Rapporto storicamente difficile quello tra la popolazione e le forze dell’ordine. In Italia in particolare dopo il fascismo, la polizia si è spesso scatenata contro i lavoratori provocando delle vittime. Chi ha i capelli bianchi, ricorda sicuramente la Celere di Mario Scelba che certo non usava il guanto di velluto contro i manifestanti. Negli anni ’70, pur nella durezza di quel periodo, soprattutto nella Ps (Polizia di Stato) si è fatta strada una coscienza democratica che ha portato alla sindacalizzazione dei lavoratori congiuntamente alla smilitarizzazione del corpo. Un passo avanti importante in buona parte vanificato negli ultimissimi decenni, quando, Genova insegna, è tornata a spirare nelle questura un’aria d’altri tempi non proprio benefica.
Con il Professor Salvatore Palidda, docente di sociologia all’Università di Genova ed esperto di tematiche relative alla sicurezza, abbiamo ripercorso un po’ la storia delle forze dell’ordine e della polizia in particolare in questi ultimi settant’anni.
Professore, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale quale era la situazione all’interno delle forze dell’ordine in Italia?
Premetto che tutte le forze di polizia italiane di oggi sono state create sia prima che dopo la nascita dello Stato nazionale italiano nel 1861. E i cambiamenti di regime non hanno prodotto notevoli modifiche nelle caratteristiche di queste forze. Dal 1947 l’Italia ha avuto un’eccellente Costituzione democratica che, però, non è mai stata pienamente applicata. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, la sovranità italiana è stata suddivisa tra gli alleati dominanti (gli Stati Uniti attraverso la Nato, per quanto riguarda le relazioni internazionali e gli affari militari) e il ‘Partito-Stato’, ovvero la Dc (Democrazia Cristiana) per quanto riguarda gli affari interni, vale a dire il Governo interno, mentre gli affari sociali sono stati governati dalla chiesa cattolica o dai sindacati. Come contromisura contro il rischio del comunismo, l’alleato dominante impose la conferma ai loro posti della maggioranza dei fascisti collaboratori dei nazisti in tutti i ranghi della burocrazia statale e, in particolare, delle forze armate e della polizia.
Questo fu il risultato dell’accordo esplicito e in parte tacito tra gli Stati Uniti, i gruppi conservatori italiani e il Vaticano. L’innovazione più importante realizzata dal partito-stato fu la creazione di un’unità di polizia di Stato per la gestione dell’ordine pubblico, la Celere, cioè per controllare e reprimere scioperi, manifestazioni e rivolte, assai frequenti e spesso imponenti, con anche il supporto di un’agenzia di intelligence alquanto mal controllata per debolezza della sovranità nazionale. Allo stesso tempo, alcune grandi aziende, per prima la Fiat, crearono una forza di polizia privata, spesso ben al di là della legalità, per le loro fabbriche; nelle regioni meridionali, soprattutto in Sicilia, la mafia agiva invece come traduzione pragmatica del partito-stato, a volte come un co-operatore o sostituto della polizia o come power-broker.
In sintesi possiamo dire che dal secondo dopoguerra fra autorità politiche e polizie c’è stato una sorta di compromesso?
Sì, in quanto le prime hanno garantito l’autonomia di gestione interna alle seconde, le promozioni, le concessioni di alcuni privilegi e le seconde hanno assicurato la sudditanza politica.
Che tipo di rapporto c’era le forze politiche di sinistra e la polizia?
Dal 1945 al 1980 i partiti di sinistra hanno cercato sempre di ottenere una qualche forma di compromesso al fine di evitare il rischio di una guerra civile; in particolare, il Pci (Partito comunista) non ha quasi mai affrontato una effettiva battaglia per il controllo democratico e la razionalizzazione delle forze di polizia. Negli ultimi decenni, precisamente dal 1990, la sinistra ha invece partecipato alla gestione della polizia e delle forze militari e oggi è la principale rappresentante nel parlamento di queste forze e anche di tutti gli affari militari e di polizia.
Tornando alla pesante repressione poliziesca degli anni ’50 e ’60 come possiamo descrivere quel clima di allora?
Scelba è stato assai abile e si può dire che ha rintuzzato le avances di mafia e fascisti con un monopolio della violenza alquanto solido articolandolo con il sostegno della Chiesa e quindi il paternalismo caritatevole. E’ lui l’artefice del partito-stato che vuole mostrare la capacità di sovranità Dc sugli affari interni. Pci, Psi (Partito socialista italiano) e Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro) sono costretti a essere sempre sulla difensiva e non possono contare certo sul sostegno dell’Urss per un’eventuale ipotesi di rottura dell’alleanza con gli Stati Uniti. Il movimento operaio subisce, si difende, paga con lacrime e sangue ed è condannato a sperare in tempi migliori. Il carattere difensivo segna per sempre l’azione del movimento operaio e della sinistra.
Quando scoppia la rivolta del ’68 il rapporto tra forze dell’ordine e popolazione cambia. Pasolini lancia la provocazione descrivendo i poliziotti come i veri proletari che si scontravano con i figli della borghesia. Che cosa pensa di quelle considerazioni?
Pier Paolo Pasolini è stato un grandissimo intellettuale che soprattutto negli ultimi anni approda allo scetticismo saggio e inevitabile al pari di altri grandi intellettuali come Hanna Arendt o Michel Foucault (famosa la sua frase: ‘diffidate degli spacciatori di speranze’). Tuttavia, a proposito della sua boutade sugli studenti borghesi e i poliziotti proletari si lascia prendere dal populismo di cui allora era ancora influenzato come del resto tanti intellettuali della sinistra italiana. Doppiamente sbagliato perché il sessantotto è anche conseguenza della scolarizzazione di massa, cioè dell’arrivo dei figli di operai e anche poliziotti all’università e perché gli eserciti e le polizie scagliate dal potere contro le rivolte sono sempre formati da sottoproletari e proletari, cioè da persone delle classi subalterne! Si tratta ovviamente di mercenariato così come oggi i contractors negli States e altrove sono spesso reclutati in questi ‘ceti’ sociali.
Negli anni ’70 prende il via la sindacalizzazione delle forze dell’ordine e in particolare della Polizia di stato. Cambia dunque, in un periodo particolarmente difficile, il rapporto tra la Ps, gli italiani e le forze politiche. In che modo? E perché negli ultimi vent’anni abbiamo registrato dei notevoli passi indietro – vedi Genova e tanti altri gravi episodio riguardanti singoli cittadini – rispetto a queste conquiste? Che cosa è successo?
Sulla base di alcune ricerche empiriche e anche del confronto con buona parte della letteratura italiana e internazionale si può cercare di descrivere e commentare cosa è cambiato e cosa, invece, mi sembra si inscriva nella continuità col passato. Dal secondo dopoguerra a oggi, dal punto di vista delle principali caratteristiche della sicurezza e delle polizie in Italia appare utile distinguere tre periodi: il primo, dal 1948, è stato dominato dall’orientamento soprattutto repressivo di difesa dell’assetto di potere democristiano; il secondo è stato il periodo della parziale riforma democratica sancita dalla legge 121 del 1981; il terzo, ancora in corso, inizia nel 1990 e può essere chiamato il periodo della continuità e dell’adattamento al liberismo.
Che cosa è cambiato in questo ultimo periodo?
Registriamo un aumento delle possibilità e occasioni di anamorfosi dello stato di diritto democratico, ossia il continuo passaggio dal legale all’illegale e viceversa attraverso la stessa legalizzazione dell’illecito e l’aumento della distanza se non dell’antitesi fra legittimità e legalità; il quasi totale accantonamento del processo di democratizzazione – seppur parziale – sancito dalla legge 121 del 1981; la più accentuata coesistenza fra democrazia e autoritarismo, cioè fra gestione pacifica e gestione violenta del disordine; il processo – anche se parziale – di militarizzazione delle polizie e di conversione poliziesca – sempre parziale – delle forze armate; un nuovo e notevole peso del privato sulla sicurezza e sulle polizie e quindi sulla ‘rendibilità’ economica e politica delle attività e pratiche in questo campo e di queste istituzioni (la sicurezza come business, la pervasività della rivoluzione tecnologica); lo sviluppo dell’immersione di buona parte delle polizie in diversi segmenti della società locale e lo sviluppo di pratiche della sicurezza condizionate dai dominanti locali; un certo aumento della devianza e della criminalità negli stessi ranghi delle polizie (corruzione, coinvolgimento in attività criminali, abusi, violenze, tortura e anche impunità); una maggiore e più diretta incidenza di alcune attività delle polizie nella regolazione economica e sociale.
La percezione che la popolazione ha delle forze dell’ordine non è mai stata tra le migliori, malgrado molti tra poliziotti, carabinieri e via dicendo rischino quotidianamente la vita a fronte di stipendi assolutamente inadeguati. Che cosa ne pensa?
Ci sono tanti operatori delle polizie onesti, che credono nella possibilità di una polizia democratica. Ma la maggioranza non ha alcuna vocazione di garantire lo stato di diritto democratico e c’è una folta e tozza minoranza palesemente reazionaria e razzista che si ispira al rambismo. Questa componente sembra aumentata proprio dal 1990 in poi e a seguito dell’immissione ormai regolare degli ex-militari che hanno svolto la ferma di tre o sei anni nelle missioni militari all’estero. In ogni caso nei ranghi delle polizia non ci sono più razzisti o potenzialmente devianti di quanti ce ne siano in proporzione fra la popolazione.
Come interpretano le forze di polizia il concetto di ordine?
La gestione violenta oppure pacifica del ‘disordine’ (cioè di tutto ciò che infrange la ‘legge e l’ordine’) è casuale oppure voluta per scelte di opportunità imposte dall’alto o dagli attori più forti, anche privati. In generale però le polizie preferiscono la pace sociale, la mediazione, innanzitutto perché hanno paura del rischio di una guerra permanente con buona parte della società e perché la loro legittimità si fonda su una certa popolarità.
Qual è l’aspetto più grave nel campo della sicurezza e delle pratiche delle polizie oggi in Italia?
E’ la continua distrazione di massa che orienta l’opinione pubblica e le polizie contro alcune insicurezze ‘di comodo’, fatte diventare le più appariscenti e peraltro a volte persino fabbricate ad hoc. Si ignorano invece le insicurezze che colpiscono di più la maggioranza della popolazione : i rischi di disastri sanitari-ambientali che producono il cancro, oggi prima causa di mortalità, le economie sommerse che riproducono neoschiavitù, immigrazione irregolare, evasione contributiva e fiscale e anche smaltimento illecito di rifiuti cancerogeni, ibridazione fra legale-illegale e criminale, e corruzione anche nei ranghi delle polizie e della stessa magistratura, negli enti locali e nel parlamento.