ROVERETO – Fermato per un rosso e arrestato per hashish, Stefano Frapporti morì in cella tre mesi fa.
- ottobre 22, 2009
- in vittime della fini-giovanardi
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Fermato per un’infrazione stradale. Potrebbe essere questo il motivo che il 21 luglio scorso ha portato all’arresto di Stefano Frapporti, detto Cabana. Una storia incredibile, la sua. Il fermo, poi l’arresto per detenzione di stupefacenti, e infine la morte per suicidio in carcere. Ma è andata davvero così? Sono molte le incongruenze, le stranezze e i lati oscuri che avvolgono la morte dei quest’uomo, che avrebbe compiuto cinquant’anni pochi giorni dopo il suo decesso. A Rovereto, dove si sono svolti i fatti, ormai da mesi è in piedi un comitato per chiedere verità e giustizia. E proprio in queste ultime settimane sono emersi nuovi particolari su quel 21 luglio, che potrebbero portare a una svolta nelle indagini condotte dal pm Fabrizio De Angelis. Ci sarebbero infatti tre testimoni. Tre persone che alle 18 del 21 luglio sostavano davanti bar Bibendum, dove è stato fermato Cabana. Secondo la loro testimonianza, a differenza di quanto riferito nel verbale dai carabinieri che hanno operato il fermo non ci sarebbe stato alcun inseguimento e nessuno avrebbe mai intimato l’alt. La scena che si è parata di fronte ai tre testimoni oculari, infatti, sarebbe ben diversa. Hanno visto una macchina civile fermarsi davanti al bar, scendere un uomo non in divisa (ma era un carabiniere) e fermare una persona che sopraggiungeva in bicicletta sul marciapiede in direzione opposta. Quella persona era Stefano, che probabilmente andava a comprare maschera e occhialini per la vacanza che lo aspettava con alcuni amici di lì a pochi giorni. Il militare in borghese lo ferma e gli rimprovera qualcosa: di essere passato con il rosso, o addirittura di avergli tagliato la strada. Auto e bicicletta, insomma, secondo quanto ascoltato dai testimoni si erano probabilmente incontrate pochi minuti prima. Ed era accaduto qualcosa. Un’infrazione stradale. Questa, dunque, sarebbe l’origine del fermo. I due carabinieri, invece, nel verbale offrono tutta un’altra versione. Si trovavano nei pressi del bar Bibendum – a poca distanza dalla caserma – in servizio di «osservazione, controllo, pedinamento» (o.c.p.) nell’ambito di un’operazione per la repressione di reati sugli stupefacenti. Vedono avvicinarsi questa persona in bicicletta e ritengono che potrebbe essere uno del giro dello spaccio. Decidono quindi di intimare l’alt ma lui continua dritto. I carabinieri allora lo inseguono per 50 metri e lo bloccano davanti al bar. Eseguono quindi un controllo (cioè una perquisizione personale) senza trovare nulla. Ma a quel punto – ancora secondo la versione dei carabinieri – è Stefano, molto confuso, che confessa di avere un po’ di fumo a casa. Scatta quindi la perquisizione domiciliare. E lì, oltre ai 30 grammi consegnati dallo stesso Stefano, dopo un’accurata perquisizione, viene trovato altro hashish. Scatta l’arresto: Stefano entra nella casa circondariale alle 22,30. Alle 23,15 viene chiuso cella. Alle 24 i secondini lo trovano impiccato con il laccio della tuta che indossava. I tre fratelli verranno avvertiti soltanto alle 10 di mattina. E ora, insieme al comitato, si fanno molte domande. Dove si trovava esattamente la macchina dei carabinieri al momento del fermo? Perché, se la perquisizione a casa è stata minuziosa, i parenti hanno trovato la casa in perfetto ordine? Le nuove testimonianze, poi, aprirebbero tutto un altro scenario. Ammesso che Stefano abbia confessato di avere dell’hashish, si può venire fermati, perquisiti, interrogati per essere passati con il rosso in bicicletta? Le indagini sono ancora in fase preliminare.
fonte: il manifesto
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