La guerra sporca contro i movimenti; otto donne di Barcellona adescate da un infiltrato che per anni si è finto militante anticapitalista per ottenere informazioni, nomi, e le chiavi dei locali.
di Stefano Portelli e Victor Serri
La violenza con cui lo stato si vendica della lotta di Alfredo Cospito, violando le stesse leggi e principi da cui trae il suo potere, è una forma di “diritto penale del nemico”: contro gli attivisti e la dissidenza politica gli agenti di sicurezza dello stato agiscono come se fossero in guerra. Ogni violenza è lecita, perché terrorizza e riduce al silenzio anche chi non ha ancora “fatto niente”. Spesso i benpensanti tendono a dimenticare quanto gli stati promuovano attivamente conflitti e sofferenza, per indurre tensione e disgregazione tra chi li critica, o in chi potrebbe attaccarli. Un libro recente sulle tecniche di controinsorgenza usate dalla polizia turca nei quartieri aleviti di Istanbul, con la provocazione di conflitti etnici e religiosi, dovrebbe farci riflettere su quanto sia intollerabile che gli stati, anche quelli “democratici”, usino la violenza e l’illegalità ogni volta che qualche suo dirigente lo ritenga utile.
In Italia, strumenti giudiziari creati per la criminalità organizzata si stanno usando sistematicamente contro i dissidenti politici per gettare discredito e sospetto, riducendo al silenzio interi settori sociali. È una tattica collaudata – come quando in Campania si evoca lo spettro della camorra per legittimare le uccisioni di adolescenti da parte della polizia; ma di recente abbiamo avuto cinque militanti della lotta per la casa del Giambellino di Milano condannati per associazione a delinquere, con pene fino a cinque anni; sindacalisti del SiCobas di Bologna e Piacenza accusati di “atti estorsivi”; e la sorveglianza speciale proposta, e poi decaduta, per un attivista climatico di Ultima Generazione.
In Catalogna la guerra sucia contro i gruppi politici radicali non è certo una novità. Quest’anno la rivista di movimento La Directa è riuscita a documentare due casi di poliziotti che per anni sono riusciti a farsi passare per attivisti, ottenendo enormi quantità di informazioni, e addirittura le chiavi di locali e spazi autogestiti. L’ultima inchiesta, pubblicata il 30 gennaio scorso, mette in luce anche l’uso delle relazioni sentimentali e sessuali per ottenere accesso e conoscenze. Ecco la storia ricostruita da La Directa: a giugno 2020 un ragazzo che si fa chiamare Dani entra nella palestra popolare del centro sociale La Cinètica, nel quartiere di Sant Andreu. “Cercava un posto economico per allenarsi”, ricorda un attivista di quello spazio. Si presenta come un giovane di Maiorca trentunenne appena arrivato a Barcellona. Passano i mesi e Dani è sempre più legato alla vita del quartiere e al movimento libertario. Cambia modo di vestire, si fa una cresta e diversi tatuaggi riconducibili all’immaginario anarchico. Alcuni all’inizio diffidano, non sapendo nulla del suo passato; inoltre, non conosceva nessuno a Maiorca. “Dani ci rideva su; era sempre simpatico e scherzoso”, ricorda un attivista del quartiere.
In realtà Daniel Hernandez Pons è il nome di copertura di un agente della Polizia Nazionale spagnola, sotto l’ordine gerarchico del ministro degli interni socialista Fernando Grande-Marlaska. La sua missione era quella di infiltrarsi nel movimento libertario di Barcellona, all’interno di un’operazione più ampia che prevedeva l’introduzione di spie negli spazi dell’attivismo politico. In Spagna la penetrazione di agenti infiltrati dev’essere ordinata da un giudice, ed è riservata ai casi di terrorismo, crimine organizzato e traffico di stupefacenti. Ma la stragrande maggioranza delle persone che sono state ingannate da “Dani” non aveva commesso alcun “delitto”.
“Ho conosciuto Dani una notte del giugno 2020, in plaça de les Palmeres, nel quartiere di Sant Andreu. Era un tipo simpatico ed era facile entrarci in sintonia. Ci provava con le ragazze in un modo divertente. Ho dormito con lui varie volte, e in tre occasioni abbiamo avuto rapporti sessuali”, dice Joana, una delle donne che negli ultimi tre anni hanno avuto rapporti con il poliziotto infiltrato. Né lei né le altre avrebbero mai avuto una relazione con lui se avessero saputo che era un agente di polizia. Attraverso i rapporti affettivi e sessuali, alcuni ottenuti anche utilizzando l’app di appuntamenti OkCupid, il poliziotto è riuscito a entrare in diversi progetti e spazi sociali del quartiere; e grazie alla relazione di un paio di mesi con un’attivista del centro storico, aveva potuto muoversi anche in altre zone della città.
La persona con cui queste donne si erano trovate a condividere momenti d’intimità, non esisteva; era un’illusione costruita con l’obiettivo di spiare i movimenti politici della città. Un’altra donna, Bea, a cui l’agente aveva detto che “era una delle ragioni per cui non andava via da Barcellona”, per diversi giorni non è riuscita a rientrare nella stanza dove erano stati insieme, né a parlarne, per la rabbia e lo shock. L’azione si rivela ancora più subdola, quando ci si rende conto delle implicazioni di genere di questa violazione, messe in luce da alcune delle donne che l’hanno subita. “Non c’è nessun rimedio possibile, quando sai che ti ha violato un agente della polizia nazionale”, dice Joana. La realtà è esattamente al contrario di quello che raccontava la serie Netflix Antidisturbios, in cui era invece una perversa attivista dei movimenti per la casa a “violare” il povero poliziotto antisommossa.
“Dani” non è il primo agente infiltrato nei movimenti di Barcellona: da almeno vent’anni si sa che ci sono poliziotti sotto copertura che mantengono rapporti sentimentali, anche di lunga durata, con persone appartenenti ai movimenti. A giugno scorso La Directa aveva svelato la copertura di un altro agente nascosto sotto il nome di Marc Hernandez Pons, che aveva iniziato a infiltrarsi nei movimenti nella stessa settimana di giugno 2020 in cui era partita la missione di “Dani”. Il personaggio di “Marc” era diverso: anche lui di Maiorca, ma giovane studente universitario, era diventato attivo nei sindacati studenteschi, oltre che nel movimento indipendentista e in quello di lotta per la casa del centro storico. Questa identità gli era stata assegnata durante la sua formazione presso la scuola del Corpo Nazionale di Polizia, dove era entrato nel 2016. Diplomato come funzionario di polizia a giugno 2019, a febbraio 2020 assumeva la nuova identità, e a giugno entrava a far parte delle azioni e dei gruppi Telegram del collettivo per la casa Resistim al Gòtic. Si iscriveva all’università utilizzando il nome di copertura, con cui aveva anche un conto corrente, e in pochi mesi diventava il responsabile di un settore del Sindacato degli studenti dei paesi catalani (Sepc).
La pubblicazione dell’inchiesta, partita grazie a degli errori dell’agente, aveva destato scalpore: l’ex presidente catalano Carles Puigdemont aveva chiesto in un tweet se “non fosse più un reato aprire un conto corrente o iscriversi all’università con un’identità falsa”, mentre una deputata del Cup (indipendentisti anticapitalisti) aveva denunciato il governo del Psoe e di Podemos dicendo che “quello che per noi è uno scandalo per loro è la norma”. La delegata del governo a Madrid, Ester Capella, aveva definito questa pratica “tipica dei regimi totalitari” e i partiti indipendentisti avevano poi richiesto formalmente al ministro degli interni una spiegazione, per capire chi avesse autorizzato l’operazione. I documenti d’identità falsi come quelli usati da “Marc” e poi da “Dani”, infatti, possono essere rilasciati solo su ordine del ministero, o su richiesta dei servizi segreti spagnoli, oggi sotto il controllo del ministro della difesa.
C’è da domandarsi quanti altri agenti infiltrati stiano lavorando adesso nei movimenti politici, catalani e non, e soprattutto come identificare la loro azione. In Italia, i casi documentati degli inflitrati al G8 di Genova (la cui presenza non è mai stata ammessa ufficialmente) e degli scontri del 2008 a piazza Navona a Roma sono i più noti; ma la polizia italiana nel 2019 ha dichiarato che avrebbe aumentato la presenza di infiltrati nelle “associazioni criminali”. Attenzione, perché adesso tra le associazioni criminali si annoverano anche i sindacati di base, le organizzazioni per la casa e i movimenti contro il cambio climatico
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