Quasi mille arresti compresi alcuni leader del Pakistan Tehreek-e-Insaf, il partito che da mesi chiede la scarcerazione del suo fondatore ed ex primo ministro Imran Khan
di Matteo Miavaldi da il manifesto
Nella notte tra martedì 26 e mercoledì 27 novembre nel quartiere amministrativo di Islamabad, dove erano accampati migliaia di manifestanti del Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), improvvisamente si spengono le luci. Blackout totale, programmato dalle autorità cittadine per facilitare le operazioni di sgombero della polizia e dei ranger, chiamati a respingere gli uomini e le donne che da giorni chiedono la liberazione dell’ex premier Imran Khan, in carcere da oltre un anno accusato di corruzione.
Nella notte, le forze di sicurezza si muovono senza ricorrere all’uso di armi da fuoco: sparano lacrimogeni, agitano i manganelli, arrestano più di mille persone.
All’alba il D-Chowk, lo snodo stradale a pochi passi dai principali palazzi del potere pachistano per giorni occupato dai manifestanti del Pti, è effettivamente sgomberato: le autorità cittadine annunciano che sono iniziate le operazioni di pulizia, riaprono i negozi, i mercati, gli uffici, le scuole.
Sulle arterie stradali che portano fuori da Islamabad, da giorni presidiate dalle forze dell’ordine e barricate per impedire l’ingresso dei manifestanti in città, sfila la folla che si allontana dalla capitale. La protesta è finita.
I due leader carismatici della eccezionale mobilitazione di questi giorni, la moglie di Khan Bushra Bibi e il chief minister della regione del Khyber Pakhtunkhwa Ali Amin Gandapur, nella mattinata di mercoledì 27 novembre fanno sapere di essere al sicuro, lontano da Islamabad. Gandapur insiste che la protesta non è finita, che la richiesta di scarcerazione di Khan rimane, assieme a quella di dare mandato al Pti di formare un governo “legittimo” – avendo aritmeticamente vinto, da indipendenti, le elezioni di febbraio 2024 – e di stralciare l’emendamento della costituzione che permette al governo in carica di nominare i giudici.
Ma l’impressione è che in Pakistan si sia arrivati a uno spartiacque.
La mobilitazione del Pti – la quarta in quattro mesi – è fallita, la base del Pti che aveva raggiunto Islamabad da ogni angolo del Pakistan rispondendo alla chiamata dei vertici politici ora si sente tradita: i principali leader del partito e Bushra Bibi sono stati i primi a scappare dal D-Chowk, nonostante per giorni abbiano detto che nessuno si sarebbe mosso da Islamabad finché Khan non fosse tornato in libertà.
Chi tra i leader non è riuscito a fuggire è stato arrestato assieme a quasi un migliaio di manifestanti e già il governo annuncia indagini per stabilire le responsabilità degli scontri che hanno portato alla morte di tre ranger e un poliziotto. Il Pti dice che le forze di sicurezza hanno ucciso otto manifestanti, ma per Islamabad ufficialmente non ci sono state vittime tra i civili.
I mandati d’arresto che probabilmente arriveranno tra pochi giorni e i processi a carico della leadership di Pti saranno il coronamento di una strategia che da giorni appariva già piuttosto chiara: il governo presieduto da Shehbaz Sharif e i militari – i grandi burattinai del Potere pachistano – intendevano approfittare della repressione delle proteste per indebolire ulteriormente il Pti, che godendo di ampio consenso popolare per mesi ha rappresentato una spina nel fianco di uno tra gli esecutivi più deboli e delegittimati della storia pachistana.
Il primo ministro Sharif nella serata di mercoledì ha ringraziato l’esercito per il supporto nella gestione delle proteste e ha promesso misure durissime per i manifestanti: «È tempo di prendere decisioni dure poiché non abbiamo scelta, dobbiamo concentrarci sullo sviluppo e sulla prosperità del paese. Questi agenti del caos non avranno più occasione di intralciare lo sviluppo del Pakistan».
Le dichiarazioni di Sharif arrivano al termine di una giornata in cui la borsa pachistana ha festeggiato il ritorno alla normalità: +5% e quasi metà delle perdite registrate nei giorni scorsi è stata recuperata nel giro di ventiquattro ore.
Imran Khan è ancora in carcere e per tutta la giornata non ha fatto filtrare dichiarazioni. I prossimi passi per il Pti, dicono i vertici del partito, li deciderà lui.
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