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Reato di tortura, a quando la legge??

A più di sessant’anni dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il nostro paese non è ancora pienamente consapevole del significato che comporta una partecipazione matura al sistema internazionale di protezione dei diritti umani.

In particolar modo gli obblighi di prevenzione e repressione della tortura non sono stati riconosciuti e tantomeno rispettati nel nostro ordinamento.

Si riscontra un completo disinteresse sul tema tanto a livello politico quanto di opinione pubblica.

Nel lontano 1989, con la ratifica della Convenzione contro la tortura dell’ONU, l’Italia assunse l’obbligo di introdurre il reato nel suo codice penale. Ad oggi tale reato non è ancora contemplato dall’ordinamento Italiano.

Qualcuno continua ad obiettare che il nostro è uno stato civile e civilizzato, che nel nostro paese non si tortura.

Eppure sono ancora vivide nella memoria le raccapriccianti immagini della “macelleria messicana” avvenuta presso la scuola Diaz, o quelle dei corpi senza vita di Stefano e Federico. Ma quasi come un “non ragioniam di lor, ma guarda e passa” pare essere stato tutto dimenticato.

Anche il Comitato europeo di prevenzione della Tortura (CPT), organo che fa parte della CEDU, ha affrontato più volte tale problema invitando l’Italia a colmare questa imperdonabile lacuna, tuttavia la risposta italiana del 2006 era la seguente: “Con specifico riferimento all’inserimento del reato di tortura nel codice penale italiano, l’assenza di un reato di questo tipo non significa comunque che in Italia esista la tortura. Se, da un parte, la tortura non esiste perché è questa una pratica lontana dalla nostra mentalità, dall’altra alcune sezioni del codice penale puniscono severamente tale comportamento anche se il termine “tortura” in quanto tale non è incluso nel codice stesso.”

Così severamente da far sì che i torturatori, perché è d’obbligo dare il giusto nome a chi si fa scudo di una divisa per trattare da bestie i poveri malcapitati di turno, finiscano completamente impuniti a causa della prescrizione dei reati loro contestati, che opera nelle more della maggior parte dei processi.

A ben vedere a livello nazionale è la stessa Costituzione che vieta qualunque forma di tortura, sia essa fisica o morale, attraverso gli articoli 13 e 27 Cost.

Il quarto comma dell’articolo 13 Cost., infatti, prevede che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”; è l’unico obbligo costituzionale di punire imposto in modo esplicito al legislatore ordinario, a garanzia, evidentemente, di quel fondamentale diritto che è l’intangibilità e l’immunità del corpo da qualsiasi tipo di violenza o maltrattamento ad opera delle forze dell’ordine che dovrebbero, piuttosto, offrire protezione.

La privazione anche solo momentanea della libertà personale non priva un individuo del diritto al rispetto della propria personalità e dignità.

Nella tortura vi è la volontà e l’intenzione di demolire la persona, di far si che sia essa stessa a smettere di considerarsi uomo.

La dignità umana è innata, come innato è il diritto al suo rispetto. La tortura, andando ad estirpare dal soggetto qualcosa di cui è intrinsecamente munito, giunge sino a ledere e comprimere arbitrariamente la maggior parte dei diritti fondamentali pacificamente riconosciuti.

Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa.” diceva Beccaria.

Quando lo Stato limita la libertà personale di un cittadino, è come se lo prendesse in custodia; per cui, è costituzionalmente previsto in capo allo stesso il dovere di preservare quel cittadino da ogni tipo di violenza.

Tuttavia anche tale obbligo costituzionale è stato completamente disatteso.

Di fronte a una condotta che potrebbe essere descritta come tortura, allora, le autorità giudiziarie italiane, essendo impossibilitate nel dare il giusto nome e la giusta pena a tali condotte, intervengono con gli strumenti che il codice penale mette loro a disposizione.

Pertanto, tale inescusabile lacuna costringe i giudici a declassare vere e proprie torture a semplici reati di maltrattamento o lesioni personali, diminuendo il grado di responsabilità imputabile e alleggerendo la pena applicabile.

Nel tempo si sono susseguiti decine di progetti di legge, tutti sempre calendarizzati e mai discussi o approvati.

Analizzare tutti i progetti presentati da vent’anni a questa parte appare quasi impossibile, tuttavia è bene focalizzarsi sull’ultimo di questa sfilza, su quello che, si auspica, termini l’iter legislativo.

Anzitutto bisogna dire che è da Marzo 2013 che si verifica il cd. Fenomeno delle “navette” tra i due rami del Parlamento.

Il busillis è stato la volontà di non configurare il futuro reato come proprio, vale a dire non perpetrato da chiunque ma da un pubblico ufficiale.

Si continua a cercare di portare alla luce un reato fatto su misura per le forze dell’ordine e creato a immagine e somiglianza di un Parlamento il cui ultimo pensiero è quello di tutelare chiunque si trovi, per qualsiasi motivo, a fare i conti con il volto repressivo e patologico dello Stato.

Attualmente il progetto di legge si è arenato in Senato in attesa dell’approvazione che pare divenire sempre più lontana.

Il progetto, così come modificato dalla Camera, prevede l’introduzione nel codice penale di due nuovi articoli concernenti i reati di tortura e di istigazione del pubblico ufficiale alla tortura.

Come già anticipato si tratta di un reato comune (perpetrabile da chiunque) punito nella sua forma base con la reclusione da 4 a 10 anni; sono poi previste tutta una serie di aggravanti, specificamente la pena è da 5 a 12 anni se il fatto è posto in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, è previsto l’aumento di 1/3 se dalla tortura derivano lesioni personali gravi e di metà se le lesioni sono gravissime.

Infine la pena è di 30 anni qualora dalla violenza derivi la morte del soggetto torturato quale conseguenza non voluta e dell’ergastolo allorché vi sia l’intenzionalità di causare la morte.

La prescrizione è ventennale e inoltre è previsto anche il divieto di espulsione verso paesi che praticano tortura.

Qualsiasi dichiarazione o informazione estorta sotto tortura, infine, non sarà utilizzabile in un processo: varranno, però, come prova contro gli imputati di tortura.

Ebbene, configurare un reato, che trova la sua origine nell’abuso di potere e che quindi è per definizione, un reato proprio, come comune, fa sorridere e lascia un po’ di amaro in bocca; tuttavia, a trenta anni dalla firma della Convenzione Onu contro la tortura, non si può proprio attendere oltre.

Si spera, quindi, che questa sia DAVVERO la volta buona!

Federica Rizzuti