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Il razzismo di governo in nome della nazione

Il messaggio governativo razzista che passa è questo: se non sei italiano (o austriaco, o ungherese o polacco ecc.), non hai diritto di vivere, anche se ti vediamo morire

La Salvini sulla “stretta” nel riconoscimento di permessi umanitari a donne, anche incinte, e bambini è semplicemente razzista. (Circolare 4 luglio 2018 – limiti a protezione umanitaria)

Esattamente come la reclusione dei bambini separati dalle famiglie nelle gabbie volute da Trump. Con la differenza che, mentre negli Usa c’è una vivace opposizione, nell’opinione pubblica, nei media e nelle strade, qui da noi le critiche sono flebili, marginali e annegate in un mare di opportunismi, attendismi e collaborazionismi.

Definire qualcosa come «razzista» non è una metafora per «autoritario». Si deve intendere in senso letterale. È caratteristica essenziale del razzismo avere perseguito la distruzione di categorie specifiche di esseri umani in quanto tali, per quello che erano, non per quello che erano supposti fare.

E, come accadde storicamente in Germania, in nome di una realtà simbolicamente pregnante, anche se immaginaria, das deutches Volk, la “nazione” tedesca. Non vedo differenza di significato con Salvini: semmai di scala, per ora, e ovviamente di epoca storica. Ma il significato è lo stesso: negare il diritto minimo alla vita di esseri umani, indipendentemente dalle loro vicissitudini, in nome della nazione (in Italia e come in gran parte dell’Europa orientale). Lo stolido slogan «prima gli italiani» significa semplicemente questo. Se non sei italiano (o austriaco, o ungherese o polacco ecc.), non hai diritto di vivere, anche se ti vediamo morire.

Il diritto alla protezione dei richiedenti asilo in pericolo di vita (donne incinte, malati, bambini) era già elargito con assai parsimonia (uno su quattro), esattamente come lo status di rifugiato. Ma nessuno, finora, aveva espresso in modo così esplicito la subordinazione della vita dei non nazionali al mito della nazione. Chiudendo i porti, criminalizzando le Ong – il cui aiuto fondamentale ieri il Consiglio d’Europa ha invitato invece a sostenere – e delegando il soccorso in mare alla criminale guardia costiera di Tripoli, nonché allestendo nel sud della Libia, al confine con il Niger, «campi della guardia di confine» italo-libica, questo governo, sulle tracce del precedente Codice Minniti, ha gettato la premesse per nuove stragi e l’uso generalizzato della tortura. Ma, ripeto, respingere donne, bambini e malati è qualcosa di più, è superare un limite, simbolico, politico e umano.

Qui emerge un problema politico enorme. Questo non è solo un governo di destra, che tutt’al più getta nelle fauci del suo elettorato qualche offa simbolica o promesse che non manterrà (flat tax, «reddito di cittadinanza», abolizione dei vitalizi ecc.).

È certamente un governo eletto democraticamente (ma in condizioni inedite di comunicazione politica, manipolatorie e sorrette da un vasto consenso), che chiama la maggioranza del “popolo” a scaricare frustrazioni sociali e odio sui marginali, gli altri, i “non nazionali” e “non cittadini” (soprattutto migranti e poi disturbatori, ladruncoli, carcerati e così via). Un governo che scatena, direttamente o no, la violenza diffusa contro gli stranieri (le aggressioni si moltiplicano), mentre evoca l’inesistente invasione dei migranti.

Rischiamo di stare a guardare, con illusione, opportunismo, cecità una deriva che va verso l’impensabile. E che in primo luogo chiama in causa i grillini e i loro flebili distinguo. Ma chi ha capito chi è Salvini e che cosa vuole dovrebbe uscire dal letargo.

Espressioni come disobbedienza civile e rifiuto di leggi ingiuste e omicide oggi non sono fuori luogo. Questo vale per poliziotti, marinai, funzionari, amministratori di qualsiasi rango ministri compresi e, speriamo, per chi ha il compito di vegliare, nei fatti e non con generiche parole, sul rispetto della Costituzione.

Alessandro Dal Lago

da il manifesto