La procura ungherese ha formalizzato una richiesta a undici anni di carcere per Ilaria Salis di fronte a lesioni personali lievissime. Qualche graffio o poco più
di Patrizio Gonnella da il manifesto
L’arretramento dello Stato di diritto ungherese è da ieri sotto gli occhi di tutti. E a tutti è sbattuto in faccia con quelle immagini di Ilaria Salis ammanettata mani e piedi tra due poliziotti incappucciati e in tuta mimetica. È la più esplicita rappresentazione di sé che potesse fare la giustizia penale ai tempi di Viktor Orbàn. È una iconografia poliziesca da regime. Una fotografia che le autorità ungheresi, per nulla preoccupate della presenza di osservatori esterni e di telecamere, hanno voluto ostentare al mondo per raccontare ciò che a loro dire dovrebbe incutere la giustizia penale: terrore, sfiducia, umiliazione, vergogna.
Ciò accade in un paese dove il potere politico ha cercato negli ultimi anni di minare l’indipendenza della magistratura e dove si è aperta la possibilità per il procuratore generale di interferire nell’autonomia decisionale dei procuratori territoriali. Il rapporto dell’Unione europea sullo stato di diritto in Ungheria del 2022 aveva evidenziato come fosse cambiata l’architettura della magistratura inquirente prevedendo tra magistrati vincoli di subordinazione che odorano di controllo, influenza, ingerenza. Nella vicenda giudiziaria di Ilaria Salis si percepisce qualcosa di così sproporzionato rispetto ai fatti realmente accaduti da evocare l’assenza di un giudizio equilibrato e indipendente.
La procura ha formalizzato una richiesta a undici anni di carcere di fronte a lesioni personali lievissime. Qualche graffio o poco più. Pene così alte il codice italiano Rocco di epoca fascista le ha previste nel caso di lesioni consistenti in malattie inguaribili, perdita di un senso o di un arto.
Ilaria Salis è da quasi un anno in custodia cautelare in una delle prigioni di Budapest. Ha finora dovuto sopportare condizioni detentive durissime, sia per la materialità delle stesse che per il regime a lei imposto. Un regime, di parziale isolamento, che a noi si riserva a persone di elevatissimo profilo criminale. In un recente documento presentato dall’Hungarian Helsinky Comittee al Comitato europeo per la prevenzione della tortura, in occasione della visita ispettiva del marzo 2023 nelle prigioni magiare di cui ancora non è pubblicato il relativo rapporto, si denuncia come le organizzazioni della società civile non abbiano più possibilità di accedere ai luoghi di detenzione.
L’amministrazione penitenziaria ungherese ha rescisso unilateralmente gli accordi di cooperazione con l’Hungarian Helsinky Committee. Così le prigioni di quel paese sono tornate all’opacità del regime precedente. Ugualmente sono stati indeboliti tutti i meccanismi istituzionali di controllo delle carceri e delle stazioni di polizia. Di fronte a un caso del genere è obbligo morale e giuridico delle autorità del nostro paese fare tutto il possibile per sottrarre Ilaria Salis a quelle condizioni.
Vanno offerte tutte le rassicurazioni utili a riportare Ilaria in Italia in esecuzione di una misura cautelare non detentiva.
Ci dispiace che il ministro Nordio, durante il question time al senato sul caso Salis, abbia affermato che l’Italia non avrebbe una buona reputazione nel campo della cooperazione giudiziaria in quanto, dopo avere ottenuto l’estradizione di Silvia Baraldini (anno 1999), l’avrebbe poi addirittura bene accolta all’aeroporto e le avrebbe fatto scontare una pena solo parziale. Beh, di quella stagione e di quella storia ricordo i dettagli. Anche lì vi era una pena sproporzionata, assurda: quarantatré anni per un delitto senza spargimento di sangue. Una pena eseguita contro una persona che non stava bene.
Fortunatamente in Italia alcuni magistrati sensibili al diritto e ai diritti umani ridussero le afflizioni ingiustamente subite da Silvia Baraldini. Dunque, di quella storia e del comportamento delle autorità politiche e giudiziarie di allora il ministro della giustizia dovrebbe essere fiero, da garantista quale si definisce. Infine, qualche giorno fa il ministro ha negato l’estradizione in Argentina del sacerdote Franco Reverberi accusato di tortura e omicidio durante il regime fascista di Videla. Ha dichiarato che lo ha fatto in quanto attento alle condizioni di salute del presunto torturatore.
Ora gli chiediamo di preoccuparsi delle condizioni di salute psico-fisiche di Ilaria Salis, pregiudicate da una carcerazione inumana e sproporzionata.
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