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Repressione Genova 2001, da allora niente è stato fatto!

Sono passati dodici anni da quando le forze dell’ordine, aizzate e protette da esponenti del governo di allora (eravamo al tempo in cui Berlusconi e Fini erano fedeli alleati, il secondo era infatti il vice del primo), prima nelle strade di Genova, poi nella scuola Diaz e infine nella caserma Bolzaneto si lasciarono andare a violenze brutali e torture.

L’ultimo tassello del mosaico giudiziario è stato posto dai giudici della Cassazione poco meno di un mese fa. Condanne e prescrizioni si sono inseguite. Il passare del tempo ha salvato dalla infamia di una sentenza di colpevolezza non pochi funzionari in divisa dello Stato. Il prossimo 20  luglio saranno trascorsi dodici anni dalla morte di Carlo Giuliani e da ciò che ne è conseguito senza che la politica battesse colpo.

In dodici anni abbiamo avuto due governi di centrodestra, un governo di centrosinistra, un governo tecnico, un governo di larghe intese. Nel frattempo nessuno ha voluto mettere naso dentro la corporazione delle forze di polizia. La tortura non è ancora un delitto punito nell’ordinamento giuridico italiano, nonostante a Genova abbiamo avuto la visualizzazione plastica di quanto fosse una pratica utilizzata su larga scala.

Le forze di polizia possono ancora esercitare controllo dell’ordine pubblico nelle piazze in modo anonimo e impunito, ossia senza che possano essere riconoscibili grazie a un numero di identificazione sulla divisa o sul casco.

Le vicende di Genova 2001 non sono state indagate nel loro complesso in quanto ai tempi del centrosinistra al Governo l’Idv di Pietro vi si oppose. Il Prefetto Gianni Di Gennaro, allora capo della Polizia, è adesso alla guida di Finmeccanica, come se nulla fosse.

Infine, nessuno in epoca di spending review azzarda una ipotesi di risparmio sicuro che è consistente nell’unificare tutte le forze di Polizia – Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza – evitando sovrapposizioni territoriali e funzionali.

Ci hanno spiegato in questi ultimi anni che non dobbiamo essere conservatori rispetto a conquiste secolari nel mondo del lavoro e della democrazia, che la modernità significa accettare trasformazioni e compressioni di diritti. Tutto questo in qualche modo ritengo abbia a che fare anche con la concessione di quote di arbitrio alle forze dell’ordine.

Patrizio Gonnella da micromega