Uno degli ultimi messaggi di solidarietà è arrivato pochi giorni fa da oltre mille chilometri di distanza: «Massima vicinanza a chi ha tentato di riqualificare una fabbrica destinata alla chiusura creando una Cittadella dell’altra economia che oggi qualcuno vuole bloccare». Parole pronunciate a Cinisi da Giovanni Impastato, fratello di Peppino, durante un incontro pubblico intitolato «disobbedire non è reato».
IMPASTATO HA ABBRACCIATO e salutato uno degli operai della RiMaflow sceso a Cinisi a raccontare la storia di questa fabbrica di Trezzano sul Naviglio, 10 Km in linea d’aria dal Duomo di Milano, che da sei anni è diventata la principale esperienza di fabbrica recuperata in Italia, un villaggio solidale dove la crisi ha cambiato verso grazie alla lotta degli operai diventando nuova opportunità di lavoro, socialità e integrazione. Ora però tutto questo rischia di finire, pende sulla RiMaflow lo sgombero annunciato per il 28 novembre, uno sgombero che al danno unisce la beffa.
UN’ESPERIENZA SOLIDALE nata contro la speculazione è finita in mezzo – letteralmente – ad un’inchiesta per traffico di rifiuti e ora la proprietà dei capannoni, la banca Unicredit, ha deciso di sfrattare i 120 lavoratori e le decine di soggetti che hanno trovato casa all’interno di quei capannoni. Quella della RiMaflow è una storia che getta i semi attorno al 2005, quando quei capannoni si chiamavano solo Maflow.
Era una fabbrica che impiegava 350 lavoratori e che produceva tubi per condizionatori e auto. Una delle tante aziende dell’hinterland di Milano che stavano scegliendo di lasciare questo Paese alla ricerca di manodopera a prezzi più bassi. La Maflow in quegli anni inizia a trasferire parti della produzione all’estero, mette in cassa integrazione i dipendenti, sposta i macchinari più importanti in Polonia, perde le principali commesse, come quella con la BMW.
UNA CASCATA DI EVENTI negativi che portano i lavoratori nel 2009 ad intraprendere una dura lotta fino all’occupazione dei capannoni. Non vogliono che i cancelli si chiudano e propongono soluzioni alternative. Tra loro c’è un sindacalista della Cub particolarmente testardo, Massimo Lettieri.
Chiede di incontrare il liquidatore, guardare la situazione reale dell’azienda, parlarsi, cercare insieme un nuovo investitore. Insomma, dare un futuro all’azienda e a 350 persone. I nuovi compratori polacchi vogliono tenere solo i lavoratori non iscritti al sindacato e nell’assenza di progettualità lentamente la Maflow muore. Picchetti, manifestazioni e incontri in Prefettura a Milano non impediscono la chiusura definitiva a dicembre 2012.
A QUEL PUNTO UN GRUPPO di operai decide che non si può tornare a casa così. «Facciamo come in Argentina, lavoriamo senza padroni» propone qualcuno. È l’anno del «We are the 99%», nasce Occupy Maflow che presto diventerà RiMaflow: fabbrica recuperata. Dalla produzione di tubi per auto si passa al riuso e riciclo di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
La Cittadella dell’altra economia prende forma. Nasce la cooperativa il cui presidente è quel sindacalista testardo, Massimo Lettieri, che in quegli anni non si era mai arreso a chi aveva dichiarato fallimento portando il bene materiale più prezioso per un’azienda, i macchinari, altrove. Alla cooperativa poi negli anni si affiancano decine di altri soggetti tra falegnami, tappezzieri, artigiani che danno vita alla Casa del Mutuo Soccorso.
I SOCI DELLA CASA attraverso il versamento di una quota annuale possono operare all’interno della Cittadella. Si costruisce quella che diventerà la rete nazionale «Fuorimercato». RiMaflow aderisce alla rete di Communia, ha delle sorelle a Milano nello spazio sociale RiMake, collabora con Libera, si occupa di antimafia sociale in un territorio, il sud Milano, pesantemente infiltrato dalla ’ndrangheta. Anche Caritas Ambrosiana e Casa della Carità sostengono questa esperienza, così come il parroco di Trezzano, Don Franco, sempre al fianco dei lavoratori nei momenti difficili come in quelli gioiosi: sarà proprio Don Franco a sposare Massimo, il sindacalista testardo, e Anna.
Una grande festa in uno dei beni confiscati alle mafie nell’hinterland sud di Milano, la Masseria di Cisliano. Dalla collaborazione con gli Archivi della Resistenza di Fosdinovo nasce l’Amaro Partigiano, già un classico del Natale degli antifascisti. Per questi lavoratori la sfida più difficile è sempre stata quella di uscire dall’illegalità iniziale, l’occupazione della fabbrica, e regolarizzare le attività. Tenendo bene in mente una cosa: si fa tutto per il bene comune, mai per il profitto privato.
GLI SFORZI PER REGOLARIZZARSI crollano la mattina del 26 luglio 2018 quando nove persone vengono arrestate per traffico illecito di rifiuti. Tra loro c’è anche il sindacalista testardo, Massimo Lettieri, presidente della cooperativa. Uno dei capannoni sequestrati si trova all’interno della cittadella della RiMaflow, Massimo si ritrova accusato di «associazione per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti».
PER LUI SCATTA LA MISURA cautelare in carcere, ci resterà quattro mesi. «Con le ditte che ci hanno conferito macchinari e materiali con regolari documenti di trasporto, alcune delle quali figurano tra quelle indagate, non abbiamo nulla a che fare per qualsiasi altra loro attività» scrivono i lavoratori a poche ore dall’arresto.
Al centro dell’inchiesta della procura di Milano finisce il progetto sulla lavorazione di scarti di produzione di carta da parati. «Siamo certi di poter dimostrare la nostra estraneità a questa vicenda e di poterne uscire appena inizierà il processo» ha detto più volte Gigi Malabarba, sindacalista, già parlamentare con Rifondazione Comunista che negli della lotta contro la chiusura della Maflow conobbe Massimo Lettieri e non lo mollò più.
«Se di Massimo si volesse sintetizzare la figura è proprio l’emblema vivente della lotta contro ciò per cui è stato arrestato». Qualche giorno fa Massimo e Gigi sono stati ospiti di Claudio Jampaglia a Radio Popolare, Malabarba in studio, Lettieri al telefono dagli arresti domiciliari. «Ormai sono 10 anni di lotta» ha detto Massimo un po’ emozionato al telefono. «Una lotta necessaria, il capitalismo ha preso il sopravvento sulle persone. Ora sono stato anche in galera, ho visto gli ultimi degli ultimi, conosco gli operai che perdono il lavoro, ci sono una marea di persone che non hanno voce. L’unica opportunità che abbiamo è organizzare esperienze positive che diano voce a queste persone». Tutto questo dal 28 novembre potrebbe non esistere più. O almeno non a Trezzano, in quella Cittadella autogestita senza padroni.
da il manifesto