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Quel grosso guaio delle carceri al tempo del coronavirus

La questione carceri ai tempi del coronavirus sembra essere relegata a una questione di secondo piano; eppure, il totale dei detenuti nelle carceri italiane – secondo l’ultimo dato  del Dipartimento Amministrazione Penitanziaria (29 febbraio 2020) – è pari a 61.230 detenuti: di cui 58.528 uomini e 2.702 donne.

Nelle scorse settimane si sono susseguite ondate di ribellioni in diversi istituti di pena, culminate con evasioni, morti e feriti in diverse carceri.

I detenuti protestano perché esasperati dal rischio di contagi da Covid-19, e inoltre sono insofferenti per le nuove misure prese dal Governo, che hanno imposto restrizioni su visite parentali e colloqui.

Tali decisioni, quindi, si innestano in un sistema carcerario già al collasso: il sovraffollamento è pari al 120%, con punte del 140 % in Lombardia. Appare di tutta evidenza che le misure per contenere l’emergenza Covid -19 siano – ad oggi – assolutamente impraticabili all’interno delle carceri, basti pensare al metro di distanza da mantenere per evitare il contagio; a questo si aggiunge anche la necessaria tutela del personale della polizia penitenziaria, e di operai e impiegati amministrativi.

A questa situazione di sovraffollamento le limitazioni dovute alle misure adottate dal Governo per contenere l’epidemia, fino al prossimo 3 aprile hanno comportato, altresì, che i colloqui in carcere si svolgeranno in video o al telefono, e saranno limitati i permessi e la libertà vigilata, mentre maggiore libertà è stata riconosciuta alla detenzione domiciliare.

Ad oggi, e in un momento di piena emergenza sanitaria, l’attuale sistema carcerario presenta il 90,1 % di personale di custodia, mentre la media europea è del 68,6 % [Fonte: Antigone]: negli altri Paesi europei, infatti, è molto più pregnante la presenza di altro tipo di personale, in particolare di educatori professionali, il cui numero è invece ridottissimo nei nostri istituti di pena.

Questo dato ci indica come il nostro sistema carcerario, per quanto il dato costituzionale ci indichi diversamente (la Carta costituzionale all’art. 27 espressamente prevede la funzione rieducativa della pena) sia orientato verso una dimensione custodiale più che, appunto, rieducativa.

A più voci i garanti regionali dei diritti della persona avevano richiamato il senso di responsabilità dei magistrati di sorveglianza, a cui è stato chiesto di applicare in misura maggiore le misure alternative alla detenzione previste dalla legge, in particolare la detenzione domiciliare, che potrebbe contribuire allo sfollamento delle carceri indispensabile nella attuale situazione sanitaria.

I garanti, inoltre, chiedono che presso le case circondiariali vengano predisposti i necessari presidi sanitari, a tutela di tutti gli operatori del settore. La gestione dei nuovi ingressi così sarebbe guidata adottando i protocolli sanitari elaborati dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, nel caso d’ingresso di soggetti risultati positivi al virus, l’ISS dovrà provvedere a porre in isolamento il detenuto, valutando ove possibile anche la misure alternative al carcere di detenzione domiciliare.

Così, il Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020 oltre ad aver introdotto misure di sostegno economico per famiglie, lavoratori ed imprese per contrastare gli effetti sull’economia provocati dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, dopo le rivolte scoppiate all’interno di numerose carceri italiane a causa dell’emergenza sanitaria ha introdotto disposizione che dovrebbero interessare circa 4000 detenuti, prevedendo la detenzione domiciliare per chi ha meno di 18 mesi di pena da scontare.

In particolare, sino al 30 giugno 2020 potranno ottenere la detenzione domiciliare i detenuti che debbono scontare una pena o un residuo di pena fino a 18 mesi, il tutto grazie ad una procedura semplificata. Il Consiglio dei Ministri, con una propria nota, ha chiarito le misure contenute all’interno del decreto ed ha stabilito che la misura sarà applicata dal magistrato di sorveglianza, non solo su istanza del detenuto, ma anche per iniziativa del pubblico ministero o della direzione del carcere.

Queste misure – come riferito dall’avvocato Valentina Restaino, portavoce di MGA sindacato nazionale forense – non sono state stabilite in modo uniforme per tutto il territorio nazionale “ma lasciate dal Governo alle decisioni delle singole amministrazioni carcerarie”: il sindacato, per ridurre le presenze nelle carceri in tempi di emergenza sanitaria, chiede ad esempio di: sospendere il rientro serale presso l’istituto di detenzione dei semiliberi, di rendere quotidiana la possibilità dei colloqui telefonici dei detenuti con i congiunti; infine chiede altresì di disporre che gli operatori carcerari e gli impiegati la cui attività sia a ciò compatibile proseguano il loro lavoro in modalità smartworking.

La questione carceraria in Italia, quindi, continua a ricoprire un ruolo scomodo. Da una parte si sgomberano i parchi e dall’altra prevale l’istinto punitivo.

Il contagio è già dentro le carceri.

Mari Miceli, analista giuridico

da Econopoly