Piano Carceri: cemento, business e chiatte galleggianti…
- marzo 15, 2010
- in carcere, riflessioni
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Affrontare in poche righe il tema carcere non è semplice, lo spazio non è sufficiente a descrivere il vuoto e al tempo stesso la densità di questo non luogo ai margini della società esterna, così rimosso dal sentire collettivo ed al tempo stesso così legato alle dinamiche sociali e politiche esterne.
La realtà del carcere in Italia è oggi tragica come mai prima, sopravvivono con estrema difficoltà limitate esperienze carcerarie di tipo attenuato; prevale invece largamente un’impostazione ad un tempo anticostituzionale ed illegale della pena, si afferma e si consolida un trattamento detentivo che non recepisce minimamente neppure le piccole aperture date dalla riforma penitenziaria di metà anni “70. Prevale, cioè, un sistema autoritario di tipo “concetrazionario” e metodi di repressione e annichilimento fisico e psichico degni di una dittatura.
In carcere si muore, si viene pestati per un nulla, si vivono condizioni di assembramento disumane, per le quali decine di detenuti si sono rivolti alla Corte Europea di Strasburgo.
Lo Stato italiano, le forze politiche locali e nazionali fautrici delle politiche repressive e securitarie, si rendono una volta più responsabili di violazioni di diritti umani fondamentali riservate sistematicamente agli esclusi da questo Sistema e dalla crisi generale in cui versa.
Mentre si consuma la putrefazione morale e politica delle istituzioni, in galera continuano ad essere rinchiuse intere categorie sociali: i migranti, colpevoli in sostanza di esistere, i consumatori di sostanze stupefacenti, chi si vede troppo spesso costretto ad una vita di extralegalità e nell’impossibilità di costruirsi una esistenza ed un futuro dignitosi.
La risposta alla crescente precarietà sociale continua ad essere quella dell’emergenza e della repressione sociale e politica con lo sbocco obbligato della galera. Mentre il ricorso alle misure alternative alla detenzione viene sempre più disatteso dalla Magistratura di Sorveglianza e da cavilli infiniti (come le norme sulla recidiva, l’art.4 bis e i regimi di detenzione speciale dei reparti EIV e 41 bis riservati, tra gli altri, ai detenuti politici), l’unica risposta che pare dare l’Esecutivo, in buona compagnia di molti politici un tempo di “sinistra”, è la costruzione di nuove carceri secondo un modello di internamento di massa e di criminalizzazione fine a se stesso.
Il proposito governativo di costruzione di nuovi centri di detenzione per migranti, i cosiddetti CIE, e da ultimo il progetto (in fase avanzata di definizione) di varare chiatte galleggianti dove costringere le migliaia di detenuti stipati a forza nei penitenziari italiani, sono un esempio della tendenza prevalente e delle conseguenze del crescente autoritarismo.
Nel progetto in ipotesi queste chiatte-galera della lunghezza di 126 metri per circa 400 detenuti (ne sono previste dieci per un costo unitario intorno ai 90 milioni di Euro), verrebbero ormeggiate in alcuni porti (tra cui Genova, Cagliari e Livorno) ed è aberrante la descrizione delle possibili ubicazioni alternative, si legge: arsenali e zone militari, e ancora, strutture modulari che possono essere accorpate ed ampliate alla bisogna. Si tratterebbe dunque di un nuovo modello “panoptico”, con al centro il punto di osservazione ed intorno l’area destinata ai detenuti, celle e strutture di servizio, il tutto racchiuso da un cordone di sicurezza. L’esperimento della nave galera fu fallimentare in Inghilterra dove è stato sospeso proprio per gli aspetti insani ed inevitabilmente angusti delle strutture.
Lascia pure sconcertati leggere i commenti e gli incoraggiamenti di diversi tra i sindacati subalterni. CISL e UGL si dicono favorevoli e il segretario UIL-Siderurgico Mario Ghini chiosa deciso: “costruire, come si pensa, cinque o sei di queste piattaforme saturerebbe gli impianti per due anni, ci auguriamo che si prenda una decisione nel breve periodo e le navi carcere si facciano”. Una misera speculazione sulla pelle delle persone detenute e di chi si vede espulso dal mondo lavorativo e da ogni sistema di tutela sociale; quando con minori risorse potrebbe essere costruito un processo di risocializzazione e reinserimento per migliaia di detenuti, reintroducendo magari le agevolazioni per il reinserimento lavorativo degli ex-detenuti o dei condannati altrimenti esclusi da ogni misura alternativa.
Su questi lugubri scenari pare tacere, invece, la politica “di sinistra”, indaffarata com’è con le beghe del voto regionale (e con l’assenso di candidati e forze politiche alla costruzione degli indigeribili Centri per la detenzione amministrativa dei migranti, i famigerati CIE, previsti tra le altre cose pure in Toscana).
Mentre sempre più famiglie vivono in condizioni di miseria e di disperazione, aumentano i business ed i profitti di pochi, settori economici legati a doppio filo con le doppiezze del capitalismo italiano e col suo governo di destra, ecco i beneficiari di questi progetti cantieristici ed edilizi per la concentrazione e la detenzione delle persone e più in generale il cospicuo giro d’affari legato all’industria della “sicurezza”. Lo scandalo della Protezione Civile (a cui si voleva fino a poche settimane fa assegnare proprio la gestione del piano carceri) mostra quel vasto intreccio di affari tra economia e politica, cosa che potrebbe presto riprodursi con la costruzione delle chiatte galleggianti e di altri progetti penitenziari basati sul cemento. Senza dimenticare tra l’altro gli ampi poteri, per non dire assoluti, riguardo agli interventi di edilizia carceraria: quali appalti, quali assegnazioni?
Il carcere, la legge e la sua sistematica violazione da parte di chi si erge a tutore dell’ordine e della sicurezza. Una storia già vista che pare non avere fine.
La realtà del carcere in Italia è oggi tragica come mai prima, sopravvivono con estrema difficoltà limitate esperienze carcerarie di tipo attenuato; prevale invece largamente un’impostazione ad un tempo anticostituzionale ed illegale della pena, si afferma e si consolida un trattamento detentivo che non recepisce minimamente neppure le piccole aperture date dalla riforma penitenziaria di metà anni “70. Prevale, cioè, un sistema autoritario di tipo “concetrazionario” e metodi di repressione e annichilimento fisico e psichico degni di una dittatura.
In carcere si muore, si viene pestati per un nulla, si vivono condizioni di assembramento disumane, per le quali decine di detenuti si sono rivolti alla Corte Europea di Strasburgo.
Lo Stato italiano, le forze politiche locali e nazionali fautrici delle politiche repressive e securitarie, si rendono una volta più responsabili di violazioni di diritti umani fondamentali riservate sistematicamente agli esclusi da questo Sistema e dalla crisi generale in cui versa.
Mentre si consuma la putrefazione morale e politica delle istituzioni, in galera continuano ad essere rinchiuse intere categorie sociali: i migranti, colpevoli in sostanza di esistere, i consumatori di sostanze stupefacenti, chi si vede troppo spesso costretto ad una vita di extralegalità e nell’impossibilità di costruirsi una esistenza ed un futuro dignitosi.
La risposta alla crescente precarietà sociale continua ad essere quella dell’emergenza e della repressione sociale e politica con lo sbocco obbligato della galera. Mentre il ricorso alle misure alternative alla detenzione viene sempre più disatteso dalla Magistratura di Sorveglianza e da cavilli infiniti (come le norme sulla recidiva, l’art.4 bis e i regimi di detenzione speciale dei reparti EIV e 41 bis riservati, tra gli altri, ai detenuti politici), l’unica risposta che pare dare l’Esecutivo, in buona compagnia di molti politici un tempo di “sinistra”, è la costruzione di nuove carceri secondo un modello di internamento di massa e di criminalizzazione fine a se stesso.
Il proposito governativo di costruzione di nuovi centri di detenzione per migranti, i cosiddetti CIE, e da ultimo il progetto (in fase avanzata di definizione) di varare chiatte galleggianti dove costringere le migliaia di detenuti stipati a forza nei penitenziari italiani, sono un esempio della tendenza prevalente e delle conseguenze del crescente autoritarismo.
Nel progetto in ipotesi queste chiatte-galera della lunghezza di 126 metri per circa 400 detenuti (ne sono previste dieci per un costo unitario intorno ai 90 milioni di Euro), verrebbero ormeggiate in alcuni porti (tra cui Genova, Cagliari e Livorno) ed è aberrante la descrizione delle possibili ubicazioni alternative, si legge: arsenali e zone militari, e ancora, strutture modulari che possono essere accorpate ed ampliate alla bisogna. Si tratterebbe dunque di un nuovo modello “panoptico”, con al centro il punto di osservazione ed intorno l’area destinata ai detenuti, celle e strutture di servizio, il tutto racchiuso da un cordone di sicurezza. L’esperimento della nave galera fu fallimentare in Inghilterra dove è stato sospeso proprio per gli aspetti insani ed inevitabilmente angusti delle strutture.
Lascia pure sconcertati leggere i commenti e gli incoraggiamenti di diversi tra i sindacati subalterni. CISL e UGL si dicono favorevoli e il segretario UIL-Siderurgico Mario Ghini chiosa deciso: “costruire, come si pensa, cinque o sei di queste piattaforme saturerebbe gli impianti per due anni, ci auguriamo che si prenda una decisione nel breve periodo e le navi carcere si facciano”. Una misera speculazione sulla pelle delle persone detenute e di chi si vede espulso dal mondo lavorativo e da ogni sistema di tutela sociale; quando con minori risorse potrebbe essere costruito un processo di risocializzazione e reinserimento per migliaia di detenuti, reintroducendo magari le agevolazioni per il reinserimento lavorativo degli ex-detenuti o dei condannati altrimenti esclusi da ogni misura alternativa.
Su questi lugubri scenari pare tacere, invece, la politica “di sinistra”, indaffarata com’è con le beghe del voto regionale (e con l’assenso di candidati e forze politiche alla costruzione degli indigeribili Centri per la detenzione amministrativa dei migranti, i famigerati CIE, previsti tra le altre cose pure in Toscana).
Mentre sempre più famiglie vivono in condizioni di miseria e di disperazione, aumentano i business ed i profitti di pochi, settori economici legati a doppio filo con le doppiezze del capitalismo italiano e col suo governo di destra, ecco i beneficiari di questi progetti cantieristici ed edilizi per la concentrazione e la detenzione delle persone e più in generale il cospicuo giro d’affari legato all’industria della “sicurezza”. Lo scandalo della Protezione Civile (a cui si voleva fino a poche settimane fa assegnare proprio la gestione del piano carceri) mostra quel vasto intreccio di affari tra economia e politica, cosa che potrebbe presto riprodursi con la costruzione delle chiatte galleggianti e di altri progetti penitenziari basati sul cemento. Senza dimenticare tra l’altro gli ampi poteri, per non dire assoluti, riguardo agli interventi di edilizia carceraria: quali appalti, quali assegnazioni?
Il carcere, la legge e la sua sistematica violazione da parte di chi si erge a tutore dell’ordine e della sicurezza. Una storia già vista che pare non avere fine.
Adriano Ascoli
Osservatorio Repressione -PRC-, gruppo di discussione sul carcere –Pisa-
noalcarcerepisa@googlegroups.com
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