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Rimini: Fogli di via e avvisi orali contro il movimento

Fogli di via e avvisi orali; sono questi i provvedimenti restrittivi e repressivi adottati dalla Questura di Rimini contro i promotori dell’azione del 4 gennaio 2012. Quando e’ stato presentato alla città’ un progetto ambizioso, nato dentro il percorso di OccupyRimini e che ha visto il coinvolgimento di tantissime soggettività cittadine e regionali nelle settimane precedenti e successive. Abbiamo pensato ad un nuovo percorso per la rivendicazione di spazi e luoghi da sottrarre alla rendita e speculazione edilizia che mettano al centro i bisogni delle persone in un’epoca in cui la crisi e le conseguenti misure attuate dal governo si muovono sulla scia dell’iniquità e dei diktat della dittatura finanziaria. Un nuovo laboratorio sociale cittadino, dopo l’esperienza del Laboratorio sociale Paz, che a partire proprio dalle suggestioni delle nuove forme di costruzione di un’alternativa che i movimenti contro la dittatura finanziaria in tutto il pianeta e anche in Italia – come non dimenticare quanto sta avvenendo in Val di Susa o in Fiat con la cacciata della Fiom – stanno mettendo in campo.

Lo spazio in cui si è svolta la giornata del 4 gennaio è uno stabile abbandonato da anni, di proprietà comunale, ma affidato alla (mala)gestione dell’Amir spa, società partecipata comunale, la quale ha sottoposto l’edificio al meccanismo di finanziarizzazione dei mutui per appianare il debito societario della stessa. Beni comuni – cioè dell’intera collettività – vengono svenduti per affari privati o di élite. Durante quella giornata – nonostante la trattativa iniziata con la presenza di un assessore della giunta comunale di Rimini (trattativa tuttora in corso) – la Digos ha eseguito lo sgombero coatto, che non ha lasciato alcuno spazio alle iniziative che erano state programmate come ad esempio l’assemblea pubblica cittadina del pomeriggio.
La Digos ha deciso di gestire manu militari le istanze politiche e sociali presentate pubblicamente e pacificamente durante la conferenza stampa della mattina, impedendo la trattativa e il dialogo con l’amministrazione comunale. Alle forze politiche del territorio e alle tante persone accorse è stato impedito -attraverso un ingente schieramento di celere- di avere accesso alla struttura.
Sono seguiti poi fotosegnalamenti e schedatura dei presenti usciti spontaneamente dallo stabile dopo aver deciso in assemblea le modalità intelligenti per sottrarsi alla trappola/teorema che la Digos aveva creato. Nelle settimane successive ci sono state intimidazioni e abusi di potere – in particolar modo a un’attivista – attraverso telefonate presso le abitazioni private dei genitori. Appare chiaro come i dispositivi di disciplinamento utilizzati dalla Digos locale e utilizzati normalmente per la criminalità organizzata abbiano completamente sostituito lo spazio democratico del confronto davanti ad istanze sociali sollevate da tanti e tante nella città di Rimini.
L’avvio della procedura dei “fogli di via” ai compagni delle altre città della regione e gli “avvisi orali” ad alcuni attivisti riminesi possono sembrare -apparentemente- niente di particolarmente nuovo e originale, la realtà è differente e come tale va letta per comprendere la gravità di questi misure. Si tratta, infatti, di provvedimenti amministrativi che prescindono da una condanna, firmati dal Questore senza l’autorizzazione di un Tribunale, ed emessi sulla base di un giudizio di probabilità, ovvero di una presunta pericolosità sociale. Stiamo parlando di un vero e proprio processo alle intenzioni che ha il chiaro obiettivo di produrre un rafforzamento della blindatura delle “zone rosse” non più strade o piazze ma un’intera città: Rimini. E’ così che si arriva addirittura a parlare di “pericolosità sociale” in un’iniziativa pubblica e pacifica svolta senza alcuna tensione.

Appare chiaro il meccanismo repressivo attuato da questi strumenti di controllo sociale. Meccanismi utilizzati e voluti dalla Digos che sostituiscono la politica e l’incapacità della stessa – oramai schiava dei patti di stabilità e dei diktat della finanza – di dare risposte reali e concrete alle richieste della popolazione, soprattutto in tempi di crisi e tagli alla spesa pubblica.
Si vuole creare un precedente pesantissimo non solo per la libertà di movimento ma per l’agibilità di forme di dissenso, di cooperazione dal basso nella conquista di nuovi spazi di democrazia. Un altro giro di vite che limita il diritto di manifestare e che avviene – guarda caso – dopo le misure pesantissime contro il movimento No Tav. E’ inserito, inoltre in un quadro europeo, in cui il piano di legalità formale viene agito attraverso le manovre finanziarie e coincide sempre più con i diktat della Bce e del Fmi, svuotando di fatto la sovranità popolare nella produzione del diritto ed espropriando il ruolo delle comunità nelle decisioni che le riguardano. Quando si dissente, quando si cerca di produrre nei luoghi della crisi che siano le fabbriche, le scuole, le università, le piazze, le valli del nostro paese un’alternativa a questo modello economico la risposta è degli rappresentata dagli uomini in assetto antisommossa, dai manganelli, della repressione, delle misure preventive o cautelari.
Il messaggio è chiaro: “ragazzi restate a casa vostra, qui si prendono denunce, misure cautelari o si va in galera per niente, è meglio che non vi immischiate”.
La questione si gioca qui. Ed è qui tutta la sua gravità. Dietro la facciata tecnico-buonista di questo governo e delle Prefetture locali si lavora spostando in avanti i limiti dell’uso delle repressione poliziesca e della misure preventive nei confronti delle lotte sociali, anche di fronte ad azioni agite per conquistare nuovi diritti e liberare spazi sociali per la collettività. Chi si occupa concretamente e fattivamente, di rispondere alle istanze delle comunità, sono i “tutori” della sicurezza e dell’ordine sociale.
Di certo, però, si mantiene inalterato – anche grazie alla produzione mainstream – il salvacondotto che garantisce l’impunità alle forze dell’ordine e le omissioni gravi degli stessi quando le azioni riguardano soggetti appartenenti all’estrema destra, come accaduto la scorsa estate a Rimini dopo il pestaggio di un giovane tunisino.

Quanto sta avvenendo a Rimini non è una questione che riguarda solo i compagni della Regione Emilia Romagna, ma è qualcosa che riguarda tutti e tutte noi. La sfida che abbiamo davanti è, quindi, una possibilità comune, quella per la libertà di movimento, quella di impedire che si crei un precedente che metta a repentaglio la cooperazione dal basso, il mutualismo, la solidarietà come percorsi concreti per conquistare insieme nuova libertà per tutti e per tutte. Freedoom or Death!
Per queste ragioni lanciamo un presidio pubblico per Sabato 24 marzo alle ore 15.30 in Corso d’Augusto sotto la Questura di Rimini.

Gli attivisti e le attiviste di:

OccupyRimini – Lab.Paz Project – ArtLab Parma – Casa Cantoniera Parma – Tpo Bologna – Lab.Aq 16 Reggio Emilia

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