Rogo a San Ferdinando di Rosarno, dove vivono i braccianti più sfruttati da padroni e caporali. Muore una migrante di trent’anni
E’ una donna la vittima dell’incendio che si è sviluppato questa notte nella tendopoli di San Ferdinando, nel reggino, aveva trent’anni e fuggiva dalla Nigeria. E’ morta dove diverse centinaia di migranti vivono stipati in baracche di legno più volte andate a fuoco. Oltre 200 le casette di fortuna bruciate nel rogo, scoppiato nella zona centrale del campo e rapidamente propagatosi. La baraccopoli, in gran parte distrutta dalle fiamme, è stata sgomberata e, a quanto annunciato dalla prefettura, i braccianti verranno temporaneamente alloggiati in una tensostruttura che sarà allestita nelle vicinanze. Ancora morti tra gli ultimi tra i gli ultimi, i più sfruttati tra gli sfruttati.
Ai lager per migranti in Libia, promossi anche dal governo italiano, corrispondono i lager interni, veri e propri ghetti la cui unica funzione è riprodurre la forza-lavoro al minimo vitale (e a volte anche al di sotto) necessario al lavoro bestiale nei campi. Dall’altro lato si alimentano razzismo e xenofobia, scaricando ancora gli effetti della crisi sociale sul caprio espiatorio perfetto.
«Stavo dormendo nella tenda accanto a quella dove è morta la ragazza, che non conoscevo. Ho sentito urlare e sono scappato». Demba, di 20 anni, del Gambia, è uno dei due feriti nell’incendio della tendopoli di San Ferdinando. Le fiamme gli hanno bruciato una mano. Medicato nell’ospedale di Polistena è già tornato nella tendopoli. «Nella fuga – racconta adesso – avevo dimenticato i documenti e mi sono bruciato la mano proprio per prenderli». I documenti sono l’unica cosa rimasta al giovane, che nell’incendio ha perso vestiti e soldi. Giunto in Italia nel 2014 a bordo di un gommone proveniente dalla Libia, Demba vive stabilmente in Basilicata ma nella stagione della raccolta si sposta tra Puglia e Calabria in cerca di lavoro nei campi. A San Ferdinando era arrivato nei mesi scorsi.
Non è il primo incendio, quello che la notte scorsa è divampato nella baraccopoli di San Ferdinando, a una manciata di km da Rosarno, località nota per lo sfruttamento dei migranti nell’agricoltura. Giusto un anno fa, il 23 gennaio del 2017, la tendopoli era stata interessata da un altro rogo. In quell’occasione ad andare in fiamme fu una sola baracca. Nell’incendio rimasero tre feriti tre uomini, uno dei quali in modo grave. E il mese prima, il 7 dicembre 2016, altri due migranti erano rimasti lievemente feriti nell’incendio della baracca in cui dormivano. Il fenomeno degli incendi è frequente perché la struttura è priva di qualsiasi servizio ed i migranti per riscaldarsi e per cucinare accendono fuochi che trovano facile esca nel materiale di cui sono fatte tende e baracche e nei loro effetti personali.
Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, è una cittadina di meno di sedicimila abitanti famosa per i suoi agrumeti e per lo spadroneggiare della ‘ndrangheta prima della rivolta del 2010. Due giovani balordi del luogo, la notte del 6 gennaio, si sono divertiti a tirare con un fucile ad aria compressa su tre immigrati ferendone uno in modo grave. Non era la prima volta. Le centinaia di immigrati che lavorano negli agrumeti che si estendono a perdita d’occhio attorno al paese, sono stati fatti oggetto molte volte di questo tipo di aggressioni, oltre che di provocazioni di ogni tipo. Questa volta i braccianti non erano nello stato d’animo adatto a chinare la testa e hanno reagito. Si sono diretti a centinaia verso Rosarno, partendo dai campi dove lavoravano e dai rifugi dove trovano abitualmente un riparo indegno di un essere umano. La collera dei lavoratori dei campi, quasi tutti africani, si è indirizzata sulle vetrine dei negozi, sulle automobili dei rosarnesi, su qualche cittadino. Quello che è successo il giorno dopo e i due ancora successivi si ritrova nelle prime pagine dei maggiori quotidiani del 9 gennaio: “Rosarno, caccia agli immigrati”, titolava, ad esempio, il Corriere della sera. Linciaggi, spari, bastonate, baracche e automobili dati alle fiamme. Fino alla pulizia etnica. Da quel 2010 non è cambiato niente: nell’ottavo anniversario, pochi giorni fa,il Corsera ha scritto così«Baracche a perdita d’occhio. Oltre 1.500 abitanti. Un mare di plastica. Sembra l’Africa, un campo profughi di sfollati. Sudan, magari Somalia. E invece no. È il ghetto di San Ferdinando, a Rosarno, una bidonville che grida scandalo. Non c’è acqua corrente, non c’è elettricità, non ci sono bagni. I bisogni si fanno all’aperto. Se piove diventa l’inferno. Per terra ci sono buche grandi come bottiglie, servono per deviare l’acqua. Intorno al ghetto c’è l’area industriale. Le strade mangiate dal degrado, voragini nell’asfalto. Scheletri di capannoni rimasti vuoti. Uomini neri si aggirano in bicicletta, digrignano i denti sulla salita. Sono tantissimi, circa 3mila, quasi tutti con regolare permesso di soggiorno. Fanno parte del panorama, così come gli aranceti, così come le bucce dei mandarini che marciscono accanto ai rifiuti».
Checchino Antonini da Popoff
Comunicato Braccianti USB San Ferdinando: Verità e giustizia per Becky Moses, uccisa a 26 anni dall’ennesimo incendio a San Ferdinando. Lunedì 29 marcia dei braccianti
Chi risponde della vita di Becky Moses, uccisa stanotte a 26 anni dal fuoco nelle baracche di San Ferdinando? Chi è che dopo riunioni su riunioni, pubbliche promesse e nomine di commissari straordinari non ha mai mosso un dito né ha voluto ascoltare le denunce e gli allarmi dell’Unione Sindacale di Base sulle terrificanti condizioni nelle quali sono costretti a vivere migliaia di braccianti per guadagnare pochi spiccioli raccogliendo arance? Quanto dovremo attendere per avere verità e giustizia?
Perché questo il Comitato lavoratori agricoli Usb chiede da sempre: verità e giustizia, fin dai tempi dell’uccisione di Sekine Traore nella stessa tendopoli di San Ferdinando. Verità e giustizia che si traducano in riscatto sociale e lavorativo dei braccianti. E invece siamo qui, sabato 27 gennaio 2018, a piangere l’ennesima vittima di una strage silenziosa che si consuma nell’indifferenza.
Becky Moses era venuta dalla Nigeria in Italia inseguendo un futuro migliore, come tante, come tanti. Qui, a San Ferdinando, la sua esistenza è stata letteralmente incenerita dalle terribili condizioni nelle quali lei e migliaia di altri migranti sono stati costretti a sopravvivere. Non sono passati nemmeno sei mesi dall’incendio che il 2 luglio aveva già devastato la tendopoli. Da allora tante promesse ma zero fatti.
Questa mattina le fonti ufficiali stanno cercando di far passare la terribile e offensiva versione che sì, la nuova baraccopoli era stata tollerata nell’interesse degli stessi migranti.
Ebbene, l’Unione Sindacale di Base, i braccianti che sotto la sua bandiera hanno deciso di organizzarsi e lottare, gridano con quanta forza possibile il loro NO alle mistificazioni di una politica, a tutti i livelli, capace solo di produrre documenti privi di effetti concreti sulla vita dei migranti. E anzi, se effetti ci sono stati, sono effetti omicidi.
Il Primo Maggio 2017 i braccianti di San Ferdinando, l’esercito della manodopera a buon mercato, hanno marciato fino a Reggio Calabria per reclamare verità e giustizia. Questa mattina gli abitanti della tendopoli scampati al fuoco si sono riuniti e hanno deciso di tornare a marciare lunedì 29 gennaio alle 9, nel nome di Becky Moses uccisa a San Ferdinando dalle logiche disumane dello sfruttamento e del razzismo. La manifestazione partirà alle 9 dalla tendopoli verso il comune di San Ferdinando, dove braccianti e migranti chiederanno un confronto con il prefetto di Reggio Calabria e con il commissario straordinario per l’area di San Ferdinando.
Usb rivolge un appello a tutte le realtà sociali e politiche territoriali affinché condividano e sostengano la marcia, perché verità e giustizia siano fatte, nel nome di Becky Moses.
Reggio Calabria 27 gennaio 2018
Unione Sindacale di Base