Prime testimonianze dei carabinieri al processo Cucchi: Stefano cercò aiuto
- aprile 29, 2011
- in carcere, vittime della fini-giovanardi
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Stefano Cucchi avrebbe cercato di chiamare l’attenzione su di sè mentre si trovava all’interno della cella nel sotterraneo di piazzale Clodio in attesa dell’udienza di convalida del fermo. A riferirlo oggi in aula, davanti ai giudici della terza Corte d’assise di Roma, è stato il carabiniere Francesco Tedesco, il militare che aveva proceduto all’arresto di Stefano Cucchi e che quella mattina lo aveva accompagnato in tribunale insieme ad altri carabinieri. “Ho sentito Cucchi gridare ‘guardia, guardià – ha detto il carabiniere Francesco Tedesco che in quel momento si trovava in una saletta d’attesa nelle vicinanze delle celle – subito dopo una donna ha detto ‘stai zitto che è meglio per te, non le chiamare guardiè”. L’episodio era stato già riferito dal militare agli inquirenti mentre nel corso dell’udienza Francesco Tedesco in un primo momento ha riferito di non essere sicuro di aver riconosciuto proprio la voce di Cucchi per poi, dopo le contestazioni degli avvocati di parte civile, confermare quanto dichiarato nel corso del suo interrogatorio. Nel corso dell’udienza sono stati ascoltati in tutto sette militari dei carabinieri che hanno avuto a che fare con Stefano Cucchi dal momento del suo fermo, alle 23,30 del 15 ottobre 2009, fino all’udienza di convalida al tribunale di piazzale Clodio. A tutti i sette carabinieri è stata mostrata, inoltre, una foto di Cucchi che lo riprende al momento del suo ingresso nel carcere di Regina Coeli dove ha evidenti segni e gonfiori sotto gli occhi.
“Al momento del fermo Stefano Cucchi era tranquillo e spiritoso. Si è anche scherzato, era solo molto preoccupato per la reazione che avrebbe avuto la sua famiglia”. Così in aula, davanti ai giudici della terza Corte di Assise di Roma, il maresciallo Roberto Mandolini, ex comandante della stazione dei carabinieri di Roma Appia, racconta i momenti in cui ha verbalizzato l’arresto di Stefano Cucchi, il 16 ottobre del 2009. Cucchi, che sarebbe morto dopo sei giorni all’ospedale Sandro Pertini, era stato fermato dai militari per spaccio di droga nella zona dell’Appio Claudio nei pressi del Parco Lemonia. Il maresciallo Mandolini, rispondendo alle domande del pubblico ministero, Vincenzo Barba, ha riferito che Stefano Cucchi al momento del fermo mentre si trovava nella stazione Appia non ha voluto mangiare nulla ed ha accettato solo di bere acqua. “Era molto magro – ha detto in aula il maresciallo Roberto Mandolini – su questo punto abbiamo anche scherzato. Infatti lui mi ha risposto che non era magro lui ma che invece ero grasso io. Aveva comunque delle occhiaie marroni sotto gli occhi, ma queste credo fossero dovute allo stato di sofferenza della tossicodipendenza”. Il carabiniere ha, inoltre, riferito che Cucchi gli disse di soffrire di alcuni problemi con il fegato. Inoltre al maresciallo Mandolini è stata mostrata una fotografia scattata a Stefano Cucchi al momento dell’ingresso nel carcere di Regina Coeli: “le sue condizioni sono simili a quelle del momento del fermo – ha detto il maresciallo – non vedo particolari differenze”. “In caserma – ha detto ancora Mandolini – non è stato fotosegnalato e questo perchè Cucchi si era detto infastidito dall’inchiostro e non voleva sporcarsi le mani”.
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