Due leader curdi (esponenti rispettivamente del PUK e del PKK) concordano sulla necessità di una ritrovata unità del popolo curdo e mettono in guardia sulle conseguenze deleterie di una guerra intra-curda.
di Gianni Sartori
Recentemente, in occasione del 36° anniversario del massacro di Halabja (oltre 5mila curdi assassinati dalle armi chimiche), il presidente dell’Unione Patriottica Curda (PUK) Bafil Talabani aveva dichiarato che “ i curdi necessitano di unità e solidarietà e non di allontanarsi gli uni dagli altri. Dobbiamo porre le nostre differenza al servizio dei nostri comuni interessi. Non dimentichiamo che il destino di tutti noi è uno soltanto. Il senso di responsabilità di fronte al nostro paese e alla nostra nazione deve prevalere sulle divergenze. Il nostro lavoro deve essere per tutti”.
La presa di posizione di Talabani aveva incontrato il favore di un altro importante esponente curdo, Murat Karayılan, del comitato esecutivo del PKK (Partito dei Lavoratori Curdi).
Infatti in un’intervista all’agenzia di stampa ANF, aveva definito l’atteggiamento del PUK come autenticamente “nazionale”, una forma di resistenza di fronte alle pressioni e minacce turche.
Nell’intervista aveva anche approfondito la questione dell’inasprimento del conflitto nella regione. Diventata “teatro di una guerra intensa” non solamente nelle zone controllate dal PKK nel Sud-Kurdistan (Iraq), ma anche nel Nord-Kurdistan (Turchia). In particolare nel corso del 2003.
Ricordando tuttavia come la resistenza curda non fosse mai venuta meno, soprattutto lungo la linea di Zap, Avaşîn e Metîna.
Confermando così “non solo la capacità di lotta del PKK (con l’adozione di tecniche moderne) ma anche la determinazione nel contrastare la propaganda psicologica del regime AKP-MHP”.
Tornando poi alla politica interna curda, Karayılan aveva duramente criticato alcune organizzazioni curde che collaborano con lo Stato turco, riferendosi in particolare al PDK (Partito Democratico del Kurdistan). Deplorando gli incontri segreti (neanche tanto segreti poi) tra servizi turchi (MIT) e quelli del PDK. Tacciandoli senza mezzi termini un “tradimento della causa curda” oltre che una pratica “pericolosa e contraddittoria per le aspirazioni curde”.
Mettendo poi in guardia sulle disastrose conseguenze di un conflitto tra curdi (definito “vergognoso e regressivo”) e appellandosi “all’unità nazionale e al senso di responsabilità”.
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