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Quale Europa? Liberismo, politica dei muri e degenerazione autoritaria

Il nesso creato tra politiche economiche e politiche della sicurezza, a cominciare da quelle migratorie, va svelato e contrastato, perché implica il rischio di una grave involuzione autoritaria, anche nel nostro paese.

Si è conclusa una campagna elettorale “tossica” caratterizzata dalla centralità di tutte le questioni che potevano permettere una emarginazione delle minoranze, dei gruppi sociali più deboli, delle opposizioni non rappresentate in parlamento. Una campagna elettorale nella quale è mancato ogni riferimento alle politiche europee ed agli effetti devastanti del liberismo economico sulla vita dei cittadini europei, e di quanti in Europa sono arrivati in fuga da conflitti e da crisi ambientali, ma anche economiche. Nessuno ha accennato alla mancanza di una autentica politica estera dell’Unione Europea e al fallimento dei meccanismi di solidarietà (la cd. relocation) che erano stati stabiliti nel 2015 con l‘Agenda Europea sulle migrazioni.

Tutti i principali partiti hanno promesso agli elettori ogni possibile regalia, ma poi hanno fatto della sicurezza il tema principale dei loro programmi, prima per completare la costruzione dei muri contro i migranti, poi per tentare di costringere al silenzio l’opposizione sociale interna, autenticamente antirazzista e antifascista, che malgrado tutto non si è mai arresa ed ha trovato nuove forme di aggregazione dal basso.

Si sono diffusi dati statistici che rappresentano una ripresa economica che non esiste, se non nei profitti delle imprese. A scapito dei lavoratori, di tutti i lavoratori, italiani e migranti, questi ultimi nella morsa del ricatto permanente del permesso di soggiorno. Nessuno, o quasi è riuscito a mettere in evidenza come in tutta Europa, ed anche in Italia, la crisi corrisponda a una fase irreversibile di declino del liberismo economico. Che si è finora basato su un forte aiuto ai grandi gruppi transnazionali e a quei paesi che all’esterno dei confini di Schengen si assumono il ruolo di guardiani della frontiera. L’Europa della Merkel che ha fatto concludere gli accordi con la Turchia di Erdogan è speculare alla “non Europa” di Orban, e del gruppo di Visegrad, con Gorgia Meloni che, dopo Gasparri, si è avvicinata al premier ungherese, che adesso trova supporter anche in Italia.

Le politiche di esternalizzazione dei controlli e delle azioni di contrasto verso quella che si continua a costruire nel discorso comune come “lotta all’immigrazione illegale”, hanno compresso gravemente i diritti umani delle persone ingabbiate nei paesi di transito, come la Turchia e la Libia, o respinte dai muri costruiti in base al Regolamento Dublino, a Ventimiglia, al Brennero, a Chiasso come a Calais in Francia. Le politiche europee di sbarramento hanno trovato nel governo italiano un solerte attuatore, senza quelle basi legislative che sarebbero state necessarie in base al dettato costituzionale ed ai trattati. Occorre anche denunciare la pratica sempre più diffusa della detenzione dei richiedenti asilo, che nel nostro paese si verifica in alcuni Hotspot come Lampedusa e Trapani.

Di fatto non si può più parlare di una comune politica europea dell’immigrazione e dell’asilo, ma soltanto di una politica comune dei respingimenti e delle espulsioni, che ha cancellato il diritto di asilo, inteso anche come diritto di chiedere asilo in frontiera, e che vede come suo attore principale l’agenzia con sede a Varsavia, che una volta si chiamava Frontex e che oggi si chiama pomposamente “Guardia di frontiera e costiera europea”.

Le attività di Frontex sono sempre più orientate a dare effettività alle diverse e numerose situazioni di irregolarità. Rimane da verificare quanto la sostanziale chiusura della rotta libica, verificatasi nel mese di febbraio, dopo l’impennata di partenze dalla Libia nel mese di gennaio, dipenda dagli accordi con la Guardia costiera libica  o da una maggiore efficacia dissuasiva delle politiche di rimpatrio forzato o dal dispiegamento delle unita navali della nuova missione Themis di Frontex. Come potrebbe dipendere ancora da cospicue elargizioni pervenute da Bruxelles e da Roma alle milizie libiche che controllano i territori, al fine di garantire la funzionalità degli impianti di estrazione del petrolio, proprio nelle stesse aree di partenza, come Zawia, dalle quali vengono messi in mare i gommoni carichi di migranti. Tutti i testimoni più scomodi, come i giornalisti e alcune ONG indipendenti sono stati eliminati.

Forse qualcuno ha saputo qualcosa della missione del Parlamento Europeo in Libia lo scorso dicembre, alla viglia di Natale? Quali risultati concreti in termini di difesa effettiva dei diritti umani stanno arrivando dalle politiche europee in Libia e negli altri paesi del Sahel ?

Il Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, oggi ha firmato l’autorizzazione a una missione in Libia di una delegazione ufficiale di deputati europei dal 16 al 22 dicembre. L’obiettivo è “verificare la situazione nel paese, con particolare riguardo agli sforzi delle autorità libiche per avviare un processo di stabilizzazione”, si legge in una nota dell’Europarlamento.A guidare la delegazione sarà la deputata socialista spagnola Ines Ayala Sender, a cui Tajani ha chiesto di “concentrarsi in modo particolare sullo stato del rispetto dei diritti fondamentali in Libia”.

Si può rilevare come Frontex abbia accresciuto i rapporti di collaborazione di polizia, anche con i paesi terzi, e progressivamente ridotto le imbarcazioni in mare, che avrebbero potuto anche salvare vite umane in pericolo di naufragare. Frontex ha intensificato le sue attività di intelligence e di scambio di informazioni con i servizi segreti, europei e di quei paesi che dietro congrui vantaggi economici si prestavano a collaborare nelle politiche di respingimento e di espulsione.

Il disimpegno di Frontex dall’area Search and Rescue del Mediterraneo centrale, nella quale era fortemente presente fino al 2016, e oggi non si può certo parlare di una SAR “libica”, ha contribuito ad aumentare il numero delle vittime, che nel mese di gennaio di quest’anno sono state la cifra più alta mai registrata in termini relativi, rispetto alle persone che sono riuscite comunque a fuggire dalla Libia. Vittime in carne e ossa, persone con la loro storia, non numeri con i quali fare solo statistiche. Che cosa fa concretamente la Guardia Costiera di Tripoli quando blocca i migranti in acque internazionali? Quali standard di sicurezza garantisce il coordinamento italo-libico? Neppure il ministro Minniti sa quante navi umanitarie sono rimaste operative nelle acque del Mediterraneo centrale. Dopo che la maggior parte delle ONG sono state allontanate nessuno lo potrà più testimoniare sulle intercettazioni in acque internazionali consentite alle autorità libiche sotto l’occhio benevolo della missione europea Eunavfor MED.

La materia dell’immigrazione e della “lotta all’immigrazione illegale”, sembra ormai sottratta all’area di competenze disegnata nei Trattati, e trasferita alle politiche di sicurezza, come la cosiddetta PESC, la “Poliica estera della sicurezza comune”, attivata anche nella chiusura della rotta balcanica, politiche caratterizzate da poteri decisionali incentrati sugli esecutivi, sulle agenzie di sicurezza, e sui comitati che preparano i lavori del Consiglio Europeo. L’Agenzia Frontex ha operato sulla base di decisioni assunte al di fuori del quadro democratico garantito dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dai Trattati, perché si è di fatto esautorato il Parlamento Europeo, e tutte le principali scelte relative ai suoi impegni operativi ed ai suoi rapporti con agenzie di paesi terzi sono state rimesse a Comitati, come il COREPER, il Comitato permanente dei rappresentanti dei paesi membri presso il Consiglio Europeo, e lo SCIFA, direttamente collegato ai servizi di polizia dei diversi paesi. Servizi di polizia che sono apparsi sempre più interconnessi per intercettare ed estromettere i “colpevoli di fuga” ma del tutto inefficaci per contrastare il dilagare delle mafie che dalla Slovacchia a Malta sono riuscite ad eliminare i pochi giornalisti di inchiesta che hanno cercato di fare luce sulle strette connessioni tra politici europei e gruppi economici criminali.

Questo processo degenerativo, apparentemente coronato da successo, perché nei numeri si può rilevare una forte contrazione degli ingressi in Europa, e in Italia, si è basato sulla delega ai gruppi economici più forti, nel caso italiano, ENI e Finmecanica, della negoziazione con i paesi terzi anche al fine di garantire quelle attività di blocco dei migranti che le missioni militari all’estero non sono evidentemente in grado di intercettare. Naturalmente non sono mancati gli incidenti, come dopo la svolta della Comunità internazionale che dopo avere sostenuto per anni il generale Haftar a Tobruk ha inventato il governo Serraj a Tripoli. E che adesso sta di nuovo rivolgendo la sua attenzione all’”uomo forte” di Tobruk. Una situazione di tensione che ha persino impedito la dislocazione effettiva in Libia della missione militare europea EUBAM, da poco rientrata in quel paese, dopo essere stata costretta a fuggire in Tunisia, per la incerta situazione militare nella Libia occidentale. Di certo è garantita dai militari la Centrale di coordinamento della Marina italiana a Tripoli. Altra possibile spiegazione, dopo gli accordi con le milizie, del brusco calo delle partenze a partire dal 3 febbraio di quest’anno.

Si è poi sviluppato su entrambe le sponde del Mediterraneo un falso umanitarismo, con il convolgimento di alcune ONG inviate nei paesi di transito, come la Libia, per una impossibile umanizzazione dei centri di detenzione e per favorire tutte le possibilità di “rimpatrio volontario assistito”, ancora una volta per allontanare i migranti da quelle rotte che avrebbero potuto farli arrivare in Europa. Come serve a bloccare i migranti o a rispedirli indietro la politica praticata con il NIger. Anche quando si presenta con le forme dei rimpatri “volontari”.  Sono oltre 15 mila i migranti che sono stati riportati dalla Libia nei paesi di origine, con il concorso dell’OIM. Una parte consistente di quelli che sarebbero arrivati in Europa. Tutti gli altri che non sono riusciti a partire dalla Libia, o che sono stati ripresi dalla Guardia costiera libica in acque internazionali, almeno 50.000 persone, sono rimasti ingabbiati nei centri di detenzione in Libia, in quelli formali ed in quelli informali, comunque esposti agli abusi dele milizie.

L’apertura di qualche esiguo canale umanitario non può fare dimenticare la sostanziale mancanza di vie legali di ingresso in Europa, sia per lavoro che per sottoporre una domanda di protezione internazionale. Che, secondo gli standard stabiliti dalle Direttive europee e dalle normative dei paesi membri, non può essere fatta valere al di fuori dei confini di Schengen. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha persino ristretto la portata sostanziale dei visti umanitari previsti dal Regolamento Schengen.

L’applicazione residuale della Convenzione di Ginevra del 1951 nei paesi terzi come ad esempio il Sudan ed il Niger, al centro del Processo di Khartoum, fortemente voluto e finanziato anche dall’Italia, comporta il respingimento della maggior parte delle domande di protezione presentate al di fuori dei confini europei. Solo poche migliaia di persone su alcuni milioni che ne avrebbero titolo, riescono ad ottenere una protezione alla luce di una Convenzione siglata nel secolo scorso quando la figura tipo di riferimento era il dissidente che fuggiva dai paesi dell’est Europa verso l’Occidente “libero”. Oggi si fugge per una molteplicità di ragioni, non solo “politiche” e si moltiplicano le richieste di protezione anche per la cd. violenza di genere. Occorre valorizzare e non comprimere l’istituto della protezione internazionale.

Prospettive ancora più cupe si addensano sull’Europa con una possibile riforma del diritto di asilo che vedrà adottare criteri sempre più restrittivi, che potranno essere imposti ai paesi più deboli economicamente e più esposti geograficamente, come Italia e Grecia. Per l’Unione Europea la politica migratoria si risolve sostanzialmente nella riduzione delle possibilità di accesso alle frontiere ed al diritto di asilo e nel rinforzo delle prassi di polizia volte al rimpatrio. Prassi, perché non si può neppure parlare di politiche di rimpatrio. Rimpatri che spesso sono vere e proprie deportazioni di persone che avrebbero diritto alla protezione o sono già da tempo inserite in Europa. Dietro queste politiche, gli imprenditori economici della sicurezza e gli apparati affaristico-militari, quelli che sono ritenuti più interessanti dai leader africani che devono rifornirsi di armi per mantenere il loro potere.

Quanto sta succedendo in Grecia, dove sono evidenti i nessi tra le politiche economiche e quelle migratorie nei rapporti con Bruxelles, dovrebbe costituire un campanello di allarme non trascurabile in Italia. Eppure i cittadini europei continuano a ritenere che la crisi derivi dsll’arrivo dei migranti, come gli è stato fatto pensare da una informazione martellante, e sotto la spinta dell’opinione pubblica sempre più incline al populismo e alla xenofobia, anche i partiti socialdemocratici adottano politiche di destra. Non si comprende che la ricchezza collettiva non la rubano i migranti ma i grandi gruppi economici, che spesso evadono, o corrompono, e hanno rapporti con i sistemi criminali statali e della criminalità organizzata, come si è verificato dall‘Algeria alla Nigeria, dove si è sparato sul responsabile dell’Unità anticorruzione. Anche in Libia la corruzione è endemica, ma nessuno ne parla.

Il nesso che si è creato tra politiche economiche e politiche della sicurezza, tra queste in primo piano le politiche migratorie e di controllo dei confini, va svelato e contrastato, perché implica il rischio di una grave involuzione autoritaria, anche nel nostro paese, e della ulteriore compressione dei diritti e delle libertà fondamentali che dovrebbero spettare ad ogni persona, senza alcuna discriminazione, quale che sia la sua provenienza nazionale. Come i diritti di difesa ingiustamente tagliati dal Pacchetto Minniti (legge 46 del 2017) a danno dei richiedenti asilo che dopo un primo diniego da parte della Commissione Territoriale, intendono proporre ricorso. Per loro dopo la prima sentenza del Tribunale non c’è più il grado di Appello, nel quale in precedenza si vincevano la maggior parte dei ricorsi.

Sui migranti e sui richiedenti asilo si stanno sperimentando, a livello europeo e interno, forzature dello stato di diritto e delle regole democratiche, a partire dai diritti di difesa, che presto si potranno estendere a tutti i cittadini. Non si può attendere che una svolta possa arrivare da partiti o gruppi politici che continuano a fare del liberismo economico una bandiera, se non una vera e propria questione identitaria, o da partiti che dietro un falso umanitarismo hanno concluso accordi con i peggiori dittatori, come nel caso degli accordi tra Unione Europea e Turchia o tra Italia, Egitto, Sudan e Libia.

Accordi che hanno fatto crescere a dismisura i morti alle frontiere, nei deserti o in mare, e che hanno nascosto dietro la diminuzione degli arrivi un corrispondente aumento delle persone segregate, violentate o uccise nei paesi ai margini della Fortezza Europa. Dietro questi accordi non ci sono stati tentativi di pacificazione e di democratizzazione, ma intese volte a impedire le partenze verso l’Europa in cambio di consistenti aiuti economici erogati anche attraverso i rapporti di collaborazione economica gestiti dai grandi gruppi multinazionali o dalle mafie locali. Come si è verificato a Sabratha e in altri luoghi di imbarco in Libia. Questa la logica sottesa ai Migration Compact stipulati con i paesi africani. Dove girano tanti soldi che vanno a finire sempre nelle mani di miliziani, anche se adesso vestono la divisa di guardie di frontiera, la tutela dei diritti umani diventa una chimera.

Per una diversa politica migratoria che restituisca dignità alla persona, quale che sia la sua provenienza, e che possa tradursi in un fattore di pacificazione e non di conflitto, tanto all’esterno che all’interno delle frontiere nazionali europee, occorre una mobilitazione e una aggregazione dal basso, che sia capace di rompere i confini che separano i movimenti autenticamente di sinistra ancora esistenti in Europa e che faccia argine contro i nazionalismi dilaganti. Un esempio di aggregazione che potrebbe collegarsi a quella sparuta pattuglia di parlamentari che si è opposta, invano, al Parlamento Europeo alla legittimazione di un gruppo estremista come Generazione identitaria, e che da tempo si è battuta per un superamento del Regolamento Dublino e per la cassazione degli accordi di collaborazione con paesi terzi governati da dittature. Perché le destre più estreme stanno puntando soprattutto sulla aggregazione del dissenso sociale sui territori e sui rapporti transnazionali, con il supporto di gruppi di finanziatori sempre più consistenti. Ed è proprio su questi terreni che vanno contrastate. Una battaglia che non si può portare avanti senza restituire protagonismo alle comunità migranti.

Le azioni di denuncia politica o di resistenza legale non bastano più. Occorre uno sforzo formidabile sul terreno della comunicazione, e una pratica quotidiana di aggregazione sociale che deve portare a nuovi rapporti di rappresentanza politica. La sfida oggi è questa, non è un terreno sul quale si può scegliere di restare fermi. Dalla guerra ai migranti, ed alle organizzazioni solidali, presto si potrebbe passare ad uno scenario di forte conflitto sociale ed alla guerra vera e propria, con una degenerazione autoritaria dello stato. Le istituzioni internazionali non sembrano più in grado di garantire pace e democrazia.

O si va decisamente all’attacco, consapevoli della forza degli avversari e del loro radicamento degenerativo a livello istituzionale ed economico, ma proponendo nuove modalità di produzione e di distribuzione della ricchezza, un nuovo modello di rappresentanza e di Europa solidale, basata su rapporti orizzontali tra cittadini e su una elevata mobilità delle perone, oppure lo scenario che si profila è quello di una ennesima svolta autoritaria. Una svolta che potrebbe cancellare tutte quelle libertà fondamentali e quei diritti sociali garantiti, prima dalle Costituzioni nazionali dei paesi occidentali ( almeno fino alla costituzionalizzazione del cosidddetto pareggio di bilancio imposto da Bruxelles) e dopo, sia pure in misura più relativa, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalle Carte europee dei diritti sociali. Sarebbe il suicidio dell’Europa e forse la fine delle democrazie nate dalla sconfitta del nazifascismo, nel secolo scorso.

Fulvio Vassallo Paleologo

da Adif