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Reato di tortura, perché Monti fa tante storie?

Nelle carceri, nei Cie (le galere etniche per migranti), nei commissariati, nelle caserme la tortura esiste, ma nel codice penale italiano il reato di tortura ancora non c’è. La sentenza della Cassazione sulla “macelleria messicana” della Diaz è metafora di questa anomalia giuridica e morale. Avevamo accolto, nei giorni scorsi, con favore il fatto che, dopo ben 24 anni dalla ratifica del Trattato Onu, anche il Parlamento italiano si apprestasse a colmare questa grave lacuna, affinché cadessero le impunità dei poteri militari.
Penso alla caserma Ranieri, alla Diaz, a Bolzaneto; ma anche a tanti “morti di Stato”, da Cucchi, ad Aldovrandi, ad Uva, a Saturno e a tante altre persone. Spesso la magistratura, in questi ultimi anni, è stata costretta, per mancanza del reato specifico di “tortura”, a condannare in base ad altre figure di reato, che comportano sanzioni minori, fattispecie diverse (e che, soprattutto, sono sottoposte a prescrizione, al contrario del reato di “tortura”). Purtroppo il governo Monti, pessimo anche sotto l’aspetto della condizione carceraria e dello Stato di diritto, sta ponendo incomprensibili ostacoli alla discussione in Senato.
La ministra Severino ha avanzato proposte che stravolgono gli obblighi che derivano all’Italia dalla Convenzione Onu, violando lo stesso diritto internazionale. L’impostazione del Governo è ritenuta da noi (ma anche da tutto il mondo giuridico democratico) inaccettabile, perché viola i fondamenti dello Stato di diritto. Enumero solo alcuni aspetti specifici, per evitare “tecnicismi” giuridici. Il Governo pretende che la tortura debba consistere in una sofferenza psico/fisica, mentre la Convenzione Onu scrive “fisica” o “psichica”. Nota la giustamente allarmata Amnesty International: esistono torture che non producono l’insieme delle sofferenze, ma sofferenze anche solo psichiche o fisiche; perché restringere l’ambito di indagine e di applicazione per la magistratura?

Il testo in discussione in Commissione Giustizia al Senato parla di «persone private della libertà personale»; significa che la persona che viene torturata deve essere necessariamente detenuta? Non basta che sia sotto il controllo del torturatore?Allora, quella a Federico Aldovrandi (e tanti altri), massacrato per strada, non sarebbe tortura?

La verità è che la previsione eccessivamente dettagliata delle condotte criminose, nei reati contro la persona, allude a interpretazioni restrittive. Il governo dice anche che la vittima deve essere «non in grado di ricevere aiuto»; che cosa significa? Come andrebbe, con questo criterio restrittivo, classificato il caso di Stefano Cucchi? La verità, come da tempo noi e tutte le associazioni sosteniamo, è che la tortura ha una sua specifica fisionomia; le lesioni, l’abuso di autorità, i comportamenti illeciti sono reati differenti. Il reato di tortura, definito con precisione dall’Onu, riguarda comportamenti che distruggono la personalità della vittima. La tortura non è la violenza del cittadino comune; è la condotta specifica dell’apparato dello Stato nei confronti della persona sottoposta alla sua autorità. Non è un’aggravante di un reato comune; è un reato proprio del pubblico ufficiale.
E’ grave che il governo affermi che queste “precauzioni” servano ad evitare la criminalizzazione delle forze dell’ordine. E’ opportuno ricordare che la Costituzione italiana usa la parola “punizione” in un solo caso, all’art.13: «E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».
 
Giovanni Russo Spena