«Il rischio di tortura è concreto: Anan Yaeesh deve restare in Italia»
- febbraio 29, 2024
- in misure repressive
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Il caso del 37enne palestinese, in carcere dal 29 gennaio dopo la richiesta di estradizione di Israele. Il 12 marzo camera di consiglio. L’avvocato Flavio Rossi Albertini: «Protezione speciale e sentenza della Cassazione dicono che è in pericolo. Non esistono precedenti di palestinesi estradati dall’Italia in Israele. Se sarà negata, difficilmente il governo accoglierà di nuovo una simile richiesta»
di Chiara Cruciati da il manifesto
Da un mese esatto Anan Yaeesh è privato della libertà in Italia, senza accuse né processo. Su di lui pesa una richiesta di estradizione da parte di Israele, accolta dal ministro della giustizia Nordio e tradotta nella misura cautelare più restrittiva: la detenzione.
ANAN YAEESH è un cittadino palestinese di 37 anni, un passato da prigioniero politico negli anni della Seconda Intifada e una vita in Europa iniziata nel 2013. Due giorni fa il suo team difensivo ha presentato alla Corte d’Appello de L’Aquila, la città in cui risiede e dove è stato arrestato, un’istanza di revoca della misura cautelare.
Obiettivo, tirarlo fuori. «La Corte ha fissato una camera di consiglio il 12 marzo – ci spiega l’avvocato Flavio Rossi Albertini – In quella sede discuteremo l’istanza che ho presentato. La Corte probabilmente si riserva questo tempo per studiare le questioni presentate». Questioni che, spiega Albertini, da sole bastano a far cadere qualsiasi richiesta di estradizione: il rischio concreto ed effettivo che Yaeesh venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e alla tortura e la «clausola di non discriminazione» a fronte del crimine di apartheid di cui è accusato lo Stato di Israele da diverse ong internazionali.
Nel caso in questione la clausola si traduce nella persistenza nei Territori palestinesi occupati, fin dal 1967, di un doppio standard giuridico per palestinesi e israeliani, con i primi sottoposti a regime militare e non civile; nella deportazione dei prigionieri palestinesi in territorio israeliano; e nel rischio di essere sottoposti a detenzione amministrativa, senza accuse né processo. A dare forza all’istanza però, insiste Albertini, è il rischio di tortura e di trattamenti disumani.
«Citiamo rapporti delle Nazioni unite – spiega – e rapporti di organizzazioni non governative, dai più recenti, successivi al 7 ottobre, ai più lontani nel tempo. Non solo: ad Anan l’Italia ha riconosciuto la protezione speciale proprio sulla base dei rischi che correrebbe se rientrasse nei Territori occupati palestinesi». Lo ha fatto la Commissione territoriale di Foggia, sulla base del principio di non refoulement: permesso di soggiorno per protezione speciale a causa del rischio di «ritorsioni e/o maltrattamenti aventi intensità persecutoria da parte di Israele».
E POI C’È la Cassazione che nel 2020, accogliendo la richiesta israeliana di estradizione per un proprio cittadino, l’ha giustificata proprio nel suo «non essere palestinese» e dunque non a rischio di subire condizioni di detenzione che violano il diritto internazionale.
«Corte e Commissione dicono la stessa cosa – continua Albertini – Un palestinese non può essere consegnato: sarebbe chiaramente esposto a ritorsioni, maltrattamenti e violenze. In base al Codice di procedura penale, alla Convenzione europea di estradizione e alle decisioni della Cedu a cui l’Italia aderisce, tale principio non può essere mai derogato. In tali condizioni un soggetto, qualsiasi sia l’accusa, non è estradabile».
L’istanza ripercorre una storia nota: dettaglia le forme di tortura sui prigionieri politici palestinesi, l’impennata di arresti dal 7 ottobre ma anche la persecuzione strutturale nei decenni precedenti. A oggi sono 9mila i palestinesi detenuti per motivi politici, 6.220 quelli arrestati negli ultimi cinque mesi. Si calcola che dal 1967 almeno un milione di palestinesi sia stato arrestato da Israele per ragioni politiche. Non c’è famiglia che non conti almeno un membro passato per una cella, almeno una volta nella vita.
DA ISRAELE per ora non giungono notizie, o almeno la difesa di Yaeesh non ne ha ricevuto notifica. Dalla richiesta di estradizione mossa a Nordio, le autorità israeliane hanno 40 giorni di tempo per dettagliarne le ragioni. Scadono il 9 marzo. Al momento, le poche righe giunte sulla scrivania del ministro parlano di finanziamento, almeno uno, alla Brigata Tulkarem, gruppo palestinese attivo nella città cisgiordana e nel suo campo profughi a difesa della popolazione contro i raid quasi quotidiani dell’esercito israeliano.
«Non sappiamo se il ministro abbia ricevuto qualcosa. Potremo verificare se i 40 giorni sono stati rispettati quando avremo modo di accedere al fascicolo. È un lasso di tempo a pena di decadenza, potremmo fare istanza per dichiararne l’inefficacia se venisse violato».
La sensazione che emerge è che quello di Anan sia un caso politico prima che giuridico: «Non esistono nelle banche dati dei precedenti di palestinesi estradati dall’Italia, nonostante la stretta collaborazione con Israele – conclude Albertini – Spero che Yaeesh non sia il primo perché ne seguirebbero altri. Se invece l’estradizione sarà negata, si determinerà un precedente positivo. Difficilmente Israele muoverà di nuovo una richiesta del genere o un ministro della giustizia deciderà di accoglierla».
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