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Roma 16 gennaio 1943: Il Gobbo del Quarticciolo

Il 10 settembre del ’43, il Gobbo affrontò un manipolo di tedeschi in perlustrazione. Partigiano a suo modo: mirava ad uccidere e infliggere castighi. Il mito del Gobbo, poi, conobbe la sua fama soprattutto durante i primi mesi del 1944, quando si fece notare per aver disarmato due avanguardisti che lo minacciavano con un pugnale e successivamente quando comparì in una foto dell’epoca che lo immortalava a Porta San Paolo con il grembiule da garzone, mestiere che faceva in una farmacia, con ancora i calzoni corti, mentre combatteva contro l’occupazione nazista, al riparo dietro ad un carro armato. Italia libera, l’organo del Partito d’Azione cosi lo descrisse: “E’ il più leggendario, il popolo ne racconta le gesta fremendo…”.

Per ben due mesi infatti, tedeschi e fascisti rinunciarono addirittura ad entrare nei quartieri Centocelle e Quarticciolo a causa delle fulminee azioni dei giovani resistenti della zona guidati da Giuseppe Albano (a volte con l’aiuto dei militanti di formazioni politiche divenute storicamente famose per la lotta partigiana, come Bandiera Rossa, o le brigate Garibaldi).

Sicuramente fu la sua banda la prima a reagire alla rappresaglia delle Ardeatine. Il 10 Aprile 44, infatti, a pochi giorni dalla strage, giustiziò tre nazisti nel quartiere Quadraro, in via Calpurnio Fiamma, e la reazione tedesca fu spietata: furono rastrellati 700 uomini del quartiere e deportati in Germania, ove ne morirono circa la metà.

Il 17 Aprile anche Albano venne arrestato, probabilmente in seguito ad una spiata, mentre si rifugiava, insieme ad un folto gruppo di compagni di “Bandiera Rossa” in un’azienda. Il fatto di essere stato sorpreso insieme a compagni di un gruppo diverso dal suo e lo stesso ridicolo ordine tedesco di arrestare tutti i gobbi di Roma – Via Tasso e Regina Coeli erano pieni di poveracci con le spalle curve – fece sì che Albano non fosse riconosciuto come il famoso partigiano e non fosse quindi eseguita la condanna a morte che era stata promulgata nei suoi confronti. Questo non impedì però che in Via Tasso fosse ferocemente torturato.

Il 4 Giugno, con gli americani alle porte di Roma e i tedeschi in fuga, la popolazione assaltò Via Tasso e liberò i detenuti, tra cui il “gobbo”. In seguito, nella Roma liberata, il Gobbo e i suoi parteciparono alla cattura di molti fascisti, per alcuni giorni addirittura in collaborazione con i poliziotti della Questura, divenuti per incanto tutti “antifascisti”. Ma, come altri partigiani, fu ben presto deluso dalla non volontà del nuovo governo di “epurare” i fascisti ed anzi di cominciare a perseguitare i compagni. La banda si dedicherà quindi ad azioni di esproprio contro gli arricchiti della “borsa nera”, distribuendo vettovaglie e generi di prima necessità alla popolazione affamata. In una di queste azioni rimarrà fortuitamente ucciso un militare inglese.

Giuseppe Albano strinse anche contatti con le varie anime della Resistenza, senza però dipendere mai da alcun partito o organizzazione politica. Fu così che per ordine di Pietro Nenni (PSI), si infiltrò nel gruppo “Unione Proletaria”. Questo gruppo, con sede in Via Fornovo 12, nonostante il nome “di sinistra” e nonostante che fosse diretto da un ex appartenente di “Bandiera Rossa” – Umberto Salvarezza – in realtà aveva aggregato molti ex fascisti allo scopo di svolgere, d’accordo con ambienti monarchici (si dice fosse finanziato dallo stesso Umberto II, futuro sovrano), opera di provocazione contro le forze di sinistra.

Il 16 Gennaio 1945 , mentre usciva dalla sede dell’Unione Proletaria in Via Fornovo, il Gobbo venne ucciso con sei colpi di pistola, di cui uno alla testa. La versione ufficiale è che morì in un conflitto a fuoco con i carabinieri che lo ricercavano per la morte del militare inglese. Una successiva “controinchiesta”, condotta da Franco Napoli, vera testa pensante della “banda del Quarticciolo”, stabilì con certezza che Albano fu ucciso a tradimento da tale Giorgio Arcadipane, già spia dei tedeschi tra i detenuti di Regina Coeli, aggregatosi tra i provocatori dell’Unione Proletaria.

La provocazione fu ancora più chiara due giorni dopo, quando centinaia di poliziotti e carabinieri circondarono il Quarticciolo, con la scusa di arrestare i complici del Gobbo.

A nessuno comunque dei partigiani della banda e nemmeno ai deportati del Quadraro sarà mai riconosciuta la pensione o altro riconoscimento dovuto per legge ai combattenti della Resistenza.

Come sempre dunque, ci accorgiamo che anche il semplice urtare e provocare poteri in via di assestamento, come quelli che andavano fondando la nuova Repubblica italiana, significa schierarsi contro un sistema che è democratico solo nelle parole, ma che nei fatti si è sempre dimostrato nemico di chi fa della lotta il proprio motivo di vita.

Spiega Bruno Gemelli, autore del saggio “Il Gobbo del Quarticciolo, vita e morte del calabrese Giuseppe Albano”: “E’ stato una vittima della povertà e della crudeltà calabrese, uno dei tanti caduti nella lotta per la vita. Se la verità sciogliesse mistero e ambiguità l’avremmo già dimenticato”. (da InfoAut)

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