembre all’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia. Una fotografia diffusa in tarda serata dall’emittente israeliana Channel 12 lo ha mostrato a torso nudo insieme ad altri quattro uomini, identificati come colleghi del personale sanitario. La fotografia mostra gli uomini in piedi, in fila davanti a un soldato israeliano che illumina i detenuti con un riflettore.

Stando a quanto ha raccontato, lui e i suoi colleghi sono stati fotografati e poi selezionati per il rilascio o per la detenzione. La fotografia mostra alle loro spalle centinaia di uomini seduti in una grande fossa con almeno 18 soldati israeliani che li sorvegliano.

Un’analisi dettagliata da parte di TechJournalist ha identificato diversi detenuti con le mani legate dietro la schiena, tra cui il dottor Hamoudeh.

L’immagine è stata scattata a circa mezzo chilometro a nord-est dell’ospedale: il luogo è stato identificato per primo dal ricercatore open-source FDov su X (l’ex Twitter) e successivamente confermato da HRW. Il dottor Hamoudeh ha raccontato che circa 50 operatori sanitari si sono seduti insieme, separatamente dagli sfollati interni. A lui è stato detto di spogliarsi e di rimanere in mutande, dopodiché è stato bendato.

Gli operatori sanitari hanno descritto pestaggi e abusi fisici dopo la detenzione, tra cui pugni, calci con stivali dalla punta d’acciaio, schiaffi e colpi con il calcio dei fucili d’assalto sferrati dai soldati israeliani.

Eyad Abed, 50 anni, chirurgo dell’ospedale indonesiano, trattenuto durante un’evacuazione coordinata dell’ospedale a novembre, ha raccontato a HRW:

Ogni minuto venivamo picchiati. Intendo su tutto il corpo, sulle aree sensibili tra le gambe, il petto, la schiena, e sul viso. Usavano la parte anteriore degli stivali, che aveva una punta di metallo, e poi le armi. Avevano degli accendini: un soldato ha cercato di bruciarmi, ma ha ustionato la persona accanto a me. Ho detto di essere un medico, ma a loro non importava.

Abed ha raccontato di aver riportato la frattura delle costole e dell’osso sacro a seguito dell’aggressione fisica da parte dei soldati israeliani durante l’arresto e la detenzione. A distanza di due mesi le lesioni non sono ancora guarite.

Un autista di ambulanza, mentre era detenuto con decine di altri uomini in una grande “gabbia” di metallo vicino alla barriera di confine tra Israele e Gaza, ha visto le guardie picchiare a morte due uomini, uno dei quali ha riconosciuto, con barre di metallo. L’uomo ha chiesto di restare anonimo.

Tutti gli operatori sanitari hanno descritto maltrattamenti durante la loro deportazione da Gaza alle strutture di detenzione in Israele, tra cui percosse, posizioni di stress dolorose e prolungate. Sono stati bendati, ammanettati a mani e piedi, “impilati l’uno sull’altro come pecore” e privati dell’acqua, mentre veniva spruzzato contro di loro spray al peperoncino.

Abusi nelle strutture di detenzione

Gli operatori sanitari hanno dichiarato che le autorità israeliane hanno maltrattato i prigionieri nelle strutture di detenzione all’interno di Israele. Come raccontato da quattro di loro, una volta arrivati nelle strutture di detenzione le autorità li hanno costretti a indossare pannolini per adulti, negando l’accesso ai servizi igienici.

L’autista dell’ambulanza è stato detenuto per cinque mesi. Prima è stato trasferito in una prigione di Ashkelon, dove le guardie lo hanno interrogato quotidianamente per una settimana, tenendolo legato in mutande a una sedia per 10-15 ore al giorno in una stanza con un condizionatore regolato al massimo. Ha raccontato di essere stato picchiato duramente e che stare seduto così a lungo gli provocava forti dolori alla colonna vertebrale. Le autorità gli hanno negato cibo, acqua e l’accesso a un bagno, costringendolo a urinarsi addosso. È stato poi trasferito nella prigione militare di Ofer, nella Cisgiordania occupata, dove di notte le guardie gli hanno gettato addosso acqua fredda addosso e sul materasso.

Un paramedico di 36 anni, Walid Khalili, ha raccontato che quando i soldati gli hanno tolto la benda nella struttura di Sde Teiman, si è trovato in un grande edificio “come un magazzino”, con catene appese al soffitto. Decine di detenuti in pannolino erano sospesi al soffitto, con le catene attaccate alle loro manette di metallo. Ha raccontato che il personale della struttura lo ha poi appeso a una catena, in modo che i suoi piedi non toccassero terra, lo ha vestito con un indumento e una fascia che erano attaccati a dei fili e gli ha dato scosse elettriche.

Due medici prigionieri a Sde Teiman hanno raccontato che altri detenuti si sono rivolti a loro per farsi curare le ferite inflitte dalle autorità israeliane. Quando i detenuti “hanno sollevato le loro camicie, ho visto segni di abusi e percosse fisiche”, ha detto un medico. “Ho visto uomini con bruciature di sigarette sulle braccia, era molto chiaro. Uno aveva un morso di cane sullo stomaco”, ha detto l’altro.

Come punizione per essersi mossi o aver parlato, i detenuti venivano costretti a stare in piedi, a volte per ore, con le mani ammanettate sopra la testa o fissate a una recinzione. I detenuti potevano sentire le urla di altri detenuti che venivano picchiati nelle vicinanze. Uno di loro ha raccontato che, dopo aver fatto una domanda, un ufficiale israeliano gli ha forzato le dita attraverso una recinzione di rete (“mi ha detto di stare zitto e di non dire una parola”) e ha premuto sulle dita del detenuto per diversi minuti, causandogli un forte dolore fino a quando l’uomo non è più riuscito a sentire le dita.

Secondo il racconto di tre operatori sanitari, i soldati hanno usato cani militari per intimidire i detenuti. “Minacciavano di spararci e iniziavano a caricare le armi”, ha detto un medico. “È stato un orrore. Hanno portato i cani militari. Ho urlato, è stato il momento peggiore della mia vita, perché ero ancora ammanettato e bendato, non vedevo da dove venivano i cani”. Un altro medico ha raccontato che i cani venivano portati a tarda notte per svegliare e terrorizzare i detenuti.

Minacce e atti di abuso sessuale

Tre operatori sanitari hanno raccontato di aver ricevuto minacce di violenza sessuale dalle autorità israeliane. Khader Abu Nada, 30 anni, infermiere presso l’ospedale di Beit Hanoun, nel nord di Gaza, ha raccontato che nel suo primo interrogatorio, quando ha negato qualsiasi affiliazione a Hamas, il comandante ha minacciato di violentarlo con un “bastone elettrico”. Quando Abu Nada ha continuato a negare qualsiasi affiliazione, i soldati lo hanno picchiato fino a farlo sanguinare dal naso, dalle mani e dalla bocca. Il comandante gli ha chiesto dove fosse sua madre, minacciando di portarla dal checkpoint dove era stato arrestato e di spogliarla davanti a tutti. “Quando l’ho saputo, mi sono sentito psicologicamente a pezzi. Mi sono sentito umiliato”, ha detto. Avrebbe inoltre ricevuto ulteriori minacce di stupro prima del suo rilascio.

Un paramedico detenuto, trasferito nella prigione di al-Naqab dopo 20 giorni a Sde Teiman, ha raccontato che un uomo che stava visibilmente “sanguinando dal sedere” è stato portato sul posto e messo accanto a lui. L’uomo ha raccontato al paramedico che prima di essere messo in prigione, “tre soldati lo hanno violentato a turno con un fucile d’assalto M16. Nessun altro lo sapeva, ma lui l’ha detto a me come paramedico. Era terrorizzato”. Inoltre, un medico ha raccontato di un altro detenuto: “era sulla trentina, piangeva forte, mi ha detto di essere stato aggredito sessualmente durante la perquisizione”.

Condizioni crudeli, disumane e degradanti

Tutti gli operatori sanitari hanno descritto condizioni orribili di detenzione. Abed, il chirurgo, ha detto che il cibo era “orribile” e inadeguato, e di aver perso 22 chili durante un mese e mezzo di detenzione. I bagni non erano “nemmeno adatti agli animali”. I materassi e le coperte erano sottili e le notti fredde erano “insopportabili”. Nelle celle, l’acqua per i servizi igienici e per bere era disponibile solo per un’ora al giorno, con una puzza “disgustosa” che emanava dai bagni non lavabili. “Ci hanno dato un sacco per la spazzatura. Lo riempivamo d’acqua e poi ci bevevamo sopra. L’odore era orribile, ma non avevamo scelta”, ha detto Abed.

Per i pasti dei detenuti a Sde Teiman, i soldati “svuotavano le scatolette di tonno in un sacco della spazzatura e me lo davano”, ha raccontato il dottor Khalid Hamoudeh, che dai soldati aveva ricevuto l’ordine di distribuire il cibo ai detenuti. “Una volta ho visto un soldato sputare nel sacco. Molti [detenuti] stavano morendo di fame e mi dicevano che avevano fame”. Un’infermiera detenuta ad Anatot ha dichiarato: “Ci davano due pasti al giorno. Era un cibo terribile. Bevevo solo acqua, non c’era frutta, nemmeno mele. Ci davano cibo solo per sopravvivere alla giornata”.

Khalili, il paramedico, ha raccontato che a un certo punto, mentre era detenuto a Sde Teiman, è arrivata una troupe giornalistica israeliana. Un detenuto che parlava ebraico gli ha detto che un funzionario della prigione aveva mentito ai giornalisti, sostenendo che i detenuti fossero membri di un’unità di Hamas responsabile degli attacchi del 7 ottobre. Il giorno successivo, ha raccontato il paramedico, i soldati hanno portato del cibo e lo hanno messo davanti ai detenuti, hanno ordinato loro di non mangiarlo, hanno scattato delle fotografie e poi hanno portato via il cibo.

Ammanettamento e privazione della vista 

Gli operatori sanitari hanno raccontato di essere stati ammanettati quasi costantemente durante la loro detenzione. Le autorità israeliane spesso ignoravano i detenuti che si lamentavano della stretta delle loro manette o le stringevano come punizione per le loro lamentele. In una lettera pubblica, un medico israeliano che lavora nell’ospedale militare da campo di Sde Teiman ha scritto che in una sola settimana “a due prigionieri sono state amputate le gambe a causa di ferite da manette, il che purtroppo è un evento di routine”.

Abu Nada, l’infermiere, ha raccontato di essere stato arrestato alla rotonda Kuwait di Gaza il 22 novembre, mentre stava evacuando dalla zona settentrionale con la sua famiglia. I soldati gli hanno ordinato di spogliarsi, l’hanno ammanettato e bendato, poi l’hanno preso per interrogarlo. Alla fine del primo interrogatorio un comandante militare israeliano lo ha preso a pugni e calci, ordinando poi a un altro soldato di stringergli le manette e di trascinarlo in un campo aperto, dove è rimasto in ginocchio per un’ora.

“I polsi mi facevano così male che mi sentivo paralizzato e intorpidito. Ho pianto tanto, non riuscivo a sopportare il dolore”, ha raccontato Abu Nada. Quando ha chiesto a un soldato di allentare le manette, il soldato gli ha dato ripetutamente un calcio in testa.

“Gli ho chiesto di uccidermi perché non ce la facevo più”. I soldati israeliani lo hanno ignorato o picchiato in risposta alle molteplici richieste di allentare le manette.

Abu Nada ha raccontato che in seguito i suoi polsi sono diventati neri. Teme di aver riportato danni permanenti a causa degli abusi: “Sento ancora dolore alle mani. Sono deboli e non ho la forza di tenere o trasportare nulla. Ho ancora dolore dalle spalle fino alla punta delle dita. Ho forti dolori al collo dovuti alla pressione sulla testa quando continuavano a spingere le nostre teste verso il basso”.

Come ha segnalato Physicians for Human Rights, la contenzione fisica prolungata causa dolore intenso e può provocare danni permanenti ai nervi che interferiscono con l’uso delle mani e, in casi estremi, possono portare alla morte.

Tutti gli operatori sanitari hanno inoltre denunciato di essere stati bendati in modo prolungato e quasi costante. Secondo Physicians for Human Rights, “la bendatura può, anche con un uso a breve termine, indurre allucinazioni visive in individui sani. Per periodi prolungati, può contribuire all’insorgenza di disturbi d’ansia, depressione, abuso di sostanze e PTSD (disturbo post-traumatico da stress) a medio e lungo termine”.

Negligenza medica

Le persone intervistate hanno descritto la negligenza medica, a fronte delle numerose richieste dei detenuti e il loro chiaro e urgente bisogno di cure per condizioni di salute preesistenti, per ferite subite durante le ostilità a Gaz o per abusi durante la detenzione.

Un infermiere dell’ospedale di Awda (l’uomo ha chiesto di restare anonimo), nel nord di Gaza, ha raccontato che il 21 novembre è stato ferito quando un attacco aereo israeliano ha colpito la struttura. All’ospedale di Awda è stato operato d’urgenza per stabilizzare le dita rotte e un tendine lacerato nella mano destra, che è stata poi ingessata, mentre una ferita aperta sulla mano sinistra è stata avvolta in una garza.

Il giorno successivo, l’infermiera ha lasciato l’ospedale in ambulanza insieme ad altre 15 persone, tra cui i pazienti, i loro accompagnatori e il personale, in un’evacuazione organizzata dalla Croce Rossa e da Medici senza frontiere (MSF). “L’ospedale ha comunicato ai militari israeliani il numero di targa della nostra auto, i documenti e i nomi. Tutto è stato approvato”, ha detto.

Poco dopo la partenza, i soldati israeliani hanno fermato l’ambulanza e ordinato a tutti i passeggeri di uscire. L’infermiere e un altro medico sono stati presi da parte e gli è stato ordinato di spogliarsi.

“La mia mano destra era ingessata e con [impianti] in titanio; non potevo usarla. Non potevo nemmeno fare pipì da sola. Il medico trattenuto con me mi ha aiutato a togliermi i vestiti, persino le scarpe”.

Una volta ammanettato e bendato, l’infermiere è stato portato alla base militare di Anatot. All’arrivo i soldati gli hanno presentato un uomo come medico, che ha poi esaminato le sue ferite senza fare altro. Nonostante le ripetute richieste, la medicazione è stata cambiata per la prima volta solo il terzo o quarto giorno di detenzione e poi raramente. “Hanno cambiato solo la garza sulle ferite – nessuna scansione, nessuna medicazione adeguata, niente. La mia ferita, la pelle era aperta, ma non mi è stato dato nulla per trattare eventuali batteri”, ha detto. Dopo una settimana di detenzione l’infermiere è stato rilasciato. Ha avuto bisogno di un intervento chirurgico per curare le emorroidi, dovute al fatto di essere stato costantemente seduto e preso a calci durante la detenzione.

Il dott. Hamoudeh ha raccontato che durante la sua detenzione a Sde Teiman, a fine dicembre, ha visto un altro detenuto con evidenti lesioni da percosse: “avevo il terrore che morisse”. Ha avvisato il personale che si era presentato come paramedico (non ha mai visto un medico israeliano nella struttura). “Hanno scattato delle foto e le hanno inviate a qualcuno. Il soldato ha poi detto loro di fermarsi e di non prestare altre cure mediche”, ha raccontato. Quando parlava ai soldati di persone bisognose di cure mediche, loro gli rispondevano che non importava se morissero o meno.

Il dottor Hamoudeh ha raccontato inoltre che a dicembre i soldati hanno portato cinque medici detenuti, tra cui il dottor Adnan al-Bursh, primario di ortopedia all’ospedale al-Shifa di Gaza, dichiarato morto dalle autorità carcerarie israeliane nella prigione di Ofer ad aprile. “Il dottor Adnan soffriva a causa delle percosse. È stato anche punito. Aveva un visibile trauma contusivo e aveva difficoltà a respirare. Quello che è successo a lui, è successo a molti. C’è un’evidente negligenza medica”.

Il dottor Osama Tushtash, 28 anni, si è ammalato di una forte febbre dopo una settimana di detenzione in quella che credeva essere la prigione di al-Naqab, ma le autorità israeliane si sono rifiutate di fargli vedere un medico o anche di dargli un antidolorifico. “Mi hanno solo detto di bere acqua”, ha detto.

Khalili, il paramedico, ha subito la rottura delle costole e una lesione polmonare a causa delle percosse, ma non ha ricevuto alcun trattamento medico mentre si trovava a Sde Teiman. Ha detto di aver visto un detenuto morire, probabilmente per un arresto cardiaco. Quando un soldato ha portato un medico a confermare la morte del detenuto, i detenuti hanno gridato “Allahu akbar”, provocando un violento raid da parte di un’unità speciale israeliana incaricata delle incursioni nelle prigioni.

Le autopsie dei palestinesi morti nelle strutture di detenzione israeliane hanno indicato negligenza medica e segni di abusi fisici, tra cui lividi e ossa rotte, secondo quanto rivelato dal quotidiano Haaretz a marzo. Un rapporto pubblicato da Physicians for Human Rights ha documentato trattamenti senza consenso, interventi chirurgici eseguiti senza un anestesista e interferenze politiche nelle decisioni mediche nelle strutture di detenzione.

In una lettera agli alti funzionari israeliani, un medico dell’ospedale da campo di Sde Teiman ha descritto pratiche che mettono a rischio la salute dei detenuti, tra cui la mancanza di personale medico addestrato e il trasferimento dei pazienti alla struttura di detenzione dopo solo un’ora di osservazione a seguito di “importanti operazioni [chirurgiche]”, ha riferito Haaretz.

L’articolo 91 della Quarta Convenzione di Ginevra richiede che le strutture che trattengono i civili “dispongano di un’infermeria adeguata, sotto la direzione di un medico qualificato”, dove i detenuti possano ricevere “l’attenzione di cui hanno bisogno, nonché un’alimentazione adeguata”. Secondo il diritto internazionale, l’assistenza medica per i detenuti dovrebbe essere almeno equivalente a quella disponibile per la popolazione generale. Le attuali condizioni di detenzione violano la legge israeliana sull’incarcerazione dei combattenti illegali, che prevede il diritto dei detenuti alle cure mediche, alle condizioni igieniche, a una sistemazione sana e dignitosa per il sonno e all’esercizio fisico quotidiano all’esterno.

Uso dei detenuti come funzionari

Due operatori sanitari detenuti in strutture diverse hanno raccontato che i comandanti militari israeliani li hanno incaricati di agire come funzionari dei prigionieri o come shawish (che nel gergo arabo significa “servo” o “subordinato”). Gli uomini hanno detto che gli shawish, che fungono da funzionari tra le guardie e i detenuti, sono gli unici detenuti a non essere costantemente bendati, anche se le loro mani rimangono ammanettate. Gli uomini preparano e distribuiscono il cibo, assistono i detenuti nel mangiare o nell’usare il bagno, puliscono le stanze, trasferiscono i detenuti agli interrogatori e forniscono assistenza medica di base.

Secondo i whistleblower sentiti dalla CNN, le autorità israeliane hanno nominato i detenuti come shawish solo dopo che sono stati scagionati da sospetti legami con Hamas, senza che vi fossero perciò motivi per trattenerli. L’esercito israeliano ha negato di trattenere i detenuti senza motivo.

Il dottor Hamoudeh ha raccontato che i soldati a Sde Teiman gli hanno detto di comportarsi da shawish perché parlava inglese, avvertendolo: “Se fai qualcosa, sarai punito peggio degli altri”. È stato interrogato solo una volta, per circa 10 minuti, il decimo giorno di detenzione, ed è stato rilasciato senza accuse dopo 22 giorni.

Abu Nada, l’infermiere, ha detto che le autorità della base militare di Anatot gli hanno detto di lavorare come shawish. Il quinto giorno di detenzione, un soldato che parlava in arabo gli ha detto che, se voleva un avvocato, doveva fornirgli il numero di telefono, cosa che non poteva fare. Ha raccontato che il soldato gli ha detto: “Non abbiamo trovato nulla su di te. Ma continueremo a indagare”. È stato rilasciato senza accuse dopo circa otto giorni, il 1° dicembre.

Dopo aver tolto la benda, il dottor Hamoudeh ha visto da 10 a 20 detenuti con problemi medici a Sde Teima. Alcuni di loro avevano bisogno di cure immediate. “I soldati mi hanno affidato questa responsabilità, ma [mi hanno lasciato] senza attrezzature e strutture mediche adeguate”, ha detto Hamoudeh. “Avevo il terrore che alcuni morissero. […] Lo shawish prima di me mi ha detto [prima di essere rilasciato] che tre detenuti sono morti durante il suo periodo”.

Abu Nada ha accompagnato i detenuti ammanettati e bendati dal “magazzino” alla sala interrogatori. “Per tutto il tragitto, i soldati li prendevano a calci e li aggredivano”, ha raccontato. “Piangevo quando li trasferivo, perché ero io a portarli a questa tortura. I soldati mi dicevano di girare il viso per non guardare mentre continuavano a prendere i detenuti a calci e a picchiarli”.

 

 

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