La Corte Suprema russa ha accolto la richiesta del ministero della Giustizia di mettere fuori legge nel Paese il movimento internazionale Lgbt+, definendolo “estremista”. Un ulteriore e tremendo spartiacque per i diritti civili nel territorio della Federazione russa.
di Sabato Angieri da il manifesto
I GIUDICI si sono espressi sulla denuncia sporta il 17 novembre dal ministero di Konstantin Cujcenko, titolare della Giustizia nel governo di Putin ed ex vice-primo ministro. I funzionari di Cujcenko hanno intentato una causa presso la Corte suprema per chiedere che il «movimento internazionale Lgbtq+» sia bandito in quanto «organizzazione estremista». Il dicastero non ha spiegato in cosa consista esattamente tale fantomatico «movimento», quale sia la sua organizzazione e chi vi sia ai vertici, ma sostiene di aver individuato prove di «orientamento estremista». Diverse organizzazioni russe per i diritti umani, giornalisti e attivisti avevano scritto alla Corte suprema chiedendo di respingere la richiesta del 17 novembre. Inoltre, gli avvocati che lavorano a difesa dei diritti civili, tra i quali Sergey Badashmin e Maksim Olenichev, avevano inviato alla Corte una lettera che evidenzia la «natura antigiuridica» della causa.
«Dichiareranno gli arcobaleni materiale estremista?» si chiede su Telegram Badashin. Mentre Olenichev ritiene che: «Gli attivisti Lgbtq+ continueranno il loro lavoro; dopo tutto, in Russia vivono milioni di persone Lgbtq+. Il numero di iniziative probabilmente si ridurrà, alcune diventeranno clandestine e il lavoro di assistenza legale continuerà, in nuove condizioni e con rischi maggiori». Gli avvocati che hanno cercato di sollevare il caso mediatico per esercitare pressioni sui giudici ritengono che la causa fosse irricevibile dalla Corte in quanto non solo non esiste alcun «movimento», ma «non c’è un’organizzazione o un cittadino che possa fungere da imputato nel caso. Si tratta essenzialmente di un processo chiuso con un solo partecipante: lo stesso Ministero della Giustizia russo».
NELLA LETTERA inviata alla Corte, ottenuta dal media indipendente russo Meduza, si legge: «Non si può usare l’espressione ‘movimento pubblico’ per riferirsi a un gruppo di persone solo perché appartengono a qualche gruppo sociale o perché hanno qualche attributo personale in comune. È altrettanto assurdo che riferirsi a tutti i pensionati o a tutte le persone di una certa etnia come ‘movimento pubblico’».
In Russia, il coinvolgimento nelle attività di una «organizzazione estremista» è punibile fino a 10 anni di carcere per gli organizzatori e fino a 6 anni per tutti gli altri. I difensori dei diritti civili osservano che ora al «movimento Lgbtq+» si può delineare la «criminalizzazione della difesa dei diritti umani e dell’attivismo» nonché un aumento del «rischio di persecuzione per gli operatori dei diritti umani, gli attivisti, i giornalisti e tutte le persone apertamente Lgbtq+».
INOLTRE, la criminalizzazione del presunto movimento rappresenterebbe la dimostrazione palese della volontà dello stato russo di controllare le decisioni, l’orientamento sessuale e le credenze delle persone promuovendo i cosiddetti «valori familiari tradizionali» che, secondo il ministero della Giustizia, sono «incompatibili con le attività del movimento Lgbtq+». Gli avvocati estensori della lettera di protesta sostengono che la pronuncia positiva della Corte contraddirebbe «le disposizioni della costituzione che dichiarano la Russia uno stato laico».
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