Processo a porte chiuse per tutelare Ahed Tamimi, ancora minorenne, o per evitare ulteriori imbarazzi a Israele che sta processando una 17enne che ha schiaffeggiato due soldati? L’avvocato Gabi Lasky, che assiste la ragazza palestinese, non ha dubbi. «La corte ha deciso per un processo in presenza solo degli avvocati e dei familiari per tutelare i propri interessi», ossia perché il caso avesse la minore risonanza internazionale possibile, ha spiegato Lasky la decisione presa ieri dal giudice militare Menachem Lieberman di vietare a reporter e diplomatici la presenza alla prima udienza del processo a carico di Tamimi. La 17enne fu arrestata lo scorso dicembre in seguito alla diffusione di un filmato girato dalla madre, Nariman, anche lei sotto processo, in cui l’adolescente prende a schiaffi e sferra un calcio a due soldati davanti alla sua abitazione nel villaggio di Nabi Saleh. Immagini virali, che hanno fatto il giro del mondo, e alle quali gran parte dell’opinione pubblica e del mondo politico in Israele ha reagito con sdegno e rabbia chiedendo una punizione esemplare per la ragazza palestinese.
Questo procedimento in un Paese democratico si sarebbe chiuso con un’ammenda, considerando anche l’età dell’imputata, e Nariman Tamimi non avrebbe mai visto il carcere solo per aver postato un video sui social. Non è azzardato ipotizzare che un civile israeliano per un “reato” simile non avrebbe trascorso quasi due mesi in prigione. L’hanno denunciato più volte nelle scorse settimane anche Amnesty International e Human Rights Watch. Ma Ahed e Nariman Tamimi sono processate da un tribunale delle forze di occupazione militare, l’occupazione che la ragazza e, in generale, tutta la sua famiglia denunciano costantemente da anni. Basem Tamimi, il padre, è stato più volte arrestato e detenuto per la lotta (pacifica) contro l’occupazione e per la partecipazione alle proteste contro la costruzione del Muro israeliano a ridosso di Nabi Saleh. Ieri l’uomo ha lanciato un invito, «Sii forte», alla figlia arrivata in aula in divisa da carcerata e con le manette ai polsi e alle caviglie.
L’avvocato Gaby Lasky spiegava ieri che, di norma, i dibattiti processuali che riguardano i minorenni si svolgono a porte chiuse per proteggere i loro diritti «mentre in questo caso Ahed stessa ha chiesto con forza che fosse aperto al pubblico». Lasky ha aggiunto che l’incriminazione dell’attivista è stata «gonfiata» per scoraggiare altre proteste contro i militari. Per il quotidiano israeliano Haaretz è stato un colpo di genio quello del giudice Lieberman, per impedire che Ahed Tamimi potesse continuare, con la sola esposizione davanti alle telecamere di tv di mezzo mondo, a denunciare l’occupazione e la sproporzione tra la condanna al carcere che rischia concretamente e i “reati” che le vengono contestati». Come ufficiale delle forze di difesa israeliane, ha scritto Haaretz, il giudice Lieberman ha due doveri: «Deve soddisfare il desiderio di punizione (di Tamimi) da parte del pubblico israeliano, furibondo per il fatto che a una palestinese di 16 anni sia stato permesso di spintonare e schiaffeggiare un militare dell’Idf (le forze armate israeliane,ndr)…Allo stesso tempo deve fare tutto ciò che è in suo potere per impedire che la corte diventi un circo mediatico, al punto da offrire a Tamimi, alla sua famiglia, agli avvocati e agli attivisti una conveniente opportunità per processare l’occupazione israeliana».
Che potesse accadere tutto ciò non è mai stato in dubbio visto che centinaia di giornalisti, diplomatici e operatori delle Ong per i diritti umani erano pronti a seguire e a dare pieno risalto alla vicenda. Il processo pubblico a Ahed Tamimi avrebbe anche fatto emergere il dato di oltre 300 minori palestinesi che sono detenuti in Israele. Così ieri un’ora dopo l’inizio del procedimento, senza preavviso, tutti hanno ricevuto l’ordine di lasciare l’aula, tranne la famiglia. Il colpo di genio del giudice Lieberman comunque non servirà a molto. I riflettori sull’adolescente palestinese e sua madre restano ugualmente accesi in tutto il mondo, mai come in questo momento.
Michele Giorgio
da il manifesto