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Quanto sono ritenuti gravi i maltrattamenti sui detenuti? Il caso del Tribunale di Torino

Respinta dal giudice la richiesta di anticipare l’udienza di fissazione del processo, prevista il 4 luglio 2023, riguardante un caso di presunti maltrattamenti avvenuti nel carcere “Lorusso e Cutugno” tra 2017 e 2019. Nel Paese della Diaz, del caso Cucchi o di Santa Maria Capua Vetere non è una buona notizia.

di Lorenzo Guadagnucci

Si legge sui giornali –in realtà solo nelle cronache locali– che il presidente della terza sezione penale del Tribunale di Torino ha respinto la richiesta di anticipare l’udienza di fissazione del processo, prevista per il 4 luglio 2023, riguardante un caso di (presunti) maltrattamenti ai danni di detenuti avvenuti, nell’ipotesi dell’accusa, fra il 2017 e il 2019 nel carcere cittadino “Lorusso e Cutugno”. Secondo il giudice non ci sarebbero particolari ragioni di urgenza per sveltire le procedure. La giustizia, insomma, può aspettare: ossia seguire i tempi molto lenti della burocrazia giudiziaria. Dopotutto, potrebbe pensare una mente maliziosa, si tratta solo di tortura (una delle ipotesi di reato) e di nient’altro che di detenuti.

Il ricorso era stato presentato da alcuni avvocati dei denuncianti e sostenuto dai garanti dei diritti dei detenuti, ma evidentemente questi ultimi non hanno trovato un terreno d’incontro con l’amministrazione della giustizia. Davvero un caso di -presunti, per carità- maltrattamenti in carcere non è questione urgente come reati quali stalking, maltrattamenti, violenza sessuale?

Il giudice, naturalmente, ha dato spiegazioni tecniche della scelta: il rischio di prescrizione solo per alcuni reati non essenziali e così via. Ma colpisce che un caso di abusi di polizia fino forse alla tortura sia derubricato a fatto ordinario e rinviabile. E dire che due degli indagati, il direttore del carcere e il capo degli agenti di polizia penitenziaria, hanno patteggiato una pena e sono così usciti dal processo. Il processo meriterebbe a questo punto di tenersi al più presto per chiarire i fatti, attribuire eventuali responsabilità e scacciare la sensazione che gli abusi carcerari siano divenuti così ordinari e così poco riprovevoli da suscitare ben poca emozione e ancora meno indignazione.

Il giudice di Torino avrà avuto le sue buone ragioni per decidere come ha fatto. Ma che cosa deve pensare un cittadino informato sulla storia recente delle nostre forze di polizia e delle nostre istituzioni carcerarie? Un cittadino che, per esempio, ricordi le vicende e i processi del G8 di Genova o il caso di Stefano Cucchi. O ancora, poco tempo fa, i fatti inquietanti di Santa Maria Capua Vetere (in provincia di Caserta) con il penitenziario locale teatro di un’incredibile e illegale spedizione punitiva ai danni dei detenuti ripresa dalle telecamere interne? Che cosa deve pensare un cittadino che abbia letto le sentenze della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo sulle vicende che si sono verificate a Genova nel 2001, un cittadino che cioè ricordi la pressante richiesta dei giudici europei, rivolta alle nostre istituzioni, affinché agiscano in modo tempestivo e determinato ogni volta che un abuso di polizia sia denunciato?

Quel cittadino penserà che lo Stato si sta abituando all’idea che i maltrattamenti sui detenuti sono spiacevoli, ma non troppo gravi. E quindi possono essere indagati senza troppa fretta, come denunce di reato tra tante altre. Penserà che le preoccupazioni della Corte di Strasburgo riguardo al nostro Paese -la sua strutturale difficoltà a punire e prevenire gli abusi di polizia, come si legge nelle sentenze sul caso Diaz, per esempio- erano più che fondate ma che l’Italia preferisce fare orecchie da mercante, interessandosi ben poco ai contraccolpi che ne derivano in termini di fiducia da parte dei cittadini e di credibilità delle forze dell’ordine come garanti della legalità costituzionale. Che fine hanno fatto le precise prescrizioni della Corte di Strasburgo? Quanto i giudici italiani, a Torino come altrove, ne tengono conto?

Diciamolo ancora una volta: gli abusi su cittadini inermi e detenuti -i più fragili di tutti, perché privi di libertà- sono una forma gravissima di lesione dei diritti democratici costituzionali; sono abusi purtroppo ricorrenti e non stanno suscitando nelle istituzioni uno stato d’allarme proporzionato. Con queste premesse, non si curano né la compromessa credibilità delle forze di polizia né il declino dello spirito democratico nelle forme di convivenza civile.

da Altreconomia