Padova – Ingabbiati per undici ore al gelo nel parcheggio della Questura: 50 siriani tra loro 8 bambini
Sbarcati a Crotone alle 13.30 di martedì, viaggiano per 14 ore verso Padova: costretti ad essere identificati
Ce l’abbiamo fatta. Ikram non può aver pensato che questo quando il mercantile su cui ha viaggiato dalla Turchia all’Italia è approdato al porto di Crotone. Erano le 13.30 di ieri (martedì 9 dicembre) e lui, in fuga da molto tempo, era convinto di aver trovato protezione.
Ma quando alle 8.00 di questa mattina sentiamo la sua voce al telefono, sembra già aver cambiato idea. Dopo meno di ventiquattrore deve essersi reso conto che l’Europa dei diritti umani è ben altro da ciò che aveva immaginato.
Lui, insieme ad un gruppo di altri 49 siriani, nonostante un viaggio in mare durato giorni, è stato immediatamente fatto salire su un pullman che dalla Calabria si è mosso alla volta di Padova; un percorso di oltre mille chilometri per un totale di oltre dodici ore. Poco male, verrebbe da pensare. Forse Ikram e soprattutto gli otto bambini che sono con lui potranno finalmente rifocillarsi accolti in un centro di accoglienza. Ed invece no. Perché oltre al viaggio in mare, oltre a quello in pulmann, Ikram e gli altri 49 rifugiati siriani saranno costretti a trascorrere undi ore (dall’arrivo alle ore 4.00 alle 15.30 del pomeriggio) ingabbiati nel parcheggio interno della Questura di Padova, in attesa di essere identificati.
La telefonata è breve. La sua voce è stanca, non abbiamo molto tempo per parlare, ma non è difficile capire che è arrabbiato e disperato: “help us please!” – ci dice – We don’t eat, we don’t sleep, there are childrens with us, and the Police want our finger-print!. Ikram, come tutti gli altri, non vuole essere dientificato. Per lui, come per i suoi compagni di viaggio la meta, non è certo una novità, sono la Svezia o la Germania. E dopo questo impervido tragitto non ha nessuna intenzione di infrangere il suo sogno nel parcheggio di un ufficio di Polizia europeo diventato per l’occasione un informale centro di identificazione.
Intorno alle 8.30 ci precipitiamo davanti alla Questura e chiediamo di parlare con un responsabile. Vorremmo poter entrare all’interno del cortile dove ormai da più di quattro ore (ne rimarranno oltre undici) il gruppo è costretto a stazionare. Sono al freddo, non hanno mangiato, e noi vogliamo verificare le loro condizioni. Chiediamo che vengano immediatamente trasferiti in una “centro di accoglienza” e che gli venga fissato un appuntamento per i giorni seguenti. Ma la risposta è sempre la stessa: “abbiamo l’ordine di non dire nulla, di non farvi avvicinare”. Eppure Ikram e gli altri non sono in stato di detenzione.
L’aspetto più delicato è ovviamente proprio quello legato alla procedure di identificazione. Secondo la Polizia i cinquanta si trovano in stato di “fermo identificativo”. Loro però hanno il passaporto e dovrebbe bastare. Identificare una persona significa infatti poter risalire alla sua identità. Nessuno di loro si è rifiutato di esibire i documennti e pertanto il fermo identificativo non ha alcuna giustificazione. Le procedure che sono in corso sono invece quelle che vengono effettuate quando un migrante esprime la volontà di chiedere asilo in Italia. Si tratta dei rilievi svolti per l’inserimento dei dati in Eurodac, il sistema informatico europeo che serve per far funzionare le gabbie del regolamento Dublino e non vi è alcun limtie di tempo per effettuarli. Non è certo una novità che, proprio le Questure, abbiano per molto tempo (anche per mesi) rinviato il momento della formalizzazione della domanda d’asilo di migliaia di richiedenti asilo che invece in Italia volevano rimanere. Almeno fino a quest’estate poi, anche questo non è certo un segreto, il rilevamento delle impronte dei cittadini siriani ed eritrei non veniva neppure effettuato, con la speranza che potessero defluire verso altri paesi e dare un pò di tregua al disorganizzato sistema di accoglienza italiano.
Eurodac, il sistema informatico europeo che serve per far funzionare le gabbie del regolamento Dublino
Da settembre però qualcosa è cambiato. Ma perché tanta fretta di procedere al foto-segnalamento?
Gli altri Stati Membri, nel corso dell’estate, hanno chiesto all’Italia di intervenire proprio per mettere fine all’afflusso di richiedenti asilo verso il Nord Europa. Germania e Svezia (che ospitano rispettivamente 1.337 e 5.700 richiedenti asilo per ogni milione di abitante, contro i 432 dell’Italia) hanno così concesso l’avvio dell’operazione Triton/Frontex, che ha permesso al Governo Renzi di mettere fine a Mare Nostrum.
Così, da settembre, una direttiva del Ministero dell’Interno ha dato istruzioni alle Questure affinché i rilevamento delle impronte per l’inserimento in Eurodac venga effettuato in maniera “rigorosa”. Negli scorsi mesi, proprio a seguito dell’emenazione della circolare, si sono susseguiti episodi di violenza nei centri del sud, dove le identificazioni sono avvenute mediante l’uso della forza, con veri e propri pestaggi. Da moltissime altre parti invece la strategia è stata quella del raggiro. Chi doveva fornire informazioni sui diritti e le procedure connesse alla richiesta di protezione internazionale (così come sulla conseguente impossibilità di spostarsi liberamente in altri Stati UE) ha invece cercato di convincere i miganti ad appoggiare i polpastrelli nella fatidica piastrina, mettendo fine a sogni e speranze. D’altro canto è la circolare stessa a prevederlo, senza mezzi termini, precisando che “oltre alla denuncia, in caso di rifiuto di essere identificati, la Polizia procederà all’acquisizione delle foto e delle impronte digitali anche con l’uso della forza se necessario.
Eppure non c’è giorno in cui non vengano sollevate polemiche contro i profughi “ospitati” dall’Italia, colpevoli di costare troppo, invitati a “tornare a casa loro”. ed i migranti che invece vogliono raggiungere altri paesi vengono forzati a presentare domanda d’asilo in Italia. Una follia.
Ma il grande carrozzone dell’accoglienza all’italiana non sembra avere un granché a cuore i desideri di chi fugge dalla guerra. E’ così che il parcheggio di piazzetta Palatucci si è trasformato in un nuovo confine da superare, un’altra frontiera che divide Ikram ed i suoi amici, dal loro futuro.
Il parcheggio della Questura si è trasformato in una nuova frontiera che divide Ikram dal suo futuro
Passiamo la mattinata tra i cancelli della Questura e la sala d’aspetto dell’ufficio immigrazione. Seguiti a vista. Non possiamo in alcun modo entrare in contatto con i siriani che invece avevano chiesto di poter essere accompagnati da noi. Anche la stampa arrivata sul posto riceve lo stesso trattamento: non si può sapere nulla. E’ un pò lo stesso silenzio che mortifica il diritto di cronaca ogni volta che si cercano informazioni sui dispositivi di accoglienza, sulle convenzioni, sugli appalti, sulle procedure. Quel vuoto di informazione che ha permesso alla “mafia romana” di agire indisturbata sulla pelle dei migranti e che permette quotidiane prassi illegittime contro i richiedenti asilo ed i rifugiati, non di rado condannate dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, anche di recente.
Intanto il tempo passa ed il telefono di Ikram si spegne. Perdiamo i contatti. Fino a quel momento è riuscito ad evitare l’identificazione.
Alle 13 arriva il momento della conferenza stampa. Incontriamo un portavoce della Questura che però chiarisce subito di non saper nulla della vicenda.
Secondo lui tutto si sta svolgendo secondo il protocollo, si tratta di normali operazioni e tutti si trovano al caldo: noi giriamo lo sguardo e scostiamo la tenda indicando il gruppo che staziona all’esterno. “E’ una bella giornata ci dice il portavoce”.
Quando chiediamo spiegazioni su quanto sta avvenendo le risposte sono vaghe. In ogni caso ci dice, “i mediatori sono al lavoro per convincere i migranti a lasciare le impronte”, come fosse un obbligo. E pioi aggiunge: “chi non ottemperà sarà denunciato, probabilmente ai sensi dell’art 650 del codice di procedura penale.
Intanto un pullman bianco si prepara per un nuovo trasferimento. Passa ancora quanche ora ed all’alba delle 15.30, dopo ben più di otto ore trascorse al freddo, i quaranta uomini, le due donne e gli otto bambini costretti ad un trattamento inumano all’interno della Questura di Padova salgono sul pullman e vengono trasferiti a Monselice. Li incontreremo insieme ai volontari dell’Associazione Razzismo Stop.
Ma probabilmente Ikram ci rimarrà solo poche ore per poi dirigersi verso il confine, magari passando per la Stazione Centrale di Milano, alla ricerca di un trafficante a cui riempire le tasche per superare la frontiera, per poi accorgersi, una volta arrivato a destinazione, che quel confine che pensava di aver attraversato una volta per tutte, grazie a quell’identificazione, non lo abbandonerà probabilmente mai.
Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa