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Palestina: strage israeliana di civili in fila per il cibo a Gaza City

Palestina. Le bombe continuano a cadere su Gaza, ormai da 146 giorni: 25 morti accertati a Nuseirat, raid su Khan Younis e Rafah, mentre una vera e propria strage dai contorni ancora non definiti – fonti ufficiali e Al Jazeera danno conto di 70 morti e 250 feriti, mentre altre fonti locali e sanitarie parlano di 150 morti e 1000 feriti – riguarda Al Rasheed Street, periferia ovest di Gaza City.

Il massacro israeliano ha colpito centinaia di persone stavano aspettando di ricevere aiuti umanitari per non morire di fame. Video raccapriccianti sui social mostrano persone a terra, a caccia di un sacco di grano o farina, freddati dai cecchini di Tel Aviv che impediscono alle ambulanze di avvicinarsi per aiutare i feriti o recuperare i morti.

In una nota ufficiale l’Ufficio Media del Governo di Gaza, gestito da Hamas, spiega: “le persone erano andate a prendere cibo e aiuti dopo essere rimasti affamati insieme a più di 700.000 persone per 146 giorni. L’esercito israeliano era consapevole che le persone erano lì per procurarsi cibo e aiuti, eppure le ha uccise a sangue freddo. Riteniamo personalmente gli Usa e il presidente Biden, la comunità internazionale, Israele e le organizzazioni internazionali che si sono sottratte alle proprie responsabilità, pienamente responsabili degli omicidi di massa, dei massacri, del genocidio e della guerra per fame portati avanti dall’esercito di occupazione israeliano”.

La testimonianza  dal luogo del massacro a Gaza City di un giornalista palestinese di Al Quds News, tradotta in italiano da Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica

Così il 146esimo giorno di bombe, mentre in totale superano 30mila le vittime dal 7 ottobre, oltre a 71mila feriti, 10mila dispersi e tutta la popolazione della Striscia – 2.3milioni di persone – sfollate, in condizioni più che disastrose.

Di carestia e genocidio parlano ormai esplicitamente anche le ong e le agenzie Onu.

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114 uccisi, la strage degli affamati: spari su chi cercava pane

Le ambulanze non bastavano ieri. Molti corpi di morti e feriti li hanno caricati su carretti tirati da asini, altri sulle poche auto disponibili, altri ancora sui rimorchi degli autocarri che avevano portato gli aiuti umanitari. «La sparatoria è stata indiscriminata, (i soldati israeliani) hanno sparato alla testa, alle gambe, all’addome», racconta Ahmed, 31anni, uno dei feriti e testimone di quei minuti insanguinati in cui si è consumata la strage, una delle peggiori dall’inizio dell’offensiva israeliana di terra a Gaza alla fine di ottobre. Nessuno sa quanti palestinesi siano rimasti uccisi ieri mentre albeggiava alla rotatoria Nabulsi in via Rashid a Gaza city. Almeno 114 secondo un bilancio diffuso nel pomeriggio. Molti feriti sono in condizioni critiche e considerando che nel nord della Striscia gli ospedali non sono più operativi, perché privi di tutto, non pochi di questi sono destinati a morire.

La versione israeliana, come previsto, addossa tutta la responsabilità dell’accaduto ai palestinesi. «Questa mattina (ieri) i camion degli aiuti umanitari sono entrati nel nord di Gaza, i residenti li hanno circondati e hanno saccheggiato i rifornimenti in consegna. In seguito agli spintoni, al calpestio e perché investiti dai camion, numerosi abitanti di Gaza sono rimasti uccisi e feriti», ha scritto il portavoce militare. Che poi ha ammesso che i soldati del vicino posto di blocco «hanno aperto il fuoco quando si sono sentiti in pericolo per l’avvicinarsi della folla». E ha anche diffuso un video, ripreso forse da un drone, che mostra centinaia di puntini (i civili palestinesi) che si ammassano intorno ad autocarri. Immagini che non dicono granché. I palestinesi invece raccontano che, come accade spesso in questi casi, una gran numero di persone sin dalla prime ore del giorno si erano riunite in via Rashid in attesa di un convoglio di aiuti umanitari. Nel nord della Striscia e a Gaza city manca tutto, a cominciare dal cibo, e la gente affamata aspetta gli aiuti e altri generi di prima necessità come se fosse l’ultima possibilità di vita. Non si trattava di un convoglio dell’Onu o di Ong internazionali. Erano trenta autocarri con rimorchio organizzati da privati con il via libera dal Cogat, il coordinamento degli affari civili dell’esercito israeliano. Erano entrati a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom di notte e hanno proseguito verso nord. Una volta superati i posti di blocco militari, hanno raggiunto intorno alle 4 il quartiere di Rimal dove sono stati circondati dalla folla di affamati, persone che non mangiano tutti i giorni e che devono lottare anche per l’acqua potabile. Procurarsi la farina per preparare il pane è fondamentale per molti di quelli che di solito assaltano i camion: a Gaza il flusso di autocarri provenienti dall’Egitto si è ridotto a febbraio rispetto al mese precedente. Ammar Helo, un palestinese di 30 anni sopravvissuto alla strage di ieri, ha detto al portale Middle East Eye che andrà ogni volta che arriveranno i camion degli aiuti nonostante il rischio di morire: «Non abbiamo pane, non abbiamo farina, mangiamo il mangime per gli animali e sta finendo anche quello, tutta Gaza è distrutta, un terremoto mandato da Dio sarebbe stato meglio».

È probabile che nella calca alcuni siano rimasti uccisi o feriti, ma nei video che circolavano ieri si possono sentire bene le lunghe, interminabili raffiche di mitra sparate dai militari israeliani e non solo alle gambe come invece affermano le fonti militari. «Abbiamo ricevuto 70 corpi di martiri e decine di feriti e non mostravano i segni tipici di persone calpestate o morte per soffocamento come escoriazioni, contusioni, schiacciamento del torace e di altre parti del corpo», ha raccontato il dottor Jadallah al Shafi dell’ospedale Shifa, il più grande di Gaza assaltato a novembre che di recente è riuscito a riabilitare tre sale operatorie. «Abbiamo ricevuto persone che erano state colpite da proiettili, talvolta in più parti del corpo, alla testa, al torace e alle gambe, da fuoco indiscriminato», ha aggiunto. Fares Afana, capo del servizio di emergenza dell’ospedale Kamal Adwan di Gaza, ha riferito che i soccorritori hanno trovato «centinaia di corpi distesi a terra».

Una fonte coinvolta nelle operazioni umanitarie a Gaza ha spiegato al manifesto che le agenzie internazionali hanno in più occasioni detto al Cogat israeliano che, alla luce delle condizioni della popolazione nel nord di Gaza, è preferibile scaglionare l’arrivo dei camion nei punti di distribuzione nel corso di diverse ore, in modo da evitare che si creino folle con centinaia se non migliaia di persone. «Le autorità israeliane non ci ascoltano e (ieri) hanno fatto arrivare un convoglio molto lungo, di 30 camion. La coda era a breve distanza dal posto di blocco militare, quando la folla si è avvicinata agli ultimi autocarri per prendere gli aiuti, i soldati hanno fatto fuoco», ha detto la fonte. «Non ci sono parole per descrivere gli orrori che si stanno svolgendo davanti ai nostri occhi a Gaza, ha commentato il commissario per i diritti umani delle Nazioni unite, Volker Türk.

Il massacro degli affamati di Gaza ha spinto il bilancio di palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane ben oltre 30mila (il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin, davanti alla commissione per le Forze Armate della Camera, ha detto che oltre 25.000 donne e bambini palestinesi sono morti dal 7 ottobre). E quel numero continuerà a salire. Durante una visita nel nord di Gaza, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ribadito che «La guerra non si fermerà finché Hamas non sarà smantellato…Solo su una cosa saremo disposti a fare delle concessioni, se dovessimo farle, e questo per quanto riguarda gli ostaggi». E ha confermato che «L’esercito si sta preparando all’operazione contro Rafah». Joe Biden ha ammesso che il cessate il fuoco temporaneo che lui stesso aveva previsto per lunedì prossimo «improbabile». (Michele Giorgio da il manifesto)

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