Il regno della paura. In Marocco «siamo tutti in libertà provvisoria»
- febbraio 03, 2021
- in Dal mondo, interviste
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Intervista al giornalista-accademico Omar Brouksy . L’allergia del re alle voci critiche, dopo l’arresto dell’amico e collega Mâati Monjib. «La pressione del regime di Mohammed VI è costante: immagina, un capo di stato con poteri assoluti che passa il suo tempo a pensare a come far tacere un giornalista…»
«È il re che ha un problema con la libertà di espressione e di informazione, non il Marocco». Omar Brouksy, giornalista, scrittore e professore di Scienze Politiche rifugiato a Parigi commenta così l’arresto del collega e amico Maâti Monjib, avvenuto a Rabat lo scorso 29 dicembre. «Siamo tutti in libertà vigilata e stavolta è toccato a lui», dice. Un arresto che era nell’aria. Monjib è un intellettuale che ha denunciato le contraddizioni del Paese e lo ha fatto valicando i confini nazionali con pubblicazioni in inglese e francese: «Per una potenza antidemocratica che non rispetta i diritti umani, il suo è un profilo che inquieta».
Anche lei in passato ha rischiato di essere arrestato?
Con Mâati Monjib siamo amici da più di 15 anni: lui collaborava con il Weekly Journal, rivista indipendente di cui io ero il redattore capo, e che è stata chiuso nel 2010 a causa di una lunga asfissia finanziaria guidata dal Palazzo e dall’entourage reale. Sono sempre stato e continuo a stare sotto la pressione del regime di Mohammed VI, ma le pressioni erano maggiori quando ero giornalista dell’Agence France Presse: il re aveva deciso di non concedermi la tessera stampa per impedirmi di lavorare nel mio paese. Immagina: un capo di stato con potere assoluto che passa il suo tempo a pensare a come mettere a tacere un giornalista… Ovviamente l’obiettivo del palazzo era quello di spingermi a lasciare il Marocco, come con i colleghi Aboubakr Jamai e Ali Lmrabet. Nel 2013, l’ambasciatore marocchino a Parigi, Chakib Benmoussa, ha chiesto esplicitamente a Emmanuel Hoog, allora CEO di AFP, di trasferirmi. Ma quest’ultimo ha gentilmente risposto che ero un giornalista a tutti gli effetti presso l’AFP, ufficio di Rabat. Continuo a essere ripetutamente insultato e diffamato dalla stampa vicina al regime e dalla sua polizia politica a causa dei miei articoli pubblicati dal sito di informazione e analisi orientxxi.info.
Perché Monjib è stato arrestato? Con quali accuse?
Il suo è un arresto che mi ha ha scioccato e rattristato, ma non sorpreso. Non dobbiamo dimenticare che da anni viene molestato dalla giustizia marocchina. è accusato di «mettere in pericolo la sicurezza interna dello Stato» in un processo che dura dal 2015 e ogni volta viene rinviato perché i giudici non hanno nulla su di lui. Quindi l’arresto avvenuto per motivi assurdi, riciclaggio di denaro sporco, che sembrava inimmaginabile data la statura di Monjib, è il risultato di questa campagna contro un intellettuale noto e onesto.
Perché Monjiib è considerato una voce scomoda?
Mâati Monjib parla correntemente arabo, inglese e francese, scrive articoli di approfondimento, articoli accademici e giornalistici in uno stile chiaro e fluido, le sue idee sono coerenti e ben argomentate. Non è un estremista ma critica aspetti sensibili, l’abuso di potere, la mancanza di democrazia, le ingiustizie sociali, le disuguaglianze, gli abusi della polizia politica… Inoltre, Mâati è credibile agli occhi delle organizzazioni internazionali, dei media e delle ong. Ha partecipato alla formazione di diversi giornalisti e attivisti per i diritti umani. .
Molti dissidenti sono stati arrestati con accuse a sfondo sessuale, un caso o uno strumento del Regno?
In politica, e ancor di più in un regime quasi dittatoriale, non c’è incidente, tutto è calcolato e tutti i mezzi sono buoni per indebolire le voci dissonanti. Dal marzo 2020 il Marocco è in lockdown. Politicamente, è un vantaggio per un regime come il regime marocchino: nessuna manifestazione pacifica è tollerata a causa della pandemia, nessuna forma di protesta a sostegno dei giornalisti democratici arrestati da una giustizia tutt’altro che indipendente. Per Mâati Monjib, come lui stesso ha detto, il regime ha deciso di fermarlo dopo non aver trovato nulla di cui rimproverarlo in termini di morale e vita privata. Hanno quindi trovato questo pretesto del «riciclaggio», che in genere dovrebbe riguardare denaro la cui origine è sporca: traffico di droga, prostituzione o reti di sfruttamento.
intervista a cura di Roberto Persia per il manifesto
Mâati Monjib e gli altri, voci scomode in Marocco
Mâati Monjib, 60 anni, giornalista e storico, cattedra di Studi africani all’università Mohammed V di Rabat, è una figura di intellettuale della sinistra marocchina con una storia di attivismo per i diritti umani che risale ai tempi del regno di Hassan II. Rientrato stabilmente in Marocco dopo la ventata liberalizzatrice del 1998-99, nel 2011 durante le Primavere arabe ha co-fondato l’Associazione marocchina per il giornalismo investigativo. È già comparso davanti a un tribunale una ventina di volte, ha condotto scioperi della fame e scritto vibranti editoriali contro la repressione sul quotidiano Le Journal e il settimanale Zaman. Amnesty International e l’Osservatorio per la protezione dei difensori dei diritti umani esprimono sconcerto per il suo arresto avvenuto lo scorso 29 dicembre a Rabat e ne chiedono l’immediata liberazione.