Il green pass e la capacità di addossare le responsabilità ai cittadini. Sono in tanti a considerare il green pass come la sintesi di tutta la strategia che il governo ha adottato dall’inizio della pandemia: addossare le responsabilità ai cittadini. Per questo c’è chi si chiede come mai molti a sinistra lo hanno giustificato senza avere neanche la curiosità di osservare da vicino un movimento complesso che si oppone al governo Draghi.
di Claudia Cipriani
In questi ultimi due anni mi tormenta una domanda che non ho mai fatto a mia nonna. Lei fu un’adolescente durante gli anni del fascismo, della guerra, e mi raccontò di come fosse spesso triste, cupa, di come tutto ciò che le accadeva intorno le sembrasse assurdo e ingiusto. “Ma gli altri, quelli che invece andavano avanti come sempre, come facevano?”. Ecco, è questa la domanda che vorrei farle, adesso che purtroppo non c’è più. So che i paragoni con quel periodo fanno arrabbiare molti, ma d’altronde viviamo da più di due anni in uno stato d’emergenza e abbiamo subito per mesi il coprifuoco, provvedimento che non si aveva dai tempi della seconda guerra mondiale. Io più che altro, ancora oggi, dopo tanti mesi, mi chiedo come facciano molte persone a far finta che sia tutto normale. Che sia normale, come in passato, esibire un lasciapassare per fare qualsiasi attività, pur sapendo che questo dispositivo non salvaguardia la salute pubblica, al contrario di ciò che è stato dichiarato da chi l’ha imposto, e che viola la Costituzione. Sono mesi che è obbligatorio esibire un QR code per motivi di lavoro e di svago, che molti ragazzini, già penalizzati da due anni di una scuola che non può più chiamarsi tale, piena com’è di divieti e limitazioni, non possono più nemmeno fare sport di squadra o entrare in una biblioteca. Sono giorni in cui milioni di italiani non possono prendere l’autobus o un treno, in cui molti hanno perso il lavoro per aver scelto di non vaccinarsi. È un periodo di controlli e militarizzazione crescente (e forse non è un caso che le spese militari siano aumentate del 20 per cento negli ultimi tre anni). Un periodo in cui le persone che scendono in piazza per protestare vengono denunciate e malmenate dalle forze dell’ordine e ignorate o criminalizzate dai media. E soprattutto sono mesi che abbiamo un governo che ha creato tutta questa situazione invocando ragioni sanitarie e intanto ha programmato un “piano nazionale di ripresa” in cui proprio alla sanità vanno le briciole. La cura dei malati d’altronde pare essere l’ultima delle preoccupazioni del governo, che ha sempre e solo puntato su una massiccia campagna vaccinale, omettendo completamente qualsiasi ausilio e rinforzo alla medicina territoriale e alle strutture sanitarie. Pure l’Oms ha ammesso che i vaccini hanno fallito nella loro funzione di contenimento del Covid. Il nostro governo, lungi dall’ammettere i propri errori, persevera in provvedimenti inutili e persecutori.
A me quello che fa paura è che tutto questo diventi la normalità e che per molti sia già considerato tale. Il green pass è la sintesi di tutta la strategia che il governo ha adottato fin dall’inizio della pandemia: addossare le responsabilità ai cittadini. Credo dunque che nei confronti di questo strumento puramente politico e discriminatorio, che non ha nessuna utilità e finalità sanitaria, l’unica possibile risposta sia ignorarlo e combatterlo. Alcuni già lo fanno: negozianti, liberi professionisti, studenti. Atti di disobbedienza civile diventano più frequenti di giorno in giorno. Gli universitari contro il green pass hanno deciso di salire sui mezzi pubblici senza lasciapassare per denunciare la violazione di un diritto fondamentale. I tabaccai minacciano di scioperare perché ritengono ingiusto dover chiedere ai loro clienti di esibire un QR code per entrare. Persino un sindaco della Valsusa ha dichiarato che di fronte a leggi ingiuste si deve disobbedire. Bisogna essere in tanti a opporsi perché il ricatto, la minaccia delle multe, è forte. Per questo la risposta deve essere massiccia e costante deve essere la ricerca di nuove soluzioni.
È dal 6 agosto, giorno in cui è entrato in vigore l’obbligo del green pass nei luoghi pubblici, che non presento i miei film documentari nei luoghi in cui viene chiesto questo lasciapassare. “È un peccato”, mi dicono spesso, “il pubblico ama incontrare i registi”. Io però in realtà ho continuato a incontrare il pubblico. In luoghi dove non chiedono il green pass, dove possono entrare tutti, senza discriminazione. All’inizio è stato più semplice perché era estate e di luoghi all’aperto ce n’erano di più (non moltissimi, perché spesso anche in quelli all’aperto veniva richiesto il lasciapassare). Con l’arrivo del freddo ha cominciato a diventare più difficile, ma sono riuscita ugualmente a trovare realtà che sceglievano di garantire la visione a tutti. Sono particolarmente orgogliosa di aver cercato e creato occasioni di proiezione e dibattito con alcune realtà, come quella degli Studenti contro il green pass. A dicembre, in occasione del 52mo dalla strage di Piazza Fontana e dell’uccisione di Giuseppe Pinelli abbiamo proiettato il mio documentario su di lui discutendo sul filo diretto che ci lega a quel periodo.
Viviamo in un’epoca oscura, punto di arrivo di un percorso in cui governo dopo governo si sono erosi i diritti e lo stato sociale. Da noi, in Italia, i tempi sono più bui che altrove. Siamo d’altronde il Paese che ha inventato il fascismo, che ha patito le stragi di stato e le strategie della tensione, in una linea ideale che va da Scelba alla Lamorgese. Siamo terreno di conquista, il cuore strategico delle sperimentazioni neoliberali. Siamo il Paese perfetto dove banchettare coi capri espiatori. I “diversi” sono da sempre i nemici, che siano i capelloni, gli anarchici, i tossici, i migranti, i novax. E contro questa discriminazione non c’è, forse non c’è mai stata, una reale opposizione. Questi “diversi”, questi reietti, non avranno mai un’adeguata rappresentanza istituzionale perché sono funzionali al mantenimento di uno status quo. Ma se già si sapeva che nelle istituzioni non si possono riporre molte speranze, quello che intristisce di più è constatare come l’opinione pubblica, compatta, sia solidale con il discorso del potere. E di questa opinione fanno parte anche coloro che si definiscono antifascisti e antagonisti. Fa impressione vedere come anche ambienti della sinistra considerata “radicale” giustifichino strumenti di potere come il green pass, come si uniscano al coro di regime che criminalizza le piazze, che a detta loro sarebbero fasciste. Senza aver avuto la benché minima curiosità di osservare da vicino un movimento che si oppone al governo Draghi e ai suoi ministri, costoro hanno ridicolizzato e insultato chi partecipava a queste piazze, reggendo la propaganda governativa, invece di cercare di capire le ragioni della protesta (leggi anche Sottrarre alle destre la protesta contro il Gp di Guido Viale, ndr). Al contrario, in altri Paesi, come Francia e Regno Unito, sindacati e rappresentanti di sinistra sono scesi in piazza insieme ai lavoratori per contestare i provvedimenti dei governi. Penso che anche da noi bisognerebbe guardare positivamente al fatto che persone che non si sono mai occupate di politica sentono oggi il bisogno di prendere posizione. Ammetto che io stessa spesso in quelle piazze mi ci sono ritrovata un po’ a disagio perché accanto a chi teneva un cartello con la scritta “ora e sempre resistenza”, c’era magari quello con l’icona di un santo. Per la prima volta però ho vissuto cortei eterogenei, dove persone di provenienza culturale e politica diversa si sono trovate insieme. È una cosa che non avevo mai visto e mi ha fatto riflettere. Piazze che vedevano vicini lavoratori autonomi, statali, studenti, precari. Tutti uniti nel nome della Costituzione. Quelle persone sono state accusate di essere complottiste. Per molti di loro sicuramente è vero, perché chi critica il governo è piuttosto scontato che sia complottista. Perché è abituato a vivere in un Paese che da sempre complotta per nascondere scomode verità. Un Paese che ha sempre criminalizzato il dissenso politico, che ha creato capri espiatori per nascondere i propri progetti reazionari, che garantisce affari alle solite lobby e congreghe famigliari.
Ridicolizzare e criminalizzare le nuove piazze dicendo che tutto quello che è diverso da ciò che comunemente si individua come “popolo di sinistra” è fascista, è a mio parere indice di miopia rispetto allo sguardo sul presente. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere perché tanta gente che non è mai scesa in piazza, adesso lo fa e con caparbietà. Io credo che sia perché, mai come adesso, il re è nudo, e impone con la coercizione ciò che gli conviene di più. È come si fossero accumulate tante contraddizioni e ingiustizie fino a far tracimare il vaso. Le istituzioni governative, con provvedimenti e leggi sempre più inique, in un costante lavorio che va avanti da decenni, stanno arrivando al punto di toglierci tutto, perfino la scelta sui nostri corpi e quelli dei nostri figli. A questo punto non ci rimane davvero più nulla. Il nostro lavoro e il nostro tempo libero non gli bastano più. È per questo che forse molte persone hanno deciso di dire basta. E sono le persone che più hanno visto venir meno i loro diritti, che vivono situazioni di grave precarietà, che hanno perso il lavoro o la propria attività. Da quando sono state vietate le manifestazioni, il movimento contro il green pass ha avuto un momento di forte rallentamento: i fermi, i daspo, le denunce sono state un forte deterrente. Eppure le iniziative vanno avanti. Il nocciolo duro di chi non si è piegato al ricatto governativo è ancora integro e prosegue sulla sua strada di eludere l’esibizione del pass. Per molti insomma rimane assurdo ciò che sta accadendo e c’è la necessità di opporsi e trovare soluzioni alternative. Per fortuna cominciano ad aumentare le prese di posizioni contro il green pass, l’obbligo vaccinale e i provvedimenti del governo. Dopo Sol Cobas anche Usi denuncia un dispositivo che ricatta e punisce in nome del controllo sociale e del profitto, non certo della salute pubblica che continua a essere smantellata. Speriamo siano segnali di risveglio e invito a una nuova stagione di lotte che unisca queste rivendicazioni a quelle contro licenziamenti, privatizzazioni, delocalizzazioni, agroindustria e caporalato, multinazionali e per la sicurezza sui luoghi di lavoro.
A marzo del 2020 scrissi su questa testata una riflessione sulla gestione della pandemia che accompagnava una petizione che io e Rossella Schillaci avevamo promosso per permettere ai bambini di poter uscire di casa (L’ora d’aria). Eravamo in pieno lockdown e in pratica era possibile uscire solo per fare la spesa e portare giù il cane. Gli unici lavoratori che potevano, anzi dovevano, uscire erano quelli dei grossi comparti produttivi, perché le fabbriche dovevano andare avanti, mentre tutto il resto poteva essere dimenticato. A noi sembrò un nonsenso che i bambini non potessero andare nei parchi o semplicemente uscire a prendere aria. Finiti i lockdown, pensavo ingenuamente che i nonsensi sarebbero diminuiti e invece non fanno che aumentare, di pari passo con l’aumentare dell’iniquità dei provvedimenti e il calpestamento dei diritti.
Non si può rischiare che cresca l’indifferenza verso queste nuove forme di discriminazione. Scriveva Gramsci: “L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti”.
I non vaccinati sono stati definiti “disertori”, “nemici”. È di qualche giorno fa la dichiarazione di Pierpaolo Sileri (sottosegretario di Stato al ministero della salute) che si rivolge ai non vaccinati e ai contrari al green pass così: “Vi renderemo la vita difficile come stiamo facendo perché il non vaccinato e chi non rispetta le regole è pericoloso”.
Non si può continuare ad accettare la logica del capro espiatorio e stare zitti di fronte alle dichiarazioni di decisori che incentivano divisioni tra i cittadini per nascondere le loro responsabilità. E non si può rischiare che il green pass diventi permanente, uno strumento di punizione con funzioni diverse che possono essere via via adattate alle esigenze del governo.
Che fare? Come suggerisce Agamben, non è più tempo di convegni ma di pratiche. Io lavoro in ambito culturale e sono stata sempre sensibile ai discorsi che per anni si sono portati avanti sulla necessità di un’autogestione del tempo libero e della cultura. Si è cercato di creare un sistema alternativo di fruizione dell’arte e della cultura contro la mercificazione, il direzionamento e il controllo del tempo libero. Adesso, ai tempi del lasciapassare, questa scelta diventa ancor più necessaria. Diventa vitale e fondativa. Si tratta di creare un sistema parallelo di socialità, di produzione culturale e della sua circolazione. Un sistema basato sull’auto-organizzazione e sull’autogestione. Un sistema orizzontale, privo di gerarchie e di selezione. Stanno pian piano crescendo nuove forme di lotta e di vita culturale: gli universitari hanno organizzato lezioni in piazza, stanno aumentando le scuole parentali e libertarie, nascono piccole comunità agricole di autosostentamento, si organizzano nuovi modi di fare sport, si creano nuove occasioni di convivialità, svago e dialogo. I luoghi storici dell’autogestione devono tornare ad essere punti di riferimento per la costruzione di circuiti alternativi e situazioni di incontro e fruizione culturale che non prevedono l’esibizione di alcun lasciapassare. Anch’io vado avanti nel mio piccolo, con le mie proiezioni aperte a tutti e con la ricerca di luoghi in cui produrre e fruire cultura in maniera diversa e autogestita. Perché, come scriveva Michael Foucault, “forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare”.
da Comune-Info