Il Tribunale dei minorenni di Napoli ha respinto le richieste della difesa [modifica della misura cautelare e del collocamento in comunità] per la ragazza rom accusata del rapimento di una neonata. Agghiacciante la motivazione: «L’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom».
Ricordate la storia della ragazza rom di Ponticelli [Napoli] accusata di aver tentato di rapire una neonata? Il Tribunale per i Minorenni di Napoli, in sede di appello, ha rigettato le richieste della difesa e nei giorni scorsi ha reso nota la motivazione. Nel provvedimento, tra le altre cose, si legge: «Emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom. Ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva». La decisione afferma l’esistenza di un nesso di causalità tra l’appartenenza etnica e la possibilità di commettere reati. «Questo assunto, sfacciatamente razzista, si traduce nella decisione di non concedere nemmeno misure alternative alla carcerazione», commenta l’avvocato della ragazza rom, Cristian Velle. Secondo il Tribunale «sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa risultano, infatti, misure inadeguate anche in considerazione alla citata adesione agli schemi di vita rom che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole».
Il provvedimento di rigetto della richiesta di modifica della misura cautelare afferma a chiare lettere che il collocamento in comunità non è ammissibile in quanto la ragazza aderisce agli schemi di vita del popolo cui appartiene. Aggiunge Cristian Valle: «In modo sconcertante, si afferma l’opzione del carcere su base etnica, e, attraverso la definizione di ‘comune esperienza’, i più biechi e vergognosi pregiudizi contro la minoranza rom vengono elevati al rango di categoria giuridica. In un paese che sanziona la clandestinità come reato, l’intera vicenda della ragazza rom è rappresentativa dell’accanimento giudiziario contro gli stranieri che gravemente annichilisce i diritti umani».
A.V., questo il nome della quindicenne rom accusata di aver rapito la neonata a Ponticelli nel maggio 2008, è stata accusata dalla madre della neonata, unica testimone dell’avvenimento, che finora però ha fornito una versione dei fatti poco verosimile. Secondo il racconto della madre A. V. sarebbe riuscita a introdursi nella sua abitazione dove, approfittando del fatto che la neonata sarebbe rimasta per pochi attimi sola in cucina, sarebbe riuscita a «rapire» la neonata e a uscire dall’appartamento, il tutto in pochi secondi, senza produrre il minimo rumore e senza provocare il pianto della bimba.
Nonostante ciò, il Tribunale per i Minorenni ha condannato la minore rom a 3 anni e 8 mesi, fondando la decisione di colpevolezza sul presupposto che la madre della neonata non avrebbe avuto alcun interesse ad accusare la minore rom se il fatto non fosse accaduto.
La difesa della ragazza rom ha sempre denunciato la violazione dei diritti fondamentali come, ad esempio, la mancata traduzione degli atti nella lingua conosciuta dall’imputata, questione più volte sollevata ma sempre respinta, nonostante le dichiarazioni della mediatrice culturale che accolse a Nisida la piccola rom, secondo la quale A.V. al momento dell’arresto non comprendeva minimamente la lingua italiana. Ogni richiesta della difesa, insomma, è stata sistematicamente respinta, perfino la richiesta della messa alla prova e l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con la motivazione che A.V. potrebbe avere ingenti patrimoni nel suo paese d’origine. Non le è stato concesso alcun beneficio di legge benché la minore risulti incensurata e in stato di abbandono. I familiari di A.V., infatti, sono scappati a seguito della devastazione del campo rom e delle persecuzioni verificatesi a Ponticelli. La sentenza d’appello ha confermato in pieno quella di primo grado e si attende ora la decisione della Corte di Cassazione. Con il processo ancora in corso, la piccola rom si trova in custodia cautelare nel carcere di Nisida da un anno e mezzo. A nulla sono valse le motivate istanze di scarcerazione.
Ricordate la storia della ragazza rom di Ponticelli [Napoli] accusata di aver tentato di rapire una neonata? Il Tribunale per i Minorenni di Napoli, in sede di appello, ha rigettato le richieste della difesa e nei giorni scorsi ha reso nota la motivazione. Nel provvedimento, tra le altre cose, si legge: «Emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom. Ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva». La decisione afferma l’esistenza di un nesso di causalità tra l’appartenenza etnica e la possibilità di commettere reati. «Questo assunto, sfacciatamente razzista, si traduce nella decisione di non concedere nemmeno misure alternative alla carcerazione», commenta l’avvocato della ragazza rom, Cristian Velle. Secondo il Tribunale «sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa risultano, infatti, misure inadeguate anche in considerazione alla citata adesione agli schemi di vita rom che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole».
Il provvedimento di rigetto della richiesta di modifica della misura cautelare afferma a chiare lettere che il collocamento in comunità non è ammissibile in quanto la ragazza aderisce agli schemi di vita del popolo cui appartiene. Aggiunge Cristian Valle: «In modo sconcertante, si afferma l’opzione del carcere su base etnica, e, attraverso la definizione di ‘comune esperienza’, i più biechi e vergognosi pregiudizi contro la minoranza rom vengono elevati al rango di categoria giuridica. In un paese che sanziona la clandestinità come reato, l’intera vicenda della ragazza rom è rappresentativa dell’accanimento giudiziario contro gli stranieri che gravemente annichilisce i diritti umani».
A.V., questo il nome della quindicenne rom accusata di aver rapito la neonata a Ponticelli nel maggio 2008, è stata accusata dalla madre della neonata, unica testimone dell’avvenimento, che finora però ha fornito una versione dei fatti poco verosimile. Secondo il racconto della madre A. V. sarebbe riuscita a introdursi nella sua abitazione dove, approfittando del fatto che la neonata sarebbe rimasta per pochi attimi sola in cucina, sarebbe riuscita a «rapire» la neonata e a uscire dall’appartamento, il tutto in pochi secondi, senza produrre il minimo rumore e senza provocare il pianto della bimba.
Nonostante ciò, il Tribunale per i Minorenni ha condannato la minore rom a 3 anni e 8 mesi, fondando la decisione di colpevolezza sul presupposto che la madre della neonata non avrebbe avuto alcun interesse ad accusare la minore rom se il fatto non fosse accaduto.
La difesa della ragazza rom ha sempre denunciato la violazione dei diritti fondamentali come, ad esempio, la mancata traduzione degli atti nella lingua conosciuta dall’imputata, questione più volte sollevata ma sempre respinta, nonostante le dichiarazioni della mediatrice culturale che accolse a Nisida la piccola rom, secondo la quale A.V. al momento dell’arresto non comprendeva minimamente la lingua italiana. Ogni richiesta della difesa, insomma, è stata sistematicamente respinta, perfino la richiesta della messa alla prova e l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con la motivazione che A.V. potrebbe avere ingenti patrimoni nel suo paese d’origine. Non le è stato concesso alcun beneficio di legge benché la minore risulti incensurata e in stato di abbandono. I familiari di A.V., infatti, sono scappati a seguito della devastazione del campo rom e delle persecuzioni verificatesi a Ponticelli. La sentenza d’appello ha confermato in pieno quella di primo grado e si attende ora la decisione della Corte di Cassazione. Con il processo ancora in corso, la piccola rom si trova in custodia cautelare nel carcere di Nisida da un anno e mezzo. A nulla sono valse le motivate istanze di scarcerazione.
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