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Roma: Morte di Stefano Cucchi in carcere, aperta un’inchiesta

«Ho avuto modo di vedere le foto della salma di Stefano Cucchi, è difficile trovare le parole per dire lo strazio di quel corpo, che rivela una agonia sofferta e tormentata». E’ intenzionato ad andare fino in fondo Luigi Manconi, presidente dell’associazione A Buon Diritto, che insieme ai familiari di Stefano, ha parlato oggi in conferenza stampa per chiedere di fare luce sulla morte del 31enne romano, fermato giovedì 16 ottobre nel parco degli Acquedotti perché in possesso di venti grammi di sostanze stupefacenti, e morto nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini giovedì 22. Otto interminabili giorni durante i quali la famiglia ha tentato invano di vedere il ragazzo e di parlare con i medici che lo avevano in cura. Per sollecitare l’opinione pubblica, il padre e la sorella Ilaria hanno distribuito le foto del corpo di Stefano scattate dall’agenzia funebre dopo l’autopsia. Si vede così un corpo estremamente esile [dai 43 chili del fermo è passato ai 37], con il volto devastato, l’occhio destro rientrato nell’orbita, l’arcata sopraccigliare sinistra gonfia e la mascella destra con un solco verticale, segno di una frattura. Al momento è stata aperta un’inchiesta d’ufficio. Il legale della famiglia, Fabio Anselmo, spiega che «l’atto di morte è stato acquisito dal Pm, per cui non abbiamo in mano nulla se non queste foto e un appunto del nostro medico legale. Aspettiamo comunque gli esiti dell’esame istologico». L’avvocato tiene a precisare che «noi non accusiamo nessuno, ma una cosa è certa: Stefano è uscito di casa in perfette condizioni di salute e non è più tornato. Chiediamo che non ci sia un valzer di spiegazioni frettolose e spesso in contraddizione tra loro e di risparmiare alla famiglia un processo». Il prossimo passo sarà la costituzione di un pool di medici esperti in grado di «vagliare criticamente il poco materiale a disposizione». La Procura della Repubblica ha infatti disposto una consulenza per accertare le cause del decesso di Stefano: gli esperti, nominati dagli uffici di piazzale Clodio, dovranno capire cosa abbia provocato le ecchimosi riscontrate in sede di esame autoptico sul corpo del giovane. Per far luce il magistrato ha disposto anche l’acquisizione delle cartelle cliniche, la trascrizione del verbale d’udienza di convalida, nonché la registrazione della stessa udienza. Secondo le ricostruzioni Stefano fu arrestato nella notte del 16 ottobre dai carabinieri nel parco Appio Claudio in quanto trovato in possesso di sostanza stupefacente, per lo più marijuana. Fu poi visitato da un medico del 118 chiamato dai militari perché il giovane diceva di sentirsi male. Stando al referto il dottore non notò anomalie, né ecchimosi, riscontrate invece dopo l’arresto. Poi l’udienza per direttissima, dopo la notte nella camera di sicurezza di una caserma dell’Arma, durante la quale Stefano fu visitato dal medico del presidio del tribunale che non riscontrò nulla che potesse mettere in pericolo la sua vita. Il ragazzo fu quindi consegnato alla polizia penitenziaria e portato a Regina Coeli, poi il trasferimento all’ospedale Pertini e la morte il 22 ottobre. La procura ha quindi deciso di aprire un fascicolo, un «modello 45» ossia senza indagati e senza ipotesi di reato, per fare luce su una situazione che sembrava poco chiara, benché non fosse stata presentata nessuna denuncia. Anche il mondo della politica farà la sua parte, almeno così hanno promesso Emma Bonino, Flavia Perina, Renato Farina e Marco Perduca, presenti oggi alla conferenza stampa. Marco Perduca, Senatore Radicale, ha annunciato che «come commissione parlamentare sui diritti umani prenderemo in considerazione una missione ispettiva al reparto detentivo del Pertini». Farina, che ha visitato il nosocomio, ha riferito di «una struttura peggio del carcere», mentre l’assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri, ha annunciato l’avvio di un’inchiesta amministrativa per verificare eventuali responsabilità dei medici del reparto detentivo dell’ospedale Pertini «poiché la sanità penitenziaria è ora competenza della Regione». Dal canto suo il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, dopo aver ascoltato la riposta del ministro della giustizia Angelino Alfano all’interrogazione presentata dai parlamentari Bernardini e Giachetti, presenterà un esposto alla Procura della Repubblica di Roma. Dalle verifiche condotte dall’Ufficio del Garante presso le autorità sanitarie e quelle penitenziarie risulterebbero, in particolare, due punti definiti «importanti»: il pomeriggio precedente alla morte, i medici dell’ospedale Pertini avrebbero avvisato il magistrato, con una relazione allegata alla cartella clinica, delle difficoltà a gestire le condizioni del paziente, che avrebbe tenuto un atteggiamento di rifiuto verso i trattamenti terapeutici. Inoltre, il personale sanitario non sarebbe mai venuto a conoscenza, se non dopo la morte, della richiesta di colloquio dei familiari, per altro ritenuto dai medici fondamentale in ogni caso. «Ora – ha concluso Marroni – attendiamo l’esito degli esami autoptici per comprendere cosa è esattamente successo a questo ragazzo. Al di là tutto, io credo che aver impedito ai genitori di vedere il figlio per giorni è un fatto di una gravità estrema, così come è grave, se vera, la circostanza riferita dai parlamentari secondo cui al perito della famiglia sarebbe stato impedito di assistere all’autopsia». «E’ inconfutabile – ha detto Manconi – che il corpo di Stefano Cucchi, gracile e minuto, abbia subito numerose e gravi offese e abbia riportato lesioni e traumi a partire dalla notte tra il 15 e 16 ottobre. E’ inconfutabile che Stefano Cucchi, come testimoniato dai genitori, è stato fermato dai carabinieri quando il suo stato di salute era assolutamente normale ma già dopo quattordici ore e mezza il medico dell’ambulatorio del palazzo di Giustizia e successivamente quello del carcere di Regina Coeli, riscontravano lesioni ed ecchimosi intorno alle palpebre: quando, poco dopo, è stato visitato al Fatebenefratelli, gli è stata riscontrata la rottura di alcune vertebre con una prognosi di 25 giorni. Una volta giunto nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini – ha detto ancora Manconi – Stefano non ha ricevuto assistenza e cure adeguate né tantomeno sono stati avvertiti i familiari ai quali non è stato nemmeno possibile incontrare i sanitari o ricevere informazioni. E’ inconfutabile che l’esame autoptico abbia rivelato la presenza di sangue nello stomaco e nell’uretra, ed è inconfutabile, infine, che un cittadino, fermato per un reato non grave, entrato con le proprie gambe in una caserma dei carabinieri e passato attraverso quattro diverse strutture statuali [la camera di sicurezza, il tribunale, il carcere, il reparto detentivo di un ospedale] ne sia uscito cadavere, senza che una sola delle moltissime circostanze oscure o controverse di questo percorso che lo ha portato alla morte sia stata ancora chiarita».