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Il rovescio della guerra. Psichiatria militare e “terapia elettrica” durante il Primo conflitto mondiale

E’ uscito  “Il rovescio della guerra. Psichiatria militare e “terapia elettrica” durante il Primo conflitto mondiale” di Marco Rossi edizioni  Malamente. Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud ha curato la prefazione che pubblichiamo

Generale, l’uomo fa di tutto.

Può volare e può uccidere.

Ma ha un difetto: può pensare.

(B. Brecht)

Continua la collaborazione con Marco Rossi, di cui da tempo apprezziamo il lavoro di indagine storica. In questa sua ricerca – avviata assieme – ricostruisce come durante la Prima guerra mondiale, quindi prima dell’invenzione dell’elettroshock, la corrente elettrica fosse stata già utilizzata sui soldati degli eserciti europei «per il trattamento delle nevrosi di guerra, oltre che per smascherare presunti simulatori». Siamo quindi di fronte alla prima affermazione, sul piano psichiatrico, della corrente elettrica come strumento di “cura” e disciplinamento. Durante il Primo conflitto mondiale migliaia di persone furono internate nei manicomi. La psichiatria militare rifiutava però di riconoscere nella guerra la causa delle psiconevrosi dei soldati, che erano considerate effetti collaterali che si manifestavano in individui “predisposti”.

Al periodo bellico e all’uso della corrente faradica sui soldati, seguiranno gli anni della sperimentazione di nuove terapie da shock consistenti nell’infliggere volontariamente un trauma, ritenendo che il controllo e la gestione dello shock così provocato potesse portare a risultati terapeutici. Nei manicomi, nelle cliniche psichiatriche universitarie e religiose, così come successivamente nei lager, si perfeziona l’induzione di stati di incoscienza con l’utilizzo delle più svariate sostanze e procedure. Dal 1917 al 1935 si introducono in psichiatria la malarioterapia, la «cura del sonno a permanenza» tramite iniezione ciclica di barbiturici, lo shock insulinico e la terapia convulsiva mediante iniezioni di Cardiazol. Ma è nel 1938 che la corrente elettrica si insedia ufficialmente tra gli strumenti di “cura” psichiatrici; a Roma, Cerletti sperimenta, prima sui maiali e poi sulle persone, l’ultima delle terapie da shock: l’elettroshock. Nonostante la brutalità di tali pratiche, tanto il coma insulinico come la convulsione da Cardiazol si diffusero immediatamente. Lo stesso avvenne poi per l’elettroshock, tuttora utilizzato e largamente praticato nel mondo e anche in Italia, dove sono sedici i centri, fra pubblici e privati, in cui viene utilizzata su circa trecento persone l’anno la cosiddetta terapia elettroconvulsivante (TEC).[1] Dolore e terrore erano nei primi decenni del Novecento parte fondamentale delle pratiche psichiatriche di investigazione e recupero; ma ancora oggi queste non hanno mutato la loro essenza violenta e si manifestano attraverso la coercizione, l’obbligo di cura, la contenzione meccanica e farmacologica.

Il Disturbo da stress post traumatico (PTSD) è un concetto che è stato sviluppato in un contesto di guerra per descrivere l’esperienza del soldato. Si è evoluto in vari modi attraverso la «sindrome cardiaca del soldato», la «nevrosi da spavento», lo «shock da granata» e la «stanchezza in battaglia». Negli anni Settanta, il DSM III (il Manuale statistico e diagnostico, terza revisione) ridefiniva il PTSD per tener conto delle reazioni dei veterani della guerra in Vietnam.[2] Oggi è considerato come la possibile risposta di un soggetto a un evento critico abnorme (terremoti, incendi, nubifragi, attentati, azioni belliche, incidenti stradali, abusi sessuali, atti di violenza subiti o di cui si è stati testimoni, etc.). Al PTSD si risponde con trattamenti psico-farmacologici dagli esiti spesso letali. Tra i soldati statunitensi in Afghanistan, sono più quelli che si suicidano una volta ritornati a casa (a volte dopo aver sterminato anche la famiglia), che quelli morti in combattimento.[3]

Analogamente, in Ucraina tra i reduci di guerra è stato segnalato un aumento di psicofarmaci del 170%. Con la stessa diagnosi di PTSD e il medesimo trattamento vengono gestiti i traumi delle vittime civili: antidepressivi e antipsicotici nei campi profughi, negli hotspot, nei CIE (Centri di identificazione ed espulsione). Per le donne kurde yazide disperate per la perdita di figli e parenti, si aprono le porte dei manicomi turchi. Simile dramma viene vissuto dai bambini palestinesi della striscia di Gaza, costretti a vivere fin dalla nascita in quella prigione a cielo aperto su cui le multinazionali delle armi sperimentano sempre nuovi ordigni. Il 90% di loro soffre di disturbi psicologici; purtroppo molte fra le tante ONG (Organizzazioni non governative) occidentali che operano nella striscia si limitano a importare tout court diagnosi e cure farmacologiche come da DSM V. Un orribile quanto reale paradosso che rivela, oggi come allora, l’inganno e la strategia che vi stanno dietro: curare il sintomo, cioè la persona “disturbata”, piuttosto che intervenire sulle reali cause del disturbo, cioè la guerra, l’occupazione militare, i bombardamenti, l’embargo, la fame, la chiusura delle frontiere e le disuguaglianze sociali.

Negli odierni conflitti, come in quelli del secolo scorso, non si è mai cessato di usare e di osservare i soldati come cavie per sperimentare gli effetti di nuove sostanze utili da un lato a potenziare l’efficacia del combattente, dall’altro a ridurre lo stress e l’eventuale “rimorso” che ciascun essere umano prova nell’uccidere un suo simile. Per tale scopo vengono assunte le cosiddette go pills prima di azioni di guerra di lunga durata e le no go pills prescritte al ritorno da tali azioni per “resettare” la propria coscienza e “normalizzare” la propria vita.[4] In tutte le nazioni, da sempre, l’industria militare riceve enormi finanziamenti che le permettono di anticipare e utilizzare le nuove scoperte scientifiche di almeno un decennio rispetto al successivo utilizzo civile. È un trend tanto più pernicioso con l’avvento dell’era cibernetica e del capitalismo digitale. Le nuove strategie militari prevedono non solo l’utilizzo di sostanze psicoalteranti, ma anche di esoscheletri che aumentano le prestazioni fisiche del soldato e l’applicazione al corpo di personal status monitor che dovrebbero consentire, attraverso l’utilizzazione di tecnologie di neuro imaging di visualizzare regioni del cervello in modo da guidare i processi cognitivi e decisionali. L’assunzione, da remoto, del controllo di un soldato è già resa possibile, per esempio, dai caschi che vengono fatti indossare ai piloti dei caccia f35. Il comando giunge in automatico al pilota senza essere avvertito, perché utilizza sensori e arriva direttamente al cervello tramite il casco. [5]

Anche per tutto ciò la psichiatria militare riveste un ruolo sempre più importante e ha avuto un grande incremento: le odierne imprese militari comportano l’utilizzo di stuoli di psichiatri al seguito delle truppe. Un segnale allarmante di come una disciplina medica, basata da sempre su esami diagnostici inesistenti, stia sempre più allargando i suoi confini. Guerre, controllo psichiatrico mascherato da intervento umanitario e business delle multinazionali del farmaco, sono un pericoloso mix che dovrebbe renderci più vigili su ciò che il futuro prossimo sembra riservarci. Il Rovescio della guerra ha il grande pregio di restituire alla memoria – a lungo negata – gli orrori subiti dai soldati al fronte e nei manicomi: carne da macello sacrificata per gli affari del Capitale. Allora come oggi, per molti dei sopravvissuti più sensibili o fragili (vincitori o vinti), una vita da “scemi di guerra”.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

 

per info:

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

[1] Gianna Milano, In Italia si usa l’elettroshock su 300 persone, 24 ago. 2017

[2] Cfr. Samah Jabr, Sumud. Resistere all’oppressione, Roma, Sensibili alle Foglie, 2021

[3] Cfr. Afghanistan: morti più soldati americani per suicidio che in combattimento

[4] Cfr. Alessandro De Pascale, Guerra & droga, Roma, Castelvecchi, 2017

[5] Cfr. Renato Curcio, Identità cibernetiche, Roma, Sensibili alle foglie, 2020.

https://edizionimalamente.it/catalogo/il-rovescio-della-guerra/