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Processo ai No Tav, ostaggi contro la ripresa e la generalizzazione delle lotte

Sta diventando paradigmatica, la vicenda dei compagni No Tav in galera dallo scorso 9 dicembre, di come gli apparati repressivi dello stato intendono gestire non solo l’ordine pubblico nelle piazze (come è accaduto lo scorso 12 aprile a Roma) ma anche i conseguenti risvolti giudiziari e penali.

Nei confronti di questi compagni la Magistratura torinese sta squadernando tutto quanto possa costituire elementi pesanti di accusa tesi a giustificare la carcerazione, le modalità processuali, gli articoli utilizzati del Codice Penale e – soprattutto – una sapiente ed astuta campagna stampa che punta, esplicitamente, alla criminalizzazione delle ragioni sociali della pluridecennale lotta No Tav.

E’ evidente, infatti, che attorno a questo snodo processuale si sta giocando una importante tappa della lunga storia della No Tav e del rapporto verticistico ed autoritario che le istituzioni hanno incarnato, nel corso degli anni, nelle relazioni con le comunità locali e le loro forme politiche e sociali.

Con l’allestimento di questo processo, con la plateale lunga carcerazione che si sta facendo  scontare a questi compagni e con l’allestimento della grancassa mediatica a sostegno di questo disegno repressivo si vuole imporre – anche nell’immaginario generale – che chiunque si oppone alla costruzione della Tav in Val di Susa è un terrorista ed un criminale.

Del resto che le mediazioni istituzionali e giudiziarie si vanno, sempre più, esaurendo, a fronte della determinazione dei poteri forti economici di andare avanti con questa inutile ed invasiva opera, si era colto nelle settimane scorse quando i giudici di una sezione del tribunale di Torino avevano comunicato che, perfino, Giorgio Cremaschi risultava indagato, senza saperlo, per presunti atti di insubordinazione verso i lavori di costruzione della Tav

Di fronte a questa ulteriore escalation del progetto repressivo ad ampia scala è necessario da parte dell’insieme degli attivisti politici e sociali e di tutte le organizzazioni anticapitaliste di una nuova assunzione di responsabilità per contrastare adeguatamente questo nuovo corso di blindatura autoritaria.

Abbiamo già fatto notare come questa tendenza all’incrudimento delle pratiche repressive non è la caratteristica di qualche “mela marcia” o di qualche nostalgico annidato nelle pieghe degli apparati del Ministero dell’Interno o della Magistratura.

Proprio il Prefetto di Roma si è incaricato di difendere anche scene e comportamenti indifendibili compiuti a Roma dalle forze di polizia a dimostrazione che la gestione della forza e della giustizia da parte degli esecutivi non è un dato astratto ed immutabile nel tempo ma è connessa strettamente al corso della crisi economica,  all’agenda politica del governo ed alla permanenza dei fattori del conflitto sociale nella società.

Su questi temi – oltre alle prioritarie ed indispensabili iniziative di solidarietà militante e di controinformazione già in corso in giro per il paese – sarebbe utile aprire una discussione pubblica per non lasciarci cogliere impreparati da questa accelerazione repressiva e dalle sue devastanti conseguenze.

Rete dei Comunisti da contropiano