Schiaffi, pugni e capelli tirati ad una paziente ricoverata nel reparto di psichiatria di Pisa. Infermiere condannato a un anno
di Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Apprendiamo dal quotidiano Il Tirreno che un infermiere del reparto di psichiatria dell’ospedale Santa Chiara di Pisa sarebbe stato condannato ad un anno per aver preso a botte una paziente nel gennaio 2017.
Addirittura nell’articolo, uscito in data 11 marzo 2023, si riporta la presunta diagnosi psichiatrica fatta in adolescenza alla signora etichettata come una persona disturbata, agitata e aggressiva.
Fra le motivazioni della condanna all’infermiere ci sono abuso di mezzi di correzione per aver picchiato la paziente; si legge: “Prima gli schiaffi in faccia, poi un calcio all’addome con tanto di capelli tirati in un corpo a corpo”.
Dall’articolo si apprende anche che la donna era stata legata su una poltrona con una cinghia. Sia l’infermiere sia l’azienda ospedaliera in sede processuale si sono giustificati dicendo che la donna era aggressiva.
Dal racconto della vittima : “Quando intervennero le infermiere ero a terra con l’infermiere che mi teneva per i capelli e loro sono sopraggiunte e gli dicevano “basta, basta”. Lui mi prese per i capelli e iniziò a strattonarmi, mi fece cadere a terra tenendomi sempre per i capelli e cominciò a darmi degli schiaffi molto forti…Era molto agitato, era in uno stato molto aggressivo e mi ha dato anche un calcio nello stomaco».
”Vogliamo ricordare che quando si svolge un lavoro di cura non si dovrebbe perdere la pazienza, né soprattutto esercitare violenza verso le persone con cui lavori. Ci è difficile credere alla teoria delle mele marce, sappiamo che le prassi psichiatriche sono spesso coercitive piuttosto che rivolte all’ascolto della persona e il ricorso a dispositivi manicomiali (obbligo di cura, contenzione fisica, meccanica e chimica) è purtroppo sempre più diffuso.
Ad oggi in Italia abbiamo 329 reparti psichiatrici, gli SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura) e circa 3200 strutture psichiatriche residenziali e centri diurni sul territorio dove in molti casi si sono conservati gli strumenti propri dei manicomi, quali il controllo del tempo, dei soldi, l’obbligo delle cure, il ricorso alla contenzione e l’elettroshock.
Ci teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche (obbligo di cura, contenzione meccanica e farmacologica, internamento) deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una
fragilità. Nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica. Ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.
Un altro inganno del sistema psichiatrico sta nel credere che un Trattamento Sanitario Obbligatorio duri in fondo solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore. La verità è che il TSO implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può durare per decenni. Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con l’infamia della malattia mentale, il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, a trattamenti con farmaci obbligatori pena un nuovo ricovero.
Per i ricoverati in TSO e considerati “agitati” si ricorre ancora all’isolamento e alla contenzione fisica, mentre i cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico a cui si è sottoposti. Ecco come l’obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente la reclusione in una struttura, ma si trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto e repressione.
Continueremo a lottare con forza contro ogni forma di manicomio e di coercizione (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale. Uno concreto percorso di superamento delle pratiche psichiatriche passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non etichettante, senza pregiudizi e non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
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