Rifugiati deportati, trattenuti e umiliati. Una storia di ordinaria follia dalla stazione di Milano all’hotspot di Taranto
D. ha 18 anni. È un richiedente asilo di nazionalità gambiana ospitato nel centro di accoglienza straordinaria di Via Corelli, a Milano. Sabato scorso, mentre si trovava in strada nei pressi della stazione centrale, è stato portato via dalla locale questura. Privato del cellulare, dell’orologio, di altri effetti personali, è stato caricato su uno degli autobus “speciali” carichi di profughi in partenza ogni giorno dal Nord lombardo e ligure, da Como, Chiasso, Ventimiglia, verso Taranto. Destinazione hotspot.
Verso uno dei centri di identificazione, foto segnalamento e finanche di espulsione o respingimento, senza nessuna cornice giuridica attivi oggi in Italia. Di questo si tratta. Con D. viaggiano verso Sud un altro centinaio di migranti, molti di essi con i documenti in regola, alcuni di loro anche con un lavoro avviato e una riconosciuta protezione internazionale, i quali vengono letteralmente rastrellati, deportati, il pomeriggio del 21 ottobre scorso. Una follia.
Una storia di ordinaria deportazione nell’Europa del 2016. Che ci parla di continue violazioni di diritti umani fondamentali e di isterie istituzionali. È un racconto dal sistema hotspot. È l’incredibile storia di cui siamo venuti a conoscenza attraverso l’sos lanciato dal giovane gambiano subito raccolto dagli attivisti della campagna lasciatecientrare. Così ieri abbiamo incontrato D. uno dei tanti ultimi della terra, poveri e oppressi di ogni mondo che incrociamo ogni giorno a Taranto lungo i luoghi di transito. Con lui abbiamo ripercorso insieme quella notte. Abbiamo registrato il suo racconto, raccolto la sua denuncia e poi riaccompagnato all’hotspot, dove sarebbe potuto ripartire con degli autobus verso Milano, messi a disposizione dal Ministero.
Perché nel frattempo dal centro di accoglienza in cui D. era ospitato gli operatori hanno protestato. La solidarietà politica e materiale concreta ha fatto il resto. E la storia, in questo modo, è saltata fuori. Così il Viminale è corso a riparare. Si sa che la vicenda è grave. Perché si tratta di trattenimenti prolungati oltre ogni regola. Di pratiche e forme di governo del confine che l’approccio hotspot produce e riproduce. L’unica colpa da espiare, per i cento deportati della scorsa notte come di tanti altri migranti, è la condizione di povertà, di sottomissione sociale e politica. Che li fa divenire bersaglio di un vero e proprio rastrellamento.
È così che è andata la faccenda, senza fronzoli: nei giorni precedenti c’era stata una rissa, definita da tutti i giornali maxi rissa tra migranti, nei pressi della stazione di Milano; all’episodio era seguita una nuova feroce campagna d’odio architettata dalla Lega Nord e sostenuta da Casa Pound. Sembrava necessaria dare una risposta, evidentemente, un segnale di intesa alle pulsioni della destra più estrema e così la destra al governo, rappresentata dal Ministro degli Interni Angelino Alfano che ha il comando della polizia si inventa un’ operazione, una deportazione, per rassicurare. È così che è andata. Ma non è finita. Anzi.
D. all’hotspot non può più entrare, dicono i militari di stanza al centro quando lo accompagniamo. Perché “risulta in accoglienza a Milano” è la risposta strampalata che viene data. Come se invece non dovesse valere – la condizione di richiedente – nel momento in cui è stato rinchiuso ingiustamente e in maniera illegittima nel centro di Taranto. Paghiamo noi, così, il suo biglietto del treno perché altrimenti il giovane gambiano avrebbe trascorso la notte in strada, per colpa di questa operazione folle. Ora D. è tornato in Lombardia, nel centro di Via Gorelli dove era ospitato, per frequentare la scuola a cui era iscritto e in attesa che la commissione territoriale valuti la domanda di protezione internazionale, la sua condizione di richiedente asilo politico.
È la solidarietà politica concreta messa in campo dagli attivisti, da Taranto a Milano, che ha permesso di trasformare una storia di ordinaria follia in una a lieto fine. Un destino analogo, un identico calvario, anzi peggiore, l’ha subita un altro cittadino che abbiamo incontrato: M. con permesso di soggiorno tedesco, un paziente psichiatrico, anche lui deportato a Taranto da Milano, senza nessun apparente motivo, e incredibilmente abbandonato in strada senza nessuna assistenza, nonostante la sua riconosciuta condizione di vulnerabilità. Di lui, nonostante la sua evidente condizione di soggetto meritevole di assistenza e protezione, nessuno se ne cura; di lui oggi abbiamo perso le tracce e qualcuno ai piani alti del Ministero degli Interni, non di certo noi, dovrà rispondere di abbandono di incapace. Tant’è.
Dunque, alla luce di quanto esposto, di quanto riferito negli ultimi mesi lungo i luoghi di transito dai migranti, di quanto accaduto, cioè da quando è attivo l’approccio hotspot, come organizzazioni, associazioni, come cittadini solidali e complici con chi viaggia (con o senza documenti) pretendiamo di conoscere la logica stessa di queste operazioni di polizia. Non solo. Che ci siano riferiti i ruoli e i compiti ricoperti dalle organizzazioni internazionali di tutela dei rifugiati presenti nell’ hotspot, nello specifico dell’agenzia delle Nazioni Unite Unhcr e dell’Oim, l’Organizzazione internazionale delle migrazioni. Continueremo a pretendere, inoltre, proprio alla luce delle gravi criticità sopra esposte, di conoscere le iniziative assunte dal Governo per garantire l’accesso ai cosiddetti hotspot alle associazioni che si occupano di diritti dei migranti, oltre che agli operatori della stampa. Richieste, queste, peraltro, già oggetto di diverse interpellanze parlamentari.
Proprio nei giorni scorsi, il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi aveva risposto ad un’ interpellanza urgente presentata dai deputati del gruppo di Sel – Sinistra Italiana in cui la parlamentare del gruppo, Donatella Duranti, lamentava che in occasione della sua visita all’hotspot di Taranto avvenuta il 10 settembre scorso, i rappresentanti dell’Associazione di promozione sociale Babele e dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ASGI (che erano al suo seguito) si sarebbero visti precluso l’accesso alla struttura. Veniva richiesto – nell’interpellanza – quali iniziative si intendano adottare per garantire il libero accesso ai centri in questione, sia alle associazioni che operano nel campo dei diritti dei migranti sia ai giornalisti. E il Ministero della Difesa – non si sa a quale titolo – ha risposto così: “ i parlamentari hanno libero accesso ai centri per migranti. Non sussiste, né risulta essere mai stato attuato alcun esplicito o aprioristico divieto di accesso agli hotspot nei riguardi dei rappresentanti o degli operatori delle associazioni che si occupano di diritti dei migranti”.
Ma non ci bastano risposte e ragioni di circostanza di fronte alle continue violazioni dei diritti umani che l’approccio hotspot consente, anzi produce. Da parte nostra come operatori ed osservatori attenti delle dinamiche migratorie, non solo continueremo a pretendere chiarezza e trasparenza rispetto alla gestione e all’accesso mancato a centri di questo tipo. Di più: pretendiamo – qui ed ora – che luoghi che si configurano esclusivamente per essere di contrazione del diritto d’asilo (così come riconosciuto dalla Convenzione di Ginevra) e di trattenimento illegittimo, debbano essere assolutamente chiusi. Perché, come ci ha insegnato Alex Langer, nessuno potrà far finta di abitare su di un’ isola.
Post Scriptum: il presente documento redatto e firmato da Associazione Babele, Associazione Ohana, Campagna Welcome Taranto, Campagna lasciateCIEntrare si apre alla sottoscrizione di quanti, singoli, ed organizzazioni, ritengano doveroso e imprescindibile il rispetto di diritti umani fondamentali garantiti dal nostro ordinamento costituzionale e da diverse convenzioni internazionali.