Per le strade statunitensi si aggira un corpo militare fuori controllo che si comporta da esercito di occupazione. I motivi di questa degenerazione affondano nelle origini delle moderne forze dell’ordine e nella loro funzione storica
I poliziotti sono fuori controllo. Uccidono persone disarmate, soprattutto povere e non bianche, con totale impunità. Provocano proteste, aizzano i manifestanti, arrestano i giornalisti e violano le libertà civili. Torturano i detenuti e gestiscono prigioni segrete per gli interrogatori. I sindacati di categoria li proteggono dalle responsabilità, chiedono speciali protezioni legali, sminuendo l’autorità politica di qualsiasi sindaco, governatore o figura pubblica che osi criticarli anche solo un po’. Si rifiutano di raccogliere e condividere i dati nazionali su quanto spesso, quando, e contro chi hanno inflitto violenza mentre erano in servizio. Rifiutano la richiesta basilare della società democratica di conoscere il loro operato. La polizia è diventata un corpo indipendente, organizzato, che si relaziona al pubblico più o meno come un esercito di occupazione si relaziona alla popolazione nativa. Come siamo arrivati a questo punto?
Uno studio eccezionale ha dimostrato che la polizia preserva le gerarchie razziali, in parte usando la forza in maniera sproporzionata contro le minoranze, soprattutto neri e nere. La polizia è un elemento centrale della teoria di W. E. B. Du Bois su come la classe dominante usi l’ideologia razziale per dividere i lavoratori che hanno interessi economici in comune. Le proteste recenti hanno ricordato all’opinione pubblica la funzione di «controllo sociale» esercitata dalla polizia, ma hanno anche fatto spazio a una domanda di fondo: perché esiste la polizia? Che interessi serve, e perché è diventata un organo così militarizzato?
È uscito fuori che l’istituzione della polizia è nata per tenere a bada tutte quelle persone che con la loro libertà minacciavano la classe dominante. Negli Stati uniti, così come in altre nazioni, la polizia è stata creata per gestire i problemi sociali di una società capitalista – la povertà, il crimine, il conflitto di classe – mentre sopprimeva le sfide radicali poste a quella società. Man mano che queste sfide diventavano più serie, la polizia si militarizzava sempre di più. L’istituzione che negli Stati uniti è stata indirizzata con una furia e una ferocia inaudite contro le persone nere è, oggi, la parte più visibile e violenta di un apparato integrato di disciplinamento e controllo. Una volta che cogliamo le origini della polizia e il motivo della sua militarizzazione, possiamo comprendere anche perché tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici hanno interesse a trasformare la polizia.
Questa storia è anche un promemoria del fatto che un regolamento di conti completo con la polizia non sarà possibile finché non prenderemo di petto gli interessi sociali che si oppongono a una trasformazione sociale radicale. Sono molti gli attori, tra cui le maggiori corporation statunitensi, disposti a definire intollerabile il comportamento della polizia nelle sue forme attuali e totalmente squilibrate. Ma non hanno alcuna obiezione, e mai ne avranno, sulla funzione basilare della polizia di controllore sociale. Mentre ci chiediamo come andare avanti, vale la pena analizzare attentamente il passato per capire dove piantare i nostri paletti.
Gli albori della polizia statunitense
La polizia è un’invenzione recente. Agli inizi dell’America repubblicana ancora non esisteva una forza di polizia formalmente costituita. Le forze dell’ordine assumevano la forma dei possedimenti e di pattuglie irregolari, formate da cittadini che si riunivano temporaneamente sotto lo stendardo della legge per arrestare singoli individui. Le città non avevano una polizia regolare totalmente e formalmente a servizio dello stato, con la speciale facoltà legale di usare la violenza contro la popolazione. L’introduzione delle forze di polizia fu la risposta a un problema moderno: i disordini sociali generati dalla working class. La popolazione urbana povera e libera innervosiva la classe dominante statunitense. A differenza degli schiavi e dei servi per debiti, non era sottoposta ad alcuna autorità giuridica individuale, ed era invece in possesso di libertà civili e a volte politiche che era libera di utilizzare come voleva. «Le masse delle grandi città aggiungono al supporto dell’autorità governativa quello che le piaghe possono aggiungere alla forza del corpo umano», scrisse Thomas Jefferson, che preferiva gli schiavi e i piccoli proprietari al lavoro salariato. In questo modo le milizie di cittadini sarebbero state sufficienti, e non ci sarebbe stato bisogno né di polizia né di esercito regolare.
Formatasi dapprima negli Stati uniti (e in Inghilterra) tra l’inizio e la fine del diciannovesimo secolo, la polizia godeva di un’ampia discrezionalità nell’arrestare chiunque non fosse in grado di fornire per sé stesso una forma di riconoscimento socialmente accettata. Come ha osservato Sam Mitrani nella sua storia del dipartimento di polizia di Chicago, la Commissione sulla Polizia del consiglio comunale, incaricata negli anni Cinquanta dell’Ottocento di formare una moderna forza di polizia, dichiarò che la polizia avrebbe dovuto avere un ampio margine d’azione, dal momento che doveva occuparsi di «faccende non necessariamente criminali, ma che se lasciate a loro stesse in una popolazione densa come la nostra risulterebbero estremamente pericolose per la città». Così nella più grande città del Sud. Una citazione dalla Charleston del 1845 centra bene il punto:
«In una nazione a scarsa densità abitativa, dove le bande di negri sono confinate nelle piantagioni sotto il controllo tempestivo e la disciplina dei rispettivi proprietari, agli schiavi non è permesso di poltrire e vagabondare in cerca di guai… Ronde occasionali e una generale supervisione delle pattuglie possono essere sufficienti. Ma un sistema molto più energico e controllante è assolutamente indispensabile nelle città, dove la stessa densità di popolazione e gli insediamenti estremamente vicini rendono necessaria una circospezione più attenta e prudente».
Come ha fatto notare Alex Vitale, le slave patrols, le squadre di controllo e cattura degli schiavi, erano soprattutto «rurali e non professionali», ricoprivano la funzione di polizia soltanto per gli schiavi che riuscivano a sfuggire l’ordinaria autorità giuridica e la violenza fisica dei proprietari e dei loro sorveglianti. Ma nelle città, gli schiavi acquisivano de facto se non de iure le libertà civili e si mescolavano con i lavoratori che facevano paura alle élite dominanti: «Loro [gli schiavi] possono riunirsi insieme ad altri, frequentare taverne sotterranee illegali e persino formare associazioni religiose o di beneficienza, spesso in accordo con neri liberi, generando un’enorme ansia sociale tra i bianchi». Queste città, scriveva Vitale, misero su delle forze di polizia, a volte chiamate «guardia cittadina», tutori permanenti, professionali e puntuali della «pace sociale».
Persino nel Sud post-emancipazione, la polizia rimase prevalentemente un fenomeno urbano perché la mezzadria, il bracciantato e accordi simili legavano i neri così profondamente alla terra e ai loro padroni che erano liberi quasi solo per modo di dire. La polizia non era necessaria in campagna per rinforzare il sistema agricolo di caste basato sulla razza ideato da Jim Crow. Come ha dimostrato il sociologo Christopher Muller, il tasso di neri arrestati e imprigionati era più basso nelle contee dove insistevano le vecchie piantagioni: «Dove le élite di bianchi proprietari terrieri erano in grado di ricostituire una forza lavoro agricola dipendente, avevano ben poche ragioni di utilizzare il sistema di prigionia in affitto per punire i loro lavoratori. Ma nelle contee urbane e nelle contee in cui gli afroamericani avevano acquisito un numero considerevole di proprietà, i neri si scontravano con tassi di incarcerazione molto alti per crimini contro la proprietà». In tutta la nazione, nelle città costiere e in quelle industriali, la polizia iniziò a sorvegliare la relativa libertà della crescente massa di lavoratori.
Ai primi tempi, la polizia si occupò soprattutto delle attività ricreative della working class. I registri degli arresti dicono tutto. Nel 1862, tre quarti degli arresti a Chicago avvennero per «ubriachezza molesta» o per visita alle case di «malcostume». Nel 1878, quasi la metà degli arresti rientrava in questa categoria, e più di due terzi degli arresti cittadini potevano essere attribuiti al «traffico di rum», la prima e la più lunga delle guerre americane contro la droga. A Chicago, gli irlandesi e i tedeschi tendevano a essere buttati nelle camionette della polizia, ma presto altri europei dell’est e del sud, come i polacchi e gli ungheresi, si aggiunsero alla lista. Il trattamento peggiore variava a seconda dell’etnia e delle gerarchie razziali interne alla working class delle varie città.
Anche se all’inizio le forze di polizia avevano mano libera nell’arrestare i poveri, erano piccole, poco finanziate, e solitamente male equipaggiate. I ricchi spesso non volevano pagare le tasse necessarie a mantenere una forza di polizia corposa, professionalizzata e ben equipaggiata. Preferivano assumere guardie private, mercenari, e «detective» che rispondevano direttamente a loro e proteggevano le loro proprietà e le loro fabbriche. Ma quando la working class iniziò a contrattaccare, con grandi scioperi industriali, i capitalisti si trovarono sopraffatti. I teppisti e gli assassini al loro soldo non erano all’altezza del compito. E così si rivolsero alla polizia.
Repressione, militarizzazione e professionalizzazione
Le forze di polizia divennero sempre più militarizzate quando acquistarono una nuova funzione: quella di impedire e interrompere gli scioperi. L’evento inaugurale fu lo sciopero generale del 1877, che si propagò per tutto il nascente sistema ferroviario e fece sì che per breve tempo i lavoratori prendessero il controllo della città di St. Louis. Mentre le truppe federali furono usate per reprimere lo sciopero, i proprietari dei terreni urbani iniziarono a pensare seriamente alla possibilità di una forza di polizia permanente che potesse essere schierata rapidamente, senza sforzo e su più larga scala. A Chicago, un gruppo di cittadini facoltosi raccolse 28 mila dollari, che utilizzò per comprare fucili, cannoni, equipaggiamento di cavalleria, e una mitragliatrice Gutling per la forza pubblica.
L’ondata di scioperi del 1886 schiarì ulteriormente le menti della borghesia urbana. Gli scioperi ora includevano migliaia – e a volte decine di migliaia – di lavoratori, magari armati, o comunque capaci di paralizzare intere città anche se disarmati. Una forza sociale di questo tipo richiedeva un nuovo genere di violenza per essere soppressa. Durante la serrata del 1886 della fabbrica McCormick Reaper Works, duecento agenti di polizia forzarono un picchetto e attaccarono il saloon della Union House vicino allo stabilimento, picchiando gli scioperanti. Cyrus McCormick, uno dei padroni più ricchi e potenti della città, ricompensò la polizia dando pasti gratis agli ufficiali che sorvegliavano l’entrata.
Quella primavera, «club dei cittadini» o «associazioni di cittadini» di varie città iniziarono a raccogliere fondi per depositi di armi e forze di polizia permanenti. Dopo la rivolta di Haymarket a Chicago, che vide quattro poliziotti uccisi e diversi anarchici rastrellati in una caccia alle streghe, il Chicago Commercial Club raccolse i fondi per un’armeria vicina al centro cittadino, così che le armi potessero essere accessibili sia alla polizia sia, se necessario, all’esercito. Altre città fecero lo stesso, lasciando un residuo permanente di occupazione militare nelle città statunitensi: nascondigli militari pieni di armi da usare non contro eserciti invasori ma contro lavoratori e lavoratrici.
Il famoso sciopero di Homestead del 1892, durante il quale lavoratori delle acciaierie armati sconfissero gli agenti privati della Pinkerton, fu la botta finale. Lo sciopero provò che le migliori guardie private del paese non potevano competere con un’azione industriale su larga scala, specialmente se i lavoratori si portavano le armi al picchetto. I padroni e altre personalità facoltose decisero che era venuto il momento di iniziare a pagare le tasse per finanziare una forza di polizia ben equipaggiata e messa nelle migliori condizioni di reprimere.
La sfida stava nel fatto che la forza di polizia era nominalmente democratica, sotto il controllo delle legislature elette, e reclutata fra quella stessa popolazione che avrebbe dovuto controllare. La risposta della classe dominante fu: «professionalizzazione». Professionalizzazione significava trasformare la polizia in un ramo del servizio civile, non direttamente responsabile nei confronti dei consigli comunali democraticamente eletti. Significava anche inculcare il senso di essere un corpo politico distinto dal resto della popolazione. La polizia ottenne uniformi migliori e ricevette un addestramento di tipo militare. Ottenne anche nuovi poteri. Durante gli scioperi degli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, la polizia di città come Milwaukee, Buffalo, Chicago e Akron spesso reclutò detective privati e forze di sicurezza come «polizia ausiliaria», che godeva di una relativa immunità sotto l’egida della giustizia privata.
Al tempo, gli agenti dello stato formalmente neutrale erano indistinguibili dai padroni che difendevano. Dalle cittadine minerarie del Colorado fino alle parrocchie della Louisiana e alle grandi città del nordest, i padroni trovarono vari modi di incanalare la polizia nella direzione desiderata. Per esempio, durante lo sciopero degli addetti alla manovra degli scambi ferroviari di Buffalo, nel 1892, il soprintendente della ferrovia interrotta intervenne come un generale guidando in città cinquemila agenti della milizia di stato per raddoppiare e aiutare la polizia a interrompere lo sciopero. Chiusero le taverne, sequestrarono i volantini che invitavano allo sciopero, arrestarono i leader sindacali con accuse inventate, eseguirono l’ordine del capo della polizia di ripulire la città dai «barboni» e dai «guastafeste», e fecero rispettare l’ordinanza del sindaco che proibiva «gli assembramenti nelle strade dei distretti working class».
Queste pratiche si adattarono bene al ventesimo secolo. Durante lo sciopero di Lawrence del 1912, i padroni e i corrotti ufficiali cittadini indussero la polizia a picchiare e arrestare le famiglie che stavano provando a mandare i propri figli lontano dalla città in sciopero. Fermarono le famiglie alla stazione dei treni, sequestrarono i loro biglietti, bastonarono i bambini, e caricarono intere famiglie sui camion verso la stazione di polizia di Lawrence. Dal massacro di Everett del 1916, fuori Seattle, fino allo sciopero della Autolite di Toledo, Ohio, del 1934, lo schema continuò.
Negli anni Trenta del Novecento la polizia era ormai diventata un apparato repressivo completamente militarizzato, il cui ruolo principale consisteva nel sopprimere la militanza sindacale e le organizzazioni di sinistra. Era famosa per essere particolarmente brutale quando aveva a che fare con gli elementi della sinistra più radicale, come gli Industrial Workers of the World (Iww, gli «Wobblies»). Le campagne anti-Wobblies degli anni Dieci del Novecento si trasformarono in una guerra totale, omicidi inclusi, prefigurando le successive campagne di terrore contro i comunisti e le Black Panthers.
Nel 1912, la polizia di San Diego aprì gli idranti sui Wobblies prima di radunarli, rinchiuderli in celle non regolamentari e sottoporli a pestaggi letali da parte di vigilantes pagati dalle aziende. Secondo uno storico che si è occupato di quest’episodio, «quella probabilmente fu la prima volta nella storia della Contea di San Diego in cui il capo della polizia, lo sceriffo e il maresciallo lavorarono volontariamente e di comune accordo nell’interesse del rispetto della legge». Niente chiarisce le idee come un po’ di guerra di classe. E, in toni che ci ricordano l’oggi, un commissario speciale chiese: «La domanda sorge spontanea, dunque, su chi siano i veri criminali; chi i veri anarchici; chi i veri violatori della costituzione; chi siano i veri indesiderabili».
Quando non era all’altezza del compito, o quando voleva farsi dare una mano, la polizia ha sempre potuto contare sulla Guardia Nazionale e sulle truppe federali. Come ha sottolineato uno studio: «per rispondere alle rivolte sindacali fu impiegato un numero di truppe maggiore… di quanto non fosse stato fatto per qualsiasi altra ragione dalla Guerra Ispano-americana in poi». Per molti decenni, «l’esercito degli Stati uniti andò molto vicino a diventare una forza di polizia nazionale». Ma forse è più accurato dire che è la polizia a essere una forza militare interna.
Una forza di occupazione
La polizia ha sempre goduto dell’appoggio di numerosi settori dello stato, soprattutto delle branche esecutiva e giudiziaria. Josiah Lambert osserva nella sua storia del diritto di sciopero:
«La tumultuosa storia delle relazioni industriali tra il 1877 e il 1932 fornisce una piccola testimonianza delle analogie tra la pratica di interruzione degli scioperi e le violazioni delle libertà civili… In quest’epoca per impedire gli scioperi i padroni ricorrevano allo spionaggio industriale, agli yellow dog contracts [contratti in cui il lavoratore acconsente alla clausola di non iscriversi a nessun sindacato, ndt], ai licenziamenti discriminatori, alle liste nere, e a forze armate private. I governatori e i presidenti dichiaravano la legge marziale, permettevano arresti di massa, la sospensione dell’habeas corpus e dei procedimenti giudiziari civili e l’uso della forza militare per reprimere gli scioperi. Le corti giudiziarie soffocarono intere comunità con decreti ingiuntivi, negando il diritto degli scioperanti a un giusto processo e alla libertà di riunione, espressione e movimento».
Tutto questo andò avanti ben dopo l’istituzione del diritto di contrattazione collettiva negli anni Trenta. Nel 1968, la Guarda nazionale circondò Memphis con tank e baionette per limitare lo sciopero della sanità. Ancora nel 1968, durante lo sciopero Hormel ad Austin, Minnessota, la Guardia nazionale «svolse le funzioni di una forza di occupazione… prendendo ogni misura necessaria a tenere aperto l’impianto. La Guardia isolò gran parte di Austin. L’accesso alle aree residenziali e commerciali, così come all’impianto, fu limitato. Le macchine venivano fermate, i guidatori interrogati».
Molti elementi della classe dirigente locale di Austin appoggiarono la polizia, pensando che la repressione dello sciopero fosse più importante della legge. Come ricorda Peter Rachleff nella sua storia dello sciopero, «un giudice locale arrivò ad ammettere che stava infrangendo il diritto dei P-9 [il sindacato in sciopero] sancito dal Primo Emendamento, ma disse che pensava che la salvaguardia dell’“ordine pubblico” avesse bisogno di un’azione del genere… L’amministrazione scolastica di Austin decretò… che non si doveva parlare dello sciopero nelle scuole… Nella scuola superiore cattolica locale, il preside fu licenziato dopo aver affittato la palestra ai P-9 per una partita di basket di beneficenza».
Se la reazione alla militanza sindacale e alla sinistra diede vita a una polizia completamente militarizzata, altri sviluppi del ventesimo secolo completarono il processo di trasformazione della polizia nell’arrogante organo di potere che conosciamo oggi. Più importante, gli Stati uniti divennero un impero globale mentre, pian piano, la militanza sindacale si indeboliva. L’imperialismo esportato all’estero ritrovò la strada di casa. C’erano sempre più ex-soldati da reclutare nelle forze dell’ordine, massicci investimenti sulla sicurezza da distribuire, «rivolte» e tecniche controinsurrezioniali da affinare, giacenze dell’esercito da far girare, e nuove funzioni di anti-terrorismo e sorveglianza interna da affibbiare alla polizia. Le forze di polizia, popolate di veterani, con armi sviluppate dal Ministero della difesa e stretti rapporti transnazionali con altre forze di polizia di stati autoritari, erano sempre più disposte ad agire come il braccio armato interno del dominio americano. Se certe regole erano valide all’estero, perché non applicarle anche a casa?
Il declino della militanza sindacale, iniziato negli anni Settanta, ha fatto sì che l’impulso alla base della militarizzazione della polizia svanisse. Ma il massiccio apparato repressivo a cui aveva dato origine era rimasto. Allo stesso modo, lo stato americano decise di affrontare la povertà, l’aumento dei crimini e i conflitti razziali nel modo più punitivo possibile. Anziché potenziare i programmi per l’impiego, il reddito garantito e il diritto universale alla sanità, alla casa e all’educazione, tutte cose che avrebbero richiesto ai ricchi di pagare molte più tasse, i governi federali e statali scelsero l’opzione più economica e repressiva: prigione e polizia.
Questa opzione ci ha regalato l’incarcerazione di massa, gli arresti «anti-degrado», la lotta alla droga, aumento delle forze di polizia, e una polizia sempre più aggressiva. Le minoranze geograficamente determinate, soprattutto neri e nere dei quartieri poveri e working class, hanno dovuto subire il risvolto peggiore. Le unità di polizia, con sempre più strumenti di violenza a disposizione, le cui dimensioni e potenza di fuoco un tempo erano state pensate in relazione alla minaccia posta dagli scioperi di massa e dalla sinistra organizzata, erano ora lasciate libere di sfogarsi sulla popolazione povera e indifesa. Le classi dominanti, una piccola e media borghesia bianca, isolate dalla brutalità poliziesca, rimasero indifferenti mentre interi pezzi di città cadevano sotto i colpi di un’autorità poliziesca estrema e arbitraria.
Oggi, neri e nere continuano ad affrontare la conseguenze peggiori e più violente dell’overpolicing. Ma sono il caso più estremo di una vasta rete di controllo sociale. Consideriamo il problema più esplosivo: gli omicidi della polizia. Siamo diventati estremamente consapevoli del fatto che la polizia sembra avere una particolare propensione a uccidere persone nere disarmate. Difficilmente si dice che la polizia uccide quasi esclusivamente persone povere, di cui la metà bianche. L’incarcerazione di massa ha una storia simile. Dai primi anni Settanta fino ad oggi, il numero delle incarcerazioni è quintuplicato. I neri vengono arrestati e messi in prigione con una frequenza assai maggiore. Ma questa sproporzione profondamente ingiusta va retrodatata agli anni Quaranta – l’epoca della migrazione nera di massa nelle città del nord – ed è rimasta essenzialmente, tristemente costante.
Il cambiamento drammatico dell’epoca dell’incarcerazione di massa è stato quello delle disuguaglianze sociali. Come ci mostra il sociologo Bruce Western, dagli anni Ottanta agli anni Zero la proporzione tra neri e bianchi nell’ingresso in prigione è rimasta abbastanza stabile e non andata oltre al rapporto di 5 a 1. Durante quello stesso periodo invece la diseguaglianza è aumentata con la proporzione tra diplomi di scuola superiore e iscrizione al college tra i neri che è aumentata da un rapporto di 5 a 1 a più di 10 a 1, e per i bianchi è passata da 10 a 1 a molto più di 20 a 1. Uno studio dimostra che, in un periodo precedente, i neri con un’educazione universitaria avevano comunque un 1,5 per cento di possibilità in più di finire in prigione dei bianchi che avevano interrotto il percorso di studi prima del diploma. Ma durante l’epoca dell’incarcerazione di massa questa proporzione si è ribaltata, così che oggi un bianco che abbandona gli studi ha 4 volte più possibilità di finire in prigione di un nero con un’istruzione universitaria. Altri studi hanno dimostrato un aumento ancora più stridente – mentre nel 1970 un individuo con un’istruzione minima aveva 7 volte più probabilità di finire internato di un individuo con il massimo grado di istruzione, nel 2017 questa disparità è esplosa diventando di 48 a 1.
Così, durante un periodo di tempo in cui il tasso di incarcerazione nazionale è quintuplicato, le disparità razziali sono rimaste pressoché costanti, mentre le disparità di classe, soprattutto fra coloro che non hanno istruzione o hanno un’istruzione minima e quanti invece hanno redditi legati a un’educazione universitaria, è schizzata alle stelle. L’era dell’incarcerazione di massa ha visto un periodo mozzafiato di aggressione poliziesca ai poveri. Tutto questo ci ricorda che c’è, o dovrebbe esserci, un ampio e traversale interesse multirazziale a trasformare la polizia. La polizia tende ad agire con una violenza inaudita contro i non bianchi. Ma, sin dalla nascita, e con molta chiarezza ancora oggi, la polizia detiene e utilizza quello stesso potere verso grandi fette di popolazione. C’è una potenziale maggioranza con un solido interesse in comune che può costringere la società a trovare altre soluzioni, meno punitive e più emancipatorie, ai problemi sociali posti dalla società capitalista. Questa maggioranza dovrà forgiarsi in un movimento unitario abbastanza forte da strappare concessioni non solo alla polizia ma ai gruppi di interesse che hanno armato la polizia e che si rivolgeranno di nuovo alla polizia se le cose inizieranno a mettersi male. Per strappare queste concessioni il movimento deve, tra le altre cose, far rinascere e rinforzare quella stessa militanza sindacale che la polizia ha impiegato così tanti decenni a reprimere.
La polizia oggi
Abbiamo ereditato una forza di polizia a cui erano stati concessi enormi poteri e un gran numero di armi e soldi per reprimere i sindacati e la sinistra, e che in seguito è stata dirottata sui poveri urbani, soprattutto neri, ufficialmente per risolvere crimini e gestire i disordini. Con tragica ironia, mentre il movimento dei lavoratori scemava, la polizia dava vita a uno dei sindacati con più influenza politica e sociale della storia – fanaticamente devoto a difendere la propria cultura e il proprio personale. Una volta ottenuto tutto ciò, la polizia è diventata una forza politica indipendente.
La sua indipendenza politica ha generato anche un isolamento politico, e il supporto di Trump non ha fatto che accelerare questa tendenza. Molti fra i maggiori capitalisti non si dedicano più spontaneamente ed esclusivamente a finanziare e supportare la polizia. Invece, grandi aziende come Apple e Nike fino alla Harvard University mandano messaggi pubblici a sostegno di Black Lives Matter. Anche dopo essere stata saccheggiata, la grande catena di abbigliamento Nordstrom ha rilasciato una dichiarazione in favore delle proteste. Da Amazon a Lyft, da TikTok alla Bank of America, una lista sempre più lunga di grandi corporation e aziende più piccole stanno improvvisamente facendo a gara per donare soldi alle organizzazioni per la giustizia razziale come Naacp, Black Lives Matter e Know Your Rights.
Si tratta di deboli esercizi di branding del prodotto e ostentazione di moralismo. Le stesse aziende, se dovessero mai trovarsi di fronte a una minaccia reale ai loro profitti, beni e dotazioni, cambierebbero atteggiamento. Sono ancora nel business dell’anti-sindacalismo, della segregazione residenziale, dello smantellamento dei programmi di welfare e dell’opposizione alle nuove tasse. Hanno ancora bisogno di circondare le loro proprietà di armi, anche se questo vuol dire rivolgersi a piccole aziende di sicurezza private. Ma le loro recenti trovate pubblicitarie sono anche un segno dei tempi – l’idea che la polizia, per come è oggi, non è più socialmente conveniente.
Viviamo all’indomani di una storia. La polizia è fuori controllo perché è diventata a pieno titolo un organo di potere gigantesco e ben organizzato, e perché ora sta puntando quel potere sproporzionato sugli elementi più marginali e deboli della società. Anche se è una cosa che va avanti da tanto tempo, i coraggiosi manifestanti delle ultime settimane hanno reso evidente questa verità a tutti. Los Angeles ora ha annunciato un taglio di almeno 100 milioni di dollari al dipartimento di polizia, i distretti scolastici hanno iniziato a sospendere i contratti con la polizia e, cosa sorprendente, il consiglio cittadino di Minneapolis ha annunciato dei piani per dissolvere e ricostituire l’intera forza di polizia. Forse la polizia spera che i disordini scaturiti dalle proteste le faranno riguadagnare consenso. Provocazione ed escalation sembrano la scommessa principale per rafforzare un’autorità sempre più fragile – perché la violenza che esercita non è più al servizio di un ordine sociale in pericolo. La proprietà, il mercato e le aziende sono attualmente al sicuro anche senza battaglioni armati fino ai denti che pattugliano le strade ammazzando poveri e neri disarmati e speronando manifestanti nonviolenti con i loro Suv.
Non sorprende che la polizia sia arrivata a sembrare un insieme di bestie senza alcuna autorità morale. Gli altri predoni non hanno più bisogno di lei, almeno non in questo modo. Ma le riforme che propongono non sono le nostre. Sta a noi decidere quali paletti mettere.
Alex Gourevitch – professore associato di scienze politiche alla Brown University e autore di From Slavery To the Cooperative Commonwealth: Labor and Republican Liberty in the Nineteenth Century. Questo articolo è uscito su Jacobinmag. La traduzione è di Gaia Benzi.