«Incontri troppo ravvicinati?», un libro di Vincenzo Scalia. Nel saggio, tra sociologia e politica, vengono analizzate diverse storie di abusi
di Giso Amendola
Federico Aldovrandi e Riccardo Magherini sono due casi di «incontri troppo ravvicinati», uccisi dall’intervento dei tutori dell’ordine. Vincenzo Scalia (Incontri troppo ravvicinati? Polizia, abusi e populismo nell’Italia contemporanea, manifestolibri, pp. 180, euro 12, con prefazione di Stefano Anastasia) muove dall’analisi dei discorsi prodotti dalle e sulle forze di polizia in quelle circostanze, per mostrare come, contro ogni retorica delle mele marce, quei fatti siano rilevatori della violenza strutturale delle politiche dell’ordine pubblico.
Scalia fa emergere un blocco culturale di fondo che riguarda la cultura dell’Europa continentale: le polizie tendono ad essere identificate strutturalmente e persino «eticamente» con lo Stato, sicché l’indagine stessa, anche solo scientifica, sulle forze dell’ordine è a priori sospetta di contenere una qualche insidiosa minaccia alla nazione.
UN MODELLO di organizzazione centralistico e un onnipresente elemento di militarizzazione, che resiste malgrado le riforme, testimoniano dentro la struttura delle forze dell’ordine questa matrice statualistica. Il ricorso continuo da parte della polizia a pratiche di «alterizzazione», vale a dire alla costante riduzione a «nemico» dei diversi attori che ne incrociano l’azione, e una cultura interna caratterizzata da machismo e conservatorismo, ne testimoniano il costitutivo isolamento dalla popolazione.
Molto più dinamico è invece il rapporto tra società e polizia nei modelli anglosassoni, ispirati al decentramento e a un rapporto più stretto con le comunità. Non è vero, però, che una governance decentrata sino a giungere all’elezione democratica dei capi della polizia, garantisca contro la violenza sistemica molto di più del centralismo continentale. Questo perché, spiega bene Scalia, l’offerta di polizia «dall’alto» si incrocia con la domanda «di sicurezza» dal basso.
IL SICURITARISMO poliziesco è evidentemente un prodotto dell’irriducibilità violenza del comando statuale, ma è anche, in modo forse più complesso e insidioso, il frutto delle politiche neoliberali che hanno destrutturato il welfare. L’analisi delle politiche della sicurezza in pandemia è un buon esempio di questo intreccio tra controllo dall’alto e domanda di sicurezza dal basso: la richiesta di protezione sociale è stata sistematicamente elusa e tradotta esclusivamente nei termini di una gestione emergenziale dei comportamenti, e nella sollecitazione di una sorveglianza diffusa affidata alla popolazione stessa.
Questo intreccio critico di culture securitarie di polizia e di populismo penale dal basso non chiude però tutti gli spazi. Se il neoliberalismo ha reso difficile avanzare richieste di cura collettiva e di diritti sociali, non ha eliminato un certo senso comune sulla difesa dei diritti individuali, che rende difficile affossare le vicende più gravi di abuso poliziesco. Si tratta di contestare la tesi delle «mele marce», e di portare avanti lotte per una responsabilizzazione delle forze dell’ordine, sul modello delle richieste dei numeri di riconoscimento visibili e delle commissioni di inchiesta.
Molto più scettico invece si mostra Scalia sui movimenti abolizionisti, che hanno proposto lo smantellamento della polizia o almeno un radicale spostamento di risorse dalla polizia a modalità alternative e democratiche di controllo. Scalia solleva il problema che l’abolizionismo potrebbe, contro le sue intenzioni, finire per dare una mano ad un ulteriore privatizzazione del controllo di polizia.
SE QUESTO AVVERTIMENTO deve essere sicuramente tenuto prudentemente presente nel progettare alternative praticabili alla polizia, è bene ricordare, però, il grande ruolo che le campagne abolizioniste dei movimenti americani tipo «Defund the police!» hanno avuto nel creare, contro la violenza di Stato, un forte terreno di connessione intersezionale tra mobilitazioni di classe, di genere e di razza.
L’abolizionismo potrebbe offrire alla lotta contro gli abusi di polizia un orizzonte più generale di riappropriazione radicale di democrazia e di mobilitazione antiautoritaria, senza peraltro essere alternativo alle necessarie e saggiamente riformiste campagne sull’accountability democratica delle forze dell’ordine.
da il manifesto
Osservatorio Repressione è un sito indipendente totalmente autofinanziato. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 e darci una mano a diffondere il nostro lavoro ad un pubblico più vasto e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram