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Reato di clandestinità: Bocciatura da parte del Consiglio di Stato e UE

Due notizie, una recente, l’altra di ieri, non hanno certo reso migliori le giornate del ministro Maroni né tantomeno dei suoi colleghi leghisti e alleati di governo. Due schiaffi veri e propri che, anche se non risolvono le caratteristiche razziste delle legislazioni vigenti in materia di immigrazione, diventano però sassolini del diritto che incepperanno ulteriormente gli ingranaggi repressivi.
Il Consiglio di Stato – è la prima – si è pronunciato alcuni giorni fa in merito all’ostatività alla regolarizzazione colf- badanti causata dall’introduzione del reato di clandestinità. In pratica molte domande di regolarizzazione presentate nel 2009 erano state respinte in ragione di precedenti provvedimenti di espulsione di cui erano destinatari i richiedenti. Un decreto di espulsione, se non come misura di accompagnamento di condanna per reati gravi, non era mai stato ostativo alle procedure di regolarizzazione. Le lavoratrici e i lavoratori che avevano cercato di emergere da anni di lavoro nero avevano pagato di tasca propria i 500 euro che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare come condono per il precedente periodo di lavoro irregolare e tutti i contributi successivamente richiesti. Una circolare del Capo della polizia Manganelli, aveva di fatto inserito il diniego automatico per chi era stato già espulso, una delle classiche disposizioni con valore retroattivo con cui si vanno, in questa fase di basso impero, o a salvare i potenti o a colpire i più vulnerabili. Alcune associazioni impegnate nell’antirazzismo come A Buon Diritto, Ancadic e Progetto Diritti, avevano presentato ricorso al Consiglio di Stato, avvalendosi di quelle che sono le disposizioni della Direttiva europea sui rimpatri. Il Consiglio di Stato ha preso atto della complessità della materia e ha sospeso l’efficacia dei provvedimenti di rigetto, rimandando tutto ai Tribunali di merito. Questo significa che le persone che in virtù del rigetto della propria domanda di regolarizzazione sono state rimpatriate, o che potrebbero esserlo in qualsiasi momento, possono restare in Italia con regolare permesso temporaneo, in attesa del ricorso.
Nel frattempo dovrebbe entrare anche in Italia in vigore la direttiva europea 2008/115 Ce che, per quanto limitata e per nulla schierata dalla parte dei migranti, rigetta l’idea stessa del reato di clandestinità, asse su cui poggia l’intero architrave. La disposizione si intende valida su tutto il territorio nazionale, anche a Brescia, dove l’attuale prefetto aveva recentemente dichiarato che non avrebbe considerato valida una decisione come quella che si andava profilando da parte del Consiglio di Stato. Dovrà adeguarsi, per ora Brescia è una città italiana e non un avamposto dell’inesistente stato padano. La direttiva in questione doveva essere recepita in Italia entro il 24 dicembre scorso, le normative avrebbero dovuto adeguarsi ad essa, ma così non è stato. Il risultato – seconda notizia – è quello che denunciano ieri dall’Unione delle Camere Penali. «La Bossi Fini sull’espulsione degli immigrati “clandestini” è ormai carta straccia», recita il documento. Le normative europee prevalgono su quelle nazionali, in caso di contrasto – e ce ne sono a bizzeffe – quelle nazionali debbono essere disapplicate. Secondo la direttiva, che – è il caso di ripeterlo – è frutto di una mediazione fra forze conservatrici, liberali e socialiste, la scansione procedimentale che deve portare ad una espulsione deve privilegiare i diritti dell’individuo, la sua libertà personale e deve tendere ad una partenza volontaria. Le misure coercitive debbono essere l’estrema ratio, con buona pace di chi pensava di intasare ancor di più i centri di identificazione ed espulsione. L’Ucpi definisce i recenti provvedimenti governativi in materia come «il precipitato di una logica repressiva nella quale la limitazione della libertà personale costituisce l’unica forma di trattamento dello straniero – alieno e di gestione dei flussi migratori». Il reato di clandestinità «punito con una reclusione fino a 4 anni» e la detenzione nei Cie fanno anche sforare la durata massima di privazione della libertà personale fissata dall’Ue in 18 mesi. In pratica il gap fra Europa e Italia è sintetizzabile in un concetto: da noi la detenzione è la regola, nel resto d’Europa diventerà l’eccezione.
 
Stefano Galieni