Dallo scoppio della guerra, sono oltre 3.5 milioni1 le persone che hanno lasciato l’Ucraina, e, con il passare dei giorni, questo numero è destinato ad aumentare. Stando all’UNHCR si tratta del più grande e veloce esodo migratorio, di cui il continente europeo è stato testimone, dalla Seconda guerra mondiale.
Di fronte a quest’enorme ondata migratoria, l’Unione Europea ha aperto i propri confini, ha dimostrato di essere accogliente, solidale e umana. Tuttavia, non tutti i profughi sono accolti a braccia aperte. L’Europa dimostra queste caratteristiche, che dovrebbero essere fondanti per l’Unione Europea, principalmente ai cittadini ucraini, a persone con la pelle bianca. Per i cittadini provenienti da stati africani e medio orientali, scappare dai bombardamenti significa trovarsi di fronte a un confine diverso: meno accogliente e più razzista.
Si tratta di persone che, per il colore della loro pelle, al dramma di scappare dalla guerra, si aggiunge l’ulteriore dramma di rimanere bloccati, essere insultati e picchiati dalle forze dell’ordine. «Prima i bambini, dopo le donne bianche, poi gli uomini bianchi e alla fine gli africani. Sembra una storia di altri tempi. Invece è la gerarchia razziale da rispettare per salire su un treno alla stazione della capitale ucraina, Kyiv, e allontanarsi il più presto possibile per mettersi in salvo. Come se alcune vite valessero meno di altre». Molte di queste persone provengono dall’Africa e vivevano in Ucraina da diversi anni, ma quando si sono recate alle frontiere, le autorità ucraine le hanno bloccate lasciandole al freddo senza cibo né riparo e nel frattempo facevano passare tutte le persone bianche identificandole come ucraini.
Sono molteplici le testimonianze, raccolte da diversi giornali e raccontate sui social network, di famiglie, studenti di origine africana e indiana che raccontano gli episodi di razzismo e segregazione di cui sono protagonisti. Tra queste, la storia, riportata dal New York Times di una giovane dottoressa nigeriana che è stata bloccata, assieme ad altri stranieri, al confine polacco-ucraino per due giorni: «La polizia di frontiera ucraina non ci lasciavano passare. Picchiavano le persone con dei bastoni, strappavano loro le giacche, li schiaffeggiavano e li spingevano in fondo alla fila. È stato terribile».
Uno studente del Congo che studiava farmacia a Leopoli (Lviv) ha dichiarato ad Euronews che, assieme ad altri studenti, si è recato al confine tra Polonia e Ucraina dove si è reso conto che «noi, stranieri africani, abbiamo problemi ad attraversare la frontiera […] Siamo stati dal mattino alla sera al freddo, in piedi e senza cibo. Siamo stati lì quattro giorni senza mangiare nulla. I soldati ci dicevano ‘Voi starete qua, state scappando dalla guerra, state qua, combattete con noi, non partirete, soprattutto voi che siete neri».
Sono tantissime le testimonianze di chi, per le sue origini, non riesce a scappare, viene bloccato alle frontiere, viene picchiato delle forze dell’ordine, viene obbligato a scendere da pullman e treni su cui c’è scritto “i neri non possono salire”. Com’è il caso di uno studente nigeriano che studiava economia a Lviv e si trovava già su un treno diretto in Polonia quando le autorità l’hanno obbligato a scendere. «Hanno fatto scendere dal treno tutti i ragazzi neri» ha dichiarato a un giornalista dell’NPR aggiungendo inoltre di esser sul punto di scoppiare in lacrime per l’imbarazzo e l’umiliazione di esser stato obbligato a scendere di fronte al resto dei passeggeri.
Questa situazione mostra, per l’ennesima volta, che non vi è limite al razzismo. Non vi è un limite nemmeno di fronte a persone che tentano di scappare dalla guerra e dai bombardamenti. Persone che invece di essere accolte, vengono bloccati perché hanno la pelle del colore “sbagliato”. «Quando guardo negli occhi di chi ci allontana, vedo un razzismo intriso di sangue. Vogliono salvarsi e mentre lo fanno perdono la loro umanità».
Diversi governi africani e l’Unione Africana (UA) hanno condannato le azioni delle autorità ucraine. In una dichiarazione, l’UA ricorda che tutte le persone hanno il diritto di attraversare i confini internazionali durante un conflitto e devono godere degli stessi diritti, devono dunque poter lasciare il paese coinvolto nella guerra indipendentemente dalla loro nazionalità e dalla loro identità etnica. A tal proposito i Presidenti dell’UA «esortano tutti i paesi a rispettare il diritto internazionale e mostrare la stessa empatia e sostegno a tutte le persone in fuga dalla guerra nonostante la loro identità etnica».
Anton Heraschenko, ministro degli interni ucraino, ha respinto le accuse, mossegli da diversi governi e da testate internazionali, secondo cui le autorità ucraine stavano ostacolando gli stranieri ad uscire dal paese. In tale occasione ha dichiarato che «È molto semplice: facciamo uscire prima donne e bambini. Gli uomini stranieri devono aspettare […]. Rilasceremo tutti gli stranieri senza impedimenti, e la stessa cosa vale per i neri». Sulla quesitone ha lasciato una dichiarazione anche Piotr Mueller, portavoce del Primo Ministro polacco, in cui oltre a negare le accuse afferma che «La Polonia sta facendo passare tutti coloro che arrivano dall’Ucraina, indipendentemente dalla loro nazionalità».
Per la prima volta nella storia, la Commissione Europea ha approvato una direttiva speciale per concedere un «permesso temporaneo di un anno a chi scappa dalla guerra in Ucraina». Non si tratta di una nuova direttiva, perché risale al 2001, ma è stata la prima volta che è stata applicata. «Nessuno a livello politico e istituzionale l’aveva proposta per la crisi libica e nemmeno per la guerra in Afghanistan, oppure per l’esodo in siriani o tunisini durante i noti conflitti, anche se vi erano tutte le condizioni per farlo».
Da tutt’Europa stiamo assistendo a un’incredibile rete di solidarietà: ovunque si stanno raccogliendo beni e medicinali di prima necessità, ci sono raccolte fondi, c’è chi apre le porte delle proprie case e chi si reca ai confini con l’Ucraina per offrire un passaggio ai profughi ucraini. Come mai tutta questa solidarietà non c’è stata, e non c’è, nei confronti dei profughi afghani, siriani, yemeniti?
Secondo Ziad Majed, politologo franco-libanese, «la magnifica solidarietà e umanità mostrata nei confronti del popolo ucraino, rivela una sconvolgente distinzione tra cittadini ucraini e rifugiati dal Medio Oriente». Diversi politici e giornalisti hanno parlato dei profughi ucraini come “persone come noi” e questi generi di commenti, dichiara Majed, suggeriscono «che coloro che vengono dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan o dall’Africa, non lo sono», loro non sono come noi. Il Primo Ministro bulgaro ha dichiarato che «Non sono i rifugiati a cui siamo abituati. Sono persone intelligenti, persone educate. Non si tratta di un’ondata di rifugiati come quelle a cui siamo abituati di persone la cui identità non è sicura, persone con un passato poco chiaro, persone che potrebbero essere terroristi».
Se si guarda alla teoria, secondo la Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951, i rifugiati non devono subire discriminazioni basate su razza, religione o paese d’origine. Ma stando a quanto succede con le persone non bianche ai confini dell’Ucraina e al trattamento che viene riservato ai migranti extra europei su tutti i confini, ci accorgiamo che nella pratica l’articolo 3 della Convenzione del 1951, non viene applicato.
Lara Aurelie Kopp Isaia
- Dato aggiornato al 21 marzo 2022