Il processo per l’uccisione di Giulio Regeni, ha deciso la Cassazione, non si potrà tenere fino a quando l’Egitto non fornirà gli indirizzi dei quattro imputati, agenti della National security, in modo da notificare loro gli atti. E siccome questo non avverrà mai ci pieghiamo al dittatore Al Sisi e a una magistratura demenziale: basta consegnare gli atti al consolato egiziano, che diventa responsabile della consegna, La vendita di armi al Cairo e l’acquisto di gas dall’Egitto più importanti della giustizia. La famiglia: «Una ferita di giustizia»
di Chiara Cruciati
Il processo agli aguzzini di Giulio Regeni non riparte: dopo un’estenuante giornata di attesa, la decisione della Corte di Cassazione arriva alle 22.30. E respinge il ricorso della Procura di Roma: i giudici lo hanno dichiarato inammissibile, confermando l’identica sentenza dalla Terza Corte d’Assise di Roma dell’ottobre scorso.
«Attendiamo di leggere le motivazioni ma riteniamo questa decisione una ferita di giustizia per tutti gli italiani – il commento a caldo di ieri sera dei genitori di Giulio subito la decisione. Abnorme è certamente tutto il male che è stato inferto e che stanno continuando a infliggere a Giulio. Come cittadini non possiamo accettare né consentire l’impunità per chi tortura e uccide».
L’attenzione sulla decisione della Corte di Cassazione sulla ripresa del processo a carico dei sospetti rapitori, torturatori e assassini di Giulio Regeni non si è spenta mai. Sui social network, con post che per giorni hanno tinto le bacheche di giallo, il colore della verità per Giulio Regeni, e in presenza: all’appuntamento, ieri mattina alle 9.30 di fronte alla sede della Corte di Cassazione a Roma si sono presentati in tanti, accanto ai genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni, e alla loro legale Alessandra Ballerini, dietro gli striscioni gialli che hanno segnato oltre sei anni di battaglia per la verità.
LA RAGIONE del presidio stava dentro l’enorme palazzo che da oltre un secolo affaccia su Piazza Cavour: a porte chiuse, la Corte di Cassazione era chiamata a decidere in merito al ricorso presentato dalla Procura di Roma che chiedeva di poter proseguire nel processo a quattro esponenti della National Security egiziana, considerati dagli inquirenti italiani gli aguzzini del ricercatore italiano, rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato senza vita, sfigurato dalle torture, il 3 febbraio successivo, lungo l’autostrada che collega la capitale egiziana ad Alessandria.
Il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif sono accusati, a diverso titolo, di sequestro, concorso in lesioni personali e in omicidio aggravato. Ma, secondo quanto stabilito nell’ottobre 2021 dalla terza Corte d’Assise di Roma, non possono essere giudicati perché non esisterebbe certezza che i quattro siano a conoscenza dell’iscrizione nel registro degli indagati.
POTREBBERLO non saperlo, aveva specificato la corte rinviando gli atti al gup, perché la Procura di Roma non ha potuto inviare la notifica ai rispettivi domicili. Non per incuria: l’Egitto non ha mai volutamente comunicato gli indirizzi dei quattro sospetti, a fronte della rogatoria partita da Piazzale Clodio e ormai vecchia di tre anni.
Così, dopo il rinvio al 10 ottobre prossimo deciso tre mesi fa dal gup Roberto Ranazzi per la palese mancanza di collaborazione egiziana (in quell’occasione il ministero della Giustizia italiano si limitò a riportare il rifiuto del Cairo ad agire in merito a un caso che il regime ritiene chiuso), la Procura di Roma si è rivolta alla Cassazione: lo scorso 3 maggio il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco ha chiesto ai giudici di sbloccare «la stasi processuale» e permettere di procedere contro i quattro agenti egiziani, domicilio o meno, a fronte della «ragionevole certezza» della «conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a loro carico». Alla base della richiesta stanno precedenti sentenze emesse della stessa Corte secondo cui si può procedere quando si è in presenza di «finti inconsapevoli».
PROCEDERE comunque, nell’attesa che la proroga data dal gup ai Ros per individuare i domicili produca risultati. «Sappiamo che gli 007 sanno tutto di questo processo – aveva detto ieri mattina Ballerini durante il sit-in romano – ma fingono di non sapere e si sottraggono a questo processo».
«Oggi è una giornata chiave – aveva aggiunto Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa e presenza fissa a ogni iniziativa di scorta mediatica per il caso di Giulio Regeni – Il rischio è che ci possa essere uno stop e in questo caso chi punta sull’oblio sarà avvantaggiato».
In primo luogo, il regime egiziano del presidente golpista Abdel Fattah al-Sisi che in questi anni ha alacremente lavorato a una rete di insabbiamenti, bugie, ritardi e reticenze per proteggere se stesso.
I quattro agenti non sono che ingranaggi di un sistema tentacolare di controllo sociale e repressione di qualsiasi forma di dissenso, vero o presunto, una repressione che si fonda sul deviato concetto di sicurezza nazionale. Consegnare quattro ingranaggi significa svelare la natura del regime.
«Si è consentito a un governo, quello egiziano, che mai ha voluto collaborare alla ricerca della verità per Giulio Regeni, di sfruttare cinicamente le garanzie della procedura italiana per cercare ancora una volta di garantire l’impunità a suoi funzionari», il commento al manifesto di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
da il manifesto