“Repressione è civiltà”. È con queste parole che si presenta ai suoi uomini il nuovo responsabile dell’ufficio politico di una questura italiana nel film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. È l’attore Gian Maria Volonté a rappresentare quello che viene chiamato il Dottore e a proporre un monologo che ha fatto storia nel cinema nazionale. Nel film diretto da Elio Petri nel 1970, il Dottore si fa interprete di una precisa visione del potere di polizia: quello di mantenimento dell’ordine a tutti i costi, quasi fosse un dovere autonomo rispetto alla democrazia e alle sue libertà.
È nel discorso di presentazione che il capo dell’ufficio politico ricorda come la repressione sia il vaccino da inoculare nella società, in quanto essa è malata ed ha bisogno di essere salvata. Ma salvata da chi? Da ogni tipo di reato, anche perché ormai ogni reato è, di fatto, reato politico, in quanto, incalza il Dottore, “sotto ogni criminale può nascondersi un sovversivo; sotto ogni sovversivo può nascondersi un criminale”.
Il potere della polizia viene scoperto nella sua nuda realtà, ma ancora di più lo è il potere della repressione, pensata, vissuta e proposta come una medicina, come un farmaco per curare, addirittura come un vaccino per debellare a priori, senza tentennamenti possibili, ogni azione che possa esercitare una critica all’ordine politico esistente. È la repressione la vera faccia del potere, quella che in ultima istanza, quando gli altri meccanismi democratici non sono stati sufficienti, viene agita, viene messa in movimento. E la repressione agisce prioritariamente e preferibilmente nell’ambito politico. Nel film di Petri è il capo dell’ufficio politico a farsi interprete di tale visione. Non a caso.
La polizia è, secondo questa interpretazione, strumento ultimo della conservazione politica e, quindi, sociale. È l’infrastruttura che consente, in ultima istanza, la riproduzione dell’ordine nei suoi fondamenti. E non una qualunque polizia, ma quella che si dota di una visione del mondo fondata sulla conservazione dell’esistente attraverso, se necessario, la repressione. Una polizia dotata, per le leggi in vigore e per propria attitudine, di una volontà di imposizione su qualunque movimento sociale e politico dissonante. Una polizia che odia il dissenso. Come la scena sulle scritte che ossessionano il capo dell’ufficio politico mostra chiaramente nel film.
Da quella pellicola tanto tempo è trascorso. La polizia ha attraversato tanti cambiamenti. Ma non tutto sembra essere passato. E il decreto sicurezza bis da pochi giorni in vigore lo conferma. Dotando la polizia di poteri discrezionali nella gestione delle pubbliche manifestazioni che difficilmente si giustifica in uno Stato democratico.
E, così, la mente è tornata a questo film, e agli insegnamenti della storia, secondo i quali quando si inizia ad imporre una visione dei rapporti tra Stato e cittadini di tipo fortemente verticale, guidata da uomini considerati forti, si sa contro quali gruppi di popolazione si inizia a restringere libertà e diritti ma non si sa dove, contro quali altri esseri umani e quando si finisce. Ad essere messa in discussione è l’uguaglianza dei cittadini, insieme al diritto alla protesta e al dissenso e, quindi, alla libertà di espressione.
Una deriva all’ordine del giorno, evidentemente. Una deriva su cui discutere. E da fermare.
Gennaro Avallone
da SalernoSera