Per non criminalizzare un intero movimento, per chiedere verità e giustizia sui giorni del G8, per il diritto di manifestare. E di difendersi
Contro la criminalizzazione del movimento, contro la richiesta di oltre due secoli di carcere fatta dalla procura di Genova per il processo dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio al G8, per ribadire la libertà di manifestare. Dalla Comunità di San Benedetto e i centri sociali liguri e del nord-est parte un nuovo appello: tutti a Genova per il 17 novembre. Tutti si traduce in quelli che c’erano nel 2001 ma anche quelli che vogliono ribadire che stare in piazza è sintomo di democrazia.La scelta della procura al processo per i 25, con la richiesta di pene tra i 6 e i 16 anni espressa l’altro ieri in tribunale, brucia. E allora si vuole tornare in piazza prima che sia troppo tardi, quindi prima delle sentenza di primo grado prevista per dicembre o gennaio.«Di 300 mila persone hanno preso 25 come capro espiatorio – dice Luca Casarini – questo è un processo politico contro i movimenti, quelli presenti e anche quelli futuri. Qui si processa, s’incarcera per impedire il dissenso sociale. Questo non è un tribunale di giustizia ma di potere che dice a chi va in piazza che rischia queste pene – aggiunge chi allora rappresentava le Tute bianche e oggi rifiuta qualsiasi etichetta e dice di parlare come singolo – È una lucida strategia terrorizzante. A questo punto i terroristi sono i pm». Gli fa eco don Andrea Gallo, fondatore della Comunità di San Benedetto: «Il virus del fascismo è in libera uscita. Noi vecchi partigiani per queste cose abbiamo come delle antenne. Qui nasce il partito unico del conformismo dominante. E allora io davanti a pene che mi sembrano esemplari, mi denuncio, mi sento moralmente e fisicamente corresponsabile di quegli imputati. Dico, venite e prendete anche me. Perché in quei giorni è saltata la legalità – dice sfogliando gli appunti che aveva preso il giorno del funerale di Carlo Giuliani – ci sono stati episodi di squadrismo e infatti il G8 si è concluso con la tortura».Si torna dunque con la memoria a quelle giornate del 2001, alla sospensione dello stato di diritto, alle decine di persone prese a manganellate in cortei pacifici e anche al Carlini, «quando un corteo di 20 mila persone autorizzato è stato attaccato dai carabinieri – dice Matteo Jade dello Zapata – il rischio era morire in piazza e infatti il morto c’è stato. E allora vogliamo rivendicare che scendere in piazza è legittimo e che difendersi se attaccati da blindati è necessario». Non è un episodio tirato fuori a caso. Una parte degli imputati sono legati alle cariche di Tolemaide, erano in corso Gastaldi e poi a piazza Alimonda intorno al Defender. L’appello per la manifestazione del 17 novembre parte da un documento diffuso sabato scorso «Noi quelli di via Tolemaide», lanciato alla Comunità di san Benedetto in occasione di un incontro con le Madri di plaza de Majo, come ha ricordato Domenico «Megu» Chionetti di Terra di Nessuno, che sottolinea che sul G8 «è in gioco la verità storica di quelle giornate eppure non è ancora chiaro chi era alla catena di comando in via Tolemaide». Insomma come ha detto don Gallo «il caso non è chiuso».
fonte: il manifesto
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