La vaghezza della proposta, oltre che essere riflesso del contesto politico, esprime arroganza e noncuranza per la democrazia; diverse forme di governo sono compatibili con l’orizzonte democratico ma ad una condizione: la garanzia dell’equilibrio dei poteri, ovvero la limitazione del potere.

Ai riformatori nostrani non interessano checks and balances, funzioni di garanzia (l’attacco di questi giorni alla Corte dei conti docet), rappresentanza plurale; purché uomo forte al comando sia, è indifferente che la forma sia presidenzialismo, semi-presidenzialismo, premierato, «sindaco d’Italia».

La giustificazione per una ulteriore verticalizzazione del potere è la stabilità di governo, fine apparentemente neutro. Difficile negare che la stabilità possa essere un bene, ma certamente non è un bene in sé, un fine ultimo. Come per il concetto di “governabilità”, alcune domande sono d’obbligo: stabilità per chi, per che cosa e come?

Un governo stabile, in presenza di un pluralismo partitico adeguatamente rappresentato in un Parlamento forte, il cui indirizzo politico si rifà all’attuazione della Costituzione, è molto diverso da un governo stabile a scapito del pluralismo e della rappresentanza, nonché fedele in primo luogo all’agenda neoliberista.

Come ricorda la Corte costituzionale, ragionando di sistema elettorale, costituisce «senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo» lo «scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale» ma, se ciò consente «una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare», diviene «incompatibile con i principi costituzionali» (sentenza numero 1 del 2014).

La verticalizzazione del potere è una tendenza globale, che accompagna l’ascesa del neoliberismo; basti ricordare l’«eccesso di democrazia» lamentato dalla Commissione Trilaterale (1975) e gli «esecutivi deboli» oggetto delle critiche della J. P. Morgan (Report del 2013); senza scordare il déjà vu delle riforme nostrane, respinte in via referendaria (2006 e 2016). La fascinazione politica della destra per “il Capo” si incontra con l’efficientismo richiesto dal finanzcapitalismo nella sua corsa alla massimizzazione del profitto e il nazionalismo identitario converge con l’egemonia del neoliberismo nell’opera di neutralizzazione del conflitto sociale.

Come aggravante, si aggiunge quindi il contesto. Presidenzialismi e semi-presidenzialismi stanno virando in senso autocratico anche nei loro esempi più «virtuosi», gli Stati Uniti e la Francia – la prepotenza di Trump e Macron ne sono testimonianza -, pur se resta un articolato equilibrio fra i poteri (negli Usa) o, nel caso francese, la presenza di anticorpi democratici (in primis la mobilitazione popolare).

In Italia, l’affidamento all’uomo forte al comando si innesta su squilibri nell’assetto istituzionale (la riduzione del Parlamento a organo di ratifica delle decisioni dell’esecutivo), un sistema partitico nettamente sbilanciato a destra (non solo per gli esiti delle urne, ma per la mancanza di una sinistra vera e forte), un terreno sociale acquiescente rispetto ad una deriva autoritaria, una conflittualità sociale frammentata (vi sono interessanti esperienze di convergenze, ma al momento sono isole in un mare di passività).

L’unica vera riforma necessaria sarebbe rafforzare il Parlamento (ovvero, attuare la Costituzione), favorendo un circuito virtuoso con la costruzione di una rappresentanza radicalmente plurale e conflittuale (muovendo da una legge proporzionale pura): un Parlamento come luogo di scontro e mediazione politica fra visioni del mondo, titolare dei propri lavori, soggetto attivo nel rapporto di responsabilità politica con il governo.

Ingenuità da costituzionalista nell’era in cui sfuma vieppiù la distinzione fra democrazia e autocrazia? Forse, ma, per l’appunto, è questione di sopravvivenza della democrazia.

La democrazia, se vuole essere effettiva, vive di partecipazione e di conflitto, altrimenti è maschera, mero strumento di gestione del potere e controllo sociale. Intendiamoci: in questo senso un rafforzamento del Parlamento è necessario, ma non sufficiente. Ineliminabile è la forza dei conflitti sociali, come necessario è il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale: è il disegno della democrazia conflittuale e sociale, che lo scellerato connubio fra autonomia differenziata e presidenzialismo si appresta a cancellare.