Torino: quattro studenti sono ai domiciliari da 7 mesi per aver protestato contro l’alternanza scuola-lavoro
- dicembre 14, 2022
- in misure repressive
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Dal 12 maggio scorso, 4 studenti incensurati si trovano agli arresti domiciliari per aver manifestato e protestato contro l’alternanza scuola-lavoro
di Valeria Casolaro
Nella giornata di domani la Cassazione si pronuncerà in merito alla gravità delle misure cautelari assegnate ai militanti del centro sociale Askatasuna prima dell’inizio del processo per associazione sovversiva. Nessuna possibilità di allentamento delle misure cautelari per il momento, invece, per i quattro ragazzi che dal 12 maggio scorso si trovano in regime di restrizione della libertà personale per aver preso parte, a Torino, alle proteste di fronte alla sede di Unione Industriale, nel corso delle quali alcuni poliziotti sono stati lievemente feriti. In anticipo sulla scadenza delle misure cautelari, infatti, il giudice per le indagini preliminari ha accolto la richiesta di procedere con il giudizio immediato, di fatto prolungando le misure cautelari fino al 1° febbraio, data di inizio del procedimento a loro carico. Sui quattro ragazzi, tutti incensurati, pesa l’aggravante del concorso in reato e della resistenza a pubblico ufficiale. Una di loro, Sara, si trova ai domiciliari per il reato di speakeraggio, ovvero per aver preso la parola al megafono nel corso della protesta.
«È stata una novità anche per gli avvocati difensori, non era accaduto mai nulla di simile prima in un procedimento di questo tipo» riferisce a L’Indipendente Irene, madre di Emiliano, uno dei ragazzi coinvolti nella vicenda. Il riferimento è alla decisione del giudice di procedere con il giudizio immediato. Emiliano e Jacopo, sottoposti alle misure più severe – dovendo indossare un braccialetto elettronico – hanno 23 anni. Francesco e Sara, i quali si trovano ai domiciliari seppur in regime meno restrittivo, 21.
Ciò che colpisce è la sproporzione tra i fatti – reati e protagonisti compresi – e le misure cautelari conseguenti. «Visto che stavano per decorrere i termini delle misure, a inizio di novembre, la procura di Torino – spiega l’avvocato Claudio Novaro che difende due dei giovani, mentre gli altri due sono rappresentati da Valentina Colletta – ha stralciato la loro posizione, distinguendola dagli altri imputati, portandoli così a giudizio immediato. Il processo inizierà il primo febbraio e i quattro ragazzi non passeranno dall’udienza preliminare come toccherà agli altri il 9 gennaio. La situazione è paradossale ed è purtroppo un tratto distintivo del modello torinese, si veda anche per la repressione dei No Tav, che si è ormai costituito come laboratorio di dispositivi repressivi. Altrove non si ricorre a misure cautelari così gravi per fatti simili. Lo schema è lo stesso: si sovradimensiona un fatto, lo si decontestualizza e non si tiene conto che sono ragazzi giovani e incensurati, anzi se ne rafforza la presunta pericolosità sociale. Prima ne sono stati tenuti in carcere 3 su 4, poi due hanno ottenuto i domiciliari. Per l’ultimo, abbiamo faticato un po’ e abbiamo dovuto aspettare due mesi».
Nessuno di loro ha precedenti, eppure da sette mesi sono sottoposti a misure cautelari per gli scontri con la polizia avvenuti lo scorso 18 febbraio di fronte alla sede di Unione Industriale in via Vela, a Torino. Quel giorno alcuni poliziotti sono rimasti feriti: il caso più grave ha richiesto una prognosi di appena una settimana. «La ragazza, Sara, non partecipò – precisa Novaro – al breve scontro ma era al megafono e le è stato riconosciuto il concorso morale. Ricordiamo il precedente di Dana Lauriola che aveva preso due anni per aver parlato al megafono» Le proteste avevano avuto luogo nell’ambito del più ampio movimento studentesco contro le misure del PCTO e di richiesta di rinnovamento del sistema scolastico: proprio qualche giorno prima, sempre a Torino, gli agenti in tenuta antisommossa avevano violentemente caricato (senza motivo) gli studenti dei licei in presidio in piazza Arbarello che chiedevano di poter avviare un corteo per le vie della città. Diversi ragazzi, tutti minorenni, erano rimasti feriti, alcuni in modo grave.
«Quello che ci colpisce maggiormente è che non ci sia stato un processo: perché questi ragazzi sono dovuti stare sette mesi ai domiciliari, seppur incensurati? Nonostante tutte le richieste portate avanti dagli avvocati, non c’è stato modo di farli uscire» riferisce a L’Indipendente Irene, membro del comitato Mamme in piazza per la libertà di dissenso, il cui fine è «portare una testimonianza collettiva della violenza assurda contro chi protesta, non solo di chi al momento è coinvolto nei fatti». Il figlio, dopo aver trascorso un primo periodo in detenzione nel carcere torinese Lorusso e Cutugno di Torino, dal 6 giugno scorso può muoversi solamente all’interno di un perimetro che comprende casa, balcone e pianerottolo. Per poter sostenere gli esami universitari, effettuare visite mediche o semplicemente vedere i parenti non conviventi è necessaria la richiesta del giudice.
Emiliano, perito agrario iscritto alla facoltà di Veterinaria, «ha perso tutto, dal lavoro alla possibilità di poter seguire un corso di specializzazione per il quale aveva già passato delle selezioni» spiega Irene, commentando come «a Torino la questura e la magistratura hanno un accanimento nei confronti del dissenso che non è spiegabile».
Sono infatti numerosi i procedimenti ai danni dei movimenti di lotta attualmente in corso nel capoluogo piemontese, dalla nuova condanna al carcere per la 76enne No TAV Nicoletta Dosio al processo contro i militanti del centro sociale Askatasuna. Se per il legislatore – sottolinea, infine, l’avvocato Novaro – non deve essere applicabile la custodia in carcere se si ritiene che, all’esito del giudizio, «la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni», per capire la sproporzione delle quattro misure «basta ricordare che in trent’anni in tema di manifestazioni di piazza a Torino mai si è superata, all’esito del giudizio, la pena di tre anni di detenzione». E per sapere se potranno tornare liberi o meno, Emiliano, Jacopo, Sara e Francesco dovranno attendere un’altro mese e mezzo.
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