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Razzismo di strada e attivismo istituzionale

C’è una questione sociale in Italia tremendamente irrisolta. L’insicurezza sociale si respira ovunque. Ogni giorno tutto s’intreccia nella retorica emergenziale e la precarietà percepita si lega a quella effettiva. E’ una simbiosi dirompente sul piano simbolico rilanciata dalla complicità dei media. In queste poche righe riassumo la discussione del gruppo di lavoro sulla penalità liberista organizzato dall’Osservatorio sulla repressione che si è tenuto sabato15 gennaio a Roma al seminario della R@P, sapendo che questa discussione apre a sinistra un tema enorme sulla tanto decantata legalità.
Si sa che nel mondo politico e in quello dei media, che si assomigliano molto, le apparenze non coincidono quasi mai con la realtà.
Dall’insediamento del governo Berlusconi la persecuzione dei migranti, dei rom e dei cittadini italiani sinti è divenuta ossessiva. E’ evidente una specie di sintonia, di coordinamento, tra il razzismo di strada e l’attivismo istituzionale. In questi ultimi mesi abbiamo assistito ai controlli della polizia sui bus, gli sgomberi dei nomadi, i rastrellamenti di prostitute nelle città maggiori, la schedature dei sinti, la scelta di mettere i militati per le strade, pacchetti sicurezza che attuano principi discriminatori e incostituzionali.
Il distacco della politica dal sociale diventa sempre più grande, e pensare ad elementi di permeabilità fra i due campi è sempre più difficile.
La subalternità al processo neoliberista ci consegna uno Stato che ha abdicato al proprio ruolo nel rimuovere le cause che determinano l’ineguaglianza sociale e che ha sviluppato per contrappeso un suo intervento etico, rispetto alla questione delle libertà e dei diritti civili.
Le due cose vanno insieme: allo Stato Sociale Minimo si accompagna la tendenza a uno Stato Penale Massimo, che fa dell’esclusione un dato strutturale. Non dobbiamo però commettere l’errore di pensare che questa tendenza si sviluppi meccanicamente ad opera delle classi dominanti, la maggior parte della popolazione sente il peso dell’insufficienza del sistema del welfare, e vive un quotidiano ruvido che incattivisce. Così quando il rumore di sottofondo è zuppo di demagogia e le risposte non arrivano dalla politica, il bersaglio che si definisce è il capro espiatorio più vicino al portone di casa.
Non comprendere questo pensiamo che sia un errore, altrettanto grave da chi risponde accettando la subalternità della cultura securitaria della destra che rimuove i diritti sociali. Questo per dire che la crisi che oggi investe il nostro Paese è molto più profonda perché non coinvolge solo la politica ma la società stessa, che non riesce più a metabolizzare le trasformazioni sociali che l’attraversano.
La precarietà è ovunque, ovvero è un sistema che si tiene insieme, destruttura il mercato del lavoro e i diritti del welfare. La dottrina della guerra ai poveri, ma anche ai giovani, magari graffitari, occupanti o ultras, chiude gli spazi pubblici: piazze e giardini recintati, polizie locali, private, città assediate in regime di coprifuoco notturno. Creando un nemico ubiquo, indefinibile e fungibile (marocchini, rom, albanesi, stupratori all’angolo delle strade, pedofili nei giardinetti) le vere magagne in cui affondiamo sono minimizzate e il ceto politico può continuare a fare la bella vita. E i giornali a vendere il loro allarmismo. Siamo all’abiura dei fondamenti dello Stato diritto, in nome di un’emergenza del tutto fittizia, rilanciata da media irresponsabili e al servizio di un potere politico così debole da cercare consenso assecondando le pulsioni più irrazionali che serpeggiano in una società malata e insicura.
Per questo motivo pensiamo che non occorre arretrare e lanciare una sfida politica e culturale di un nuovo garantismo sociale, partendo dalla questione della cittadinanza, dando risposte attraverso un nuovo modello di welfare che rimette la questione sociale al centro della politica e non viceversa. Una vera politica di sicurezza e legalità, non ha bisogno di leggi e provvedimenti emergenzialisti, ma un progetto e azioni conseguenti che sappiano coniugare l’uso razionale delle risorse, politiche di accoglienza e la partecipazione democratica, nel contesto di una politica rinnovata, sottraendo il voto al ricatto del bisogno e spezzando ogni legame con mafie e con il malaffare.
La crisi sociale e politica che attraversa il nostro Paese ci obbliga a spingere l’acceleratore su questo versante senza timore aggregando una massa critica a partire dallo sciopero generalizzato del 28 gennaio indetto dalla Fiom e dal sindacalismo di base.
Il momento in cui giocare la partita è già iniziato, e sta alla nostra capacità di costruzione di una nuova grammatica che tende a ricomporre un “noi” collettivo, in un nuovo spazio che rivendica un welfare moderno.
Italo di Sabato
Osservatorio sulla Repressione, R@P
Liberazione 20 gennaio 2011