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Quelle leggi emergenziali nel Paese senza emergenze

Tavola rotonda “Il diritto penale dell’emergenza: dalla legge reale ai decreti sicurezza”, organizzata dalla sezione romana di La. p. e. c. e dal Gruppo Giustizia Bruno Andreozzi. Riccardo De Vito, presidente di Magistratura Democratica ha spiegato che tra il ’ 70 e il ’ 75 le leggi speciali erano giustificate dal boom di reati: «gli omicidi passarono da 1328 a 1759, i furti da 500mila a 1 milione e mezzo»

Avvocati e magistrati sono d’accordo: la legislazione dell’emergenza vive da oltre quaranta anni sotto varie forme ma oggi più di ieri si assiste alla compressione di diritti costituzionali e allo schiacciamento del diritto penale sulla vittima. È quanto emerso dalla tavola rotonda “Il diritto penale dell’emergenza: dalla legge reale ai decreti sicurezza”, organizzata dalla sezione romana di La. p. e. c. e dal Gruppo Giustizia Bruno Andreozzi, e moderata dall’avvocato Cataldo Intrieri che ha dato subito parola al professore Ennio Amodio, autore del “A furor di popolo La giustizia vendicativa gialloverde”: «La degenerazione dell’emergenza – ha spiegato Amodio – si traduce nella trasformazione del provvisorio in ordinario, e della tavola dei valori costituzionali in un “fai da te punitivo” come è avvenuto per la legittima difesa domiciliare, fortemente voluta dalla Lega». Sulla stessa lunghezza d’onda Margherita Cassano, Presidente Corte di Appello di Firenze, per la quale negli ultimi decenni abbiamo avuto delle modifiche non strutturali del diritto penale, ma solo su singoli provvedimenti, perdendo di vista il quadro generale: «Da Mani Pulite abbiamo assistito ad una delega all’autorità giudiziaria per forme di intervento che non le appartengono, all’inserimento delle aggravanti, all’innalzamento delle pene per diversi reati, ad un carattere simbolico delle norme per fornire un messaggio rassicurante al popolo, come il nuovo codice rosso». L’onorevole Luciano Violante ha ravvisato invece come oggi «la magistratura senta in aula la pressione dei parenti delle vittime», come vi abbiamo spesso raccontato su questo giornale. Concetto ribadito da Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta, per cui «l’emozione pubblica e il privato hanno fatto irruzione nel diritto», cambiamento a cui il legislatore si è adeguato, quando invece «è l’opinione pubblica che dovrebbe tener conto del Parlamento, non il contrario».

A dare una chiave storica ci ha pensato Armando Spataro, già procuratore della Repubblica: «Le leggi varate durante gli anni di piombo hanno sì fornito una risposta mirata anche sul piano processuale ma sono assolutamente convinto che rispettassero in pieno il sistema dei diritti su cui si fonda non solo il nostro ordinamento processual penalistico ma anche la nostra Costituzione». La stessa impronta è stata data al campo dell’antimafia e dell’antiterrorismo, dove i «provvedimenti sono stati adottati dopo attentati gravissimi, ma ponderati anche da un ceto politico che era ben diverso dall’attuale. Se qualche norma – ha proseguito Spataro – poteva rischiare di ledere i diritti degli indagati, essa è stata totalmente disapplicata dalla magistratura e dalle forze di polizia. La sicurezza – ha terminato Spataro – è ormai un diritto che come tale non vince su tutti i diritti e io dal ceto politico mi augurerei una coerente difesa della propria identità che deve essere difesa e affermata persino a costo di perdere consensi. Non è accettabile che un partito per ottenere la maggioranza venga meno ai propri valori e non mi riferisco solo all’occhio chiuso o al volto girato rispetto alla normativa sull’immigrazione ma in relazione a tutti i diritti che la Costituzione prevede». L’approccio storico lo ha portato avanti anche Riccardo De Vito, Presidente di Magistratura democratica: «parlando di emergenze reali tra il ’ 70 e il ’ 75 gli omicidi passano da 1328 a 1759, i furti denunciati da 500mila a 1 milione527mila, le rapine, sequestri e le estorsioni da 3170 a 11447. Era una emergenza reale non un panico morale diffuso anche dalle agenzie di comunicazione. Ci sono tre grandi fattori che hanno contenuto la stagione dell’emergenza nei limiti della Costituzione: una magistratura dalla schiena dritta, una Costituzione che con lungimiranza non aveva previsto lo stato di emergenza come meccanismo costituzionale di deroga, e una sana cultura democratica, un sano operare della magistratura, che come riconosceva il carattere simbolico di alcune leggi allo stesso tempo ha fatto sì che la repressione del fenomeno terroristico rimanesse sempre all’interno della magistratura ordinaria e non fosse affidata a giudici speciali. Nel 1975 mentre veniva approvata in Parlamento la Legge Reale, contemporaneamente si approvava la riforma dell’ordinamento penitenziario». Oggi invece «se leggo il preambolo del sicurezza bis trovo “norme di straordinaria urgenza per contrastare i flussi migratori, per creare nuovi strumenti per tutelare la sicurezza pubblica” e immagino la fotografia di un Paese in preda a pericolosi ribelli anarchici, insurrezionalisti con bombe in mano e colmo di migranti che sbarcano da tutte le parti. Ma la verità dice il contrario». L’avvocato Luca Petrucci ha concluso il dibattito dunque proponendo «il nostro proposito a stimolare le forze progressiste affinché la giustizia non sia considerato un tema residuale».

Valentina Stella

da il dubbio