In Perù, sciopero generale dei contadini, manifestazioni e blocchi stradali. Ma Castillo, il presidente deposto, resta in carcere. La «sostituta» Boluarte promette dialogo, ma negozia solo con la destra golpista
di Claudia Fanti
Jonathan Arias era uno studente di 18 anni. Si trovava su una collina, sul cerro Huayhuaca, in Apurímac, per veder passare i manifestanti, quando è stato raggiunto da colpi sparati dalla polizia. Ironia del destino, voleva diventare proprio un poliziotto.
Aveva 18 anni anche Wilfredo Lizarme, studente che sognava di fare il medico, colpito da un proiettile mentre faceva ritorno a casa. E non sono le vittime più giovani della repressione delle proteste contro il congresso peruviano e il governo di Dina Boluarte: tra le nove persone che hanno finora perso la vita, anche un 15enne e un 16enne, di cui sono note solo le iniziali dei nomi, D.A.Q. e R.P.M.LL.
Ma con la decisione da parte del governo di estendere a tutto il paese, per 30 giorni, lo stato d’emergenza finora in vigore solo a Ica, Arequipa e Apurímac, la situazione rischia di aggravarsi: durante il prossimo mese, ha informato il ministro della Difesa Luis Otárola, «la polizia nazionale si incaricherà di mantenere l’ordine interno» in collaborazione con le forze armate. Cosa si intenda è presto detto: arresti, intimidazioni, aggressioni con gas lacrimogeni e proiettili di gomma (quando non di piombo).
LA PROTESTA, tuttavia, dilaga. Tra manifestazioni, blocchi stradali, chiusura di quattro aeroporti (Cusco, Puno, Arequipa e Apurímac), sospensione dei treni per il Machu Picchu e proclamazione di uno sciopero nazionale da parte delle organizzazioni contadine e indigene, il Perù è praticamente paralizzato.
Le loro richieste restano le stesse, a cominciare dalla dissoluzione del congresso, accusato di essersi dedicato nell’ultimo anno e mezzo esclusivamente ad abrogare le leggi a favore dei lavoratori e a tentare di rovesciare Castillo. E poi la liberazione immediata dell’ex presidente, la rinuncia di Dina Boluarte, elezioni anticipate e la convocazione di un’Assemblea costituente.
Lei, la presidente accusata di usurpazione e tradimento, ostenta apertura e disponibilità al dialogo, dando istruzioni perché «si recuperi pacificamente il controllo della situazione nel rispetto dei diritti fondamentali della cittadinanza».
Annunciata la propria intenzione di inviare al congresso una proposta per tenere le elezioni generali a luglio del 2024 (due anni prima della fine del suo mandato), si è detta disposta ad anticiparle al dicembre del 2023, precisando tuttavia che spetterà al parlamento decidere la data.
INTANTO, però, negozia con la destra golpista – incurante della contraddizione in termini – la realizzazione di «cambiamenti democratici e costituzionali»: una cinquantina di norme, secondo il leader di Izquierda Socialista del Perú Martín Guerra, che «il congresso intende cambiare per rendere quasi impossibile a un’organizzazione popolare presentarsi alle elezioni o avere accesso ai fondi pubblici per la campagna elettorale».
Ed è proprio alla sua ex vice e oggi presidente che Pedro Castillo si è rivolto lunedì in una lettera scritta a mano resa nota dal suo avvocato: «Ritengo responsabile lei e tutto il circolo che l’accompagna del feroce attacco ai miei compatrioti», ha denunciato Castillo, invitando il popolo organizzato a mantenersi «vigile e ottimista» e definendosi «ingiustamente e arbitrariamente detenuto», non avendo commesso alcun reato di cospirazione e ribellione.
La corte suprema, tuttavia, ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dai suoi legali. E tutto indica che, alla scadenza dei sette giorni di detenzione preventiva imposti dal giudice Juan Carlos Checkley Soria per i reati di ribellione, cospirazione e abuso di autorità, la giustizia provveda a stabilire un altro periodo di arresto cautelativo, probabilmente di 18 mesi.
da il manifesto
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