Cella dieci/ Luogo buio di paura/ senza orizzonte/ luogo senza luogo/ mondo all’incontrario/ luogo di follia/ senza cielo/ senza Dio/ luogo senza dove/ luogo senza me.
Leggendo alcune dichiarazioni dell’ex magistrato di “Mani pulite” Gherardo Colombo nella rivista di “Ristretti Orizzonti” (anno 20, numero 6, novembre 2018) ho pensato che sta portando più frutti alla legalità, come privato cittadino, adesso, di quando sbatteva solo le persone in cella.
– Penso che tutte le volte che ci debba essere il carcere, il carcere debba essere completamente diverso da quello che è oggi.
Molti pensano che il carcere sia la medicina. Ciò non è vero, perché il carcere rappresenta piuttosto una malattia della società, la gabbia dell’odio e della rimozione sociale. In luoghi come questi non si migliora, ma si peggiora. Continuando a sentirci ripetere che siamo irrecuperabili, che siamo dei mostri, che siamo cattivi, alla fine ce ne convinciamo e cerchiamo di esserlo davvero. Nella maggioranza dei casi l’istituzione penitenziaria opera ai margini del diritto, in assenza di ogni controllo democratico, nell’arbitrio amministrativo e nell’indifferenza generale. Ma, forse, la cosa peggiore del carcere è che la tua vita dipende da altri che, continuamente, ti dicono cosa devi fare e quando e come devi farlo. Spesso, questi “altri” sono peggiori di te, e tu devi per forza sottostare ai loro capricci.
– L’unico studio serio che è stato fatto sulla recidiva nel campo delle sanzioni alternative dice che per chi usufruisce dell’affidamento in prova ai servizi sociali il risultato è (nei successivi sette anni dopo la scarcerazione) il 19% di recidivi, mentre chi esce dal carcere a fine pena dopo aver scontato tutta la pena dentro, torna in carcere 68 volte su 100.
Una volta un mio amico albanese che tutti consideravano un po’ matto mi disse: “Se in carcere ragioni razionalmente sei rovinato. Fai come me, fai lo scemo ed anche se non sarai felice non vai nei guai”. Da quella volta, mi sono convinto che a volte i matti ragionano meglio dei normodotati. Il politico e giurista tedesco Gustav Radbruch ha scritto: «La ricetta di rendere sociale il soggetto antisociale, mettendolo in una situazione asociale, insegnandogli cioè a nuotare fuori dell’acqua, è fallito. Solo nella società si può educare alla società».
Io sono dall’idea, come cittadino, che l’ergastolo ostativo confligga con la Costituzione. (…) Uno può benissimo non collaborare, quello che conta è che smette di essere pericoloso. (…) ai tempi del terrorismo si era fatta una legge sulla dissociazione che non richiedeva la collaborazione, richiedeva però di allontanarsi dalle organizzazioni terroristiche, è stato uno strumento estremamente positivo perché il terrorismo è finito anche grazie a questa legge.
Il Prof. Giuseppe Ferraro, Docente di Filosofia Università Federico II, Napoli anni fa mi scrisse:” Ho fatto così bene a venire nel carcere di Spoleto, mi trovo a ripeterlo, perché ho conosciuto uno splendido Carmelo. Uno che lotta per l’abolizione dell’ergastolo ostativo. Uno che agli altri, che lo sorvegliano, sembra dire cose sovversive, uno che dice ciò che è a chi non vede ciò che c’è. E lo dice con l’innocenza. È questo, Carmelo. Solo nell’innocenza, con innocenza, si possono dire certe cose, senza vergogna e paura, ancora come è per il bambino. Non si può togliere la vita lasciando un’esistenza sola e senza senso né sentimento. Un Paese misura il grado di sviluppo della propria democrazia dalle scuole e dalle carceri, quando le carceri siano più scuole e le scuole meno carceri. La pena deve essere un diritto, se sia condanna deve poter essere la condanna a capire e capirsi. L’ergastolo ostativo è ripugnante e indegno per una democrazia del diritto ad essere persone giuste.”
Bisognerebbe che i ragazzi, tutti i ragazzi, ad una certa età passassero dal carcere, sarebbe assolutamente necessario secondo me, così come sarebbe necessario che ci passassero e ci passassero in modo serio anche gli adulti, tutti quanti, che ci passassero i magistrati, i magistrati che dovrebbero vedere quali sono le conseguenze delle loro decisioni.
Un proverbio indiano dice: «Quando stai male e ti senti solo getta il tuo cuore lontano e corri a prenderlo». Peccato, peccato davvero che in carcere ci siano troppi muri e sbarre che ci impediscono di correre. Il carcere è una fabbrica di stupidità. E non migliora certo l’uomo. Il più delle volte lo rende scemo. In questi luoghi è anche difficile andare d’accordo con tutti. E non è certo come fuori che puoi andare da un’altra parte. L’unico modo per un detenuto di non sentirsi schiacciato dal carcere è quello di sentirsi libero interiormente; ma ci sono dei giorni in cui è proprio impossibile riuscirci. E la sofferenza, allora, diventa insostenibile. Il sociologo canadese Erving Goffman scriveva: «è molto diffusa fra gli internati la sensazione che il tempo passato nell’istituzione sia sprecato, inutile o derubato alla propria vita». Infatti, il tempo trascorso in carcere non ha tempo e fa sentire vecchi o giovani secondo i giorni.
Carmelo Musumeci – direttivo dell’Associazione Liberarsi